Motivi Nuovi in Cassazione: Quando l’Impugnazione si Ferma Prima di Iniziare
Introdurre motivi nuovi in Cassazione è una strategia processuale rischiosa e, come dimostra una recente ordinanza della Suprema Corte, spesso destinata al fallimento. Il principio fondamentale dei gradi di giudizio impone che le questioni vengano affrontate e decise in modo ordinato e progressivo. Sollevare una doglianza per la prima volta davanti ai giudici di legittimità, dopo averla omessa in appello, porta quasi inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Analizziamo un caso pratico che illustra perfettamente questa regola procedurale e le sue severe conseguenze.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Nel suo ricorso per Cassazione, l’imputato sollevava un’unica questione: la violazione di legge riguardo all’applicazione dell’istituto della continuazione tra due reati a lui contestati. Questo istituto, se riconosciuto, avrebbe potuto comportare un trattamento sanzionatorio più mite. Tuttavia, questo specifico punto non era mai stato sollevato come motivo di gravame nel precedente giudizio di appello. La difesa ha quindi tentato di introdurre tale argomento direttamente dinanzi alla Corte Suprema, sperando in una rivalutazione del caso sotto questo profilo.
L’analisi dei motivi nuovi in Cassazione e il divieto di ‘ius novorum’
Il sistema processuale penale italiano è strutturato secondo il principio del doppio grado di giurisdizione di merito, seguito da un giudizio di legittimità davanti alla Corte di Cassazione. Quest’ultima non riesamina i fatti, ma valuta la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi inferiori. Proprio per questa ragione, vige un principio di preclusione: i motivi nuovi in Cassazione non sono ammessi. Le questioni che potevano e dovevano essere sollevate in appello non possono essere introdotte per la prima volta in sede di legittimità. L’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale è esplicito nel sancire che tali motivi non possono essere dedotti.
La Decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione è stata netta e basata su una solida regola procedurale. Poiché la doglianza relativa all’istituto della continuazione non era stata ‘devoluta’ alla Corte d’Appello, essa non poteva essere validamente proposta per la prima volta in Cassazione. 
Le conseguenze economiche dell’inammissibilità
La declaratoria di inammissibilità non è priva di conseguenze. La Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria viene applicata quando l’inammissibilità non deriva da una causa incolpevole, come stabilito anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della motivazione risiede nell’applicazione rigorosa dell’articolo 606, comma 3, ultima parte, del codice di procedura penale. La norma stabilisce una barriera invalicabile per le questioni non sottoposte al giudice d’appello. La ratio è quella di garantire l’ordine processuale e di evitare che la Cassazione si trasformi in un terzo grado di merito, esaminando questioni di fatto o di diritto che non sono state precedentemente vagliate. Permettere l’introduzione di motivi nuovi snaturerebbe la funzione di giudice di legittimità della Suprema Corte, il cui compito è verificare la correttezza giuridica delle decisioni impugnate sulla base dei motivi già discussi.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio cruciale per chi opera nel diritto penale: la strategia difensiva deve essere completa e articolata fin dal primo grado di impugnazione. Omettere un motivo di appello significa, nella maggior parte dei casi, perdere definitivamente la possibilità di farlo valere in futuro. Il giudizio di Cassazione non è una terza chance per riesaminare il caso, ma un controllo di legittimità sulle questioni già definite. La condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria serve da monito: i ricorsi inammissibili non solo sono inefficaci, ma comportano anche un costo significativo per chi li propone senza fondamento procedurale.
 
Posso presentare un nuovo motivo di ricorso per la prima volta in Corte di Cassazione?
No, l’ordinanza chiarisce che una doglianza non sollevata nel giudizio di appello non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di cassazione, in base all’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.
Cosa succede se il mio ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, e in assenza di una causa che escluda la colpa del ricorrente, si viene condannati al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria (nel caso di specie, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.
Qual è stata la ragione specifica dell’inammissibilità in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato, relativo alla mancata applicazione dell’istituto della continuazione tra i reati, non era stato precedentemente sollevato come motivo di impugnazione davanti alla Corte d’Appello.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8185 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 8185  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/04/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso proposto da COGNOME NOME il quale, con un unico motivo, deduce l violazione di legge con riguardo alla applicazione dell’istituto della continuazione tra i due in contestazione, è inammissibile in quanto tale doglianza non era stata devoluta con l’appell sicché non può essere dedotta, per la prima volta, nel giudizio di cassazione, ostandovi disposto il cui al’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen.;
stante l’inammissibilità del ricorso, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazio della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna d ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa del ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2023.