I Motivi di Appello: La Cassazione Sancisce l’Inammissibilità del Ricorso Tardivo
L’ordinanza n. 12573 del 2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: la specificità dei motivi di appello. Una corretta formulazione delle censure in ogni grado di giudizio è un requisito imprescindibile, la cui mancanza può portare a conseguenze drastiche, come la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Questa decisione offre uno spunto essenziale per comprendere come un errore procedurale possa precludere l’esame nel merito di una questione.
La Vicenda Processuale: Un Ricorso Nato Male
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Bari. L’individuo, tramite il suo legale, ha sollevato dinanzi alla Suprema Corte una questione relativa al trattamento sanzionatorio e all’applicazione delle circostanze, cercando di ottenere una revisione della pena.
Tuttavia, l’esame della Corte di Cassazione si è arrestato a un livello preliminare, senza entrare nel merito della richiesta. Il problema? Il motivo di ricorso non era mai stato presentato prima. La contestazione sulla pena, infatti, non figurava tra i motivi di appello originariamente proposti davanti alla Corte territoriale.
L’Importanza dei Corretti Motivi di Appello
La decisione della Corte si fonda su una regola precisa, sancita dall’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che non è possibile portare all’attenzione della Cassazione questioni che non siano state specificamente dedotte nei motivi di appello del precedente grado di giudizio.
Questo principio, noto come ‘devoluzione’, ha una logica precisa: ogni grado di giudizio ha il suo oggetto. L’appello serve a riesaminare le decisioni del primo grado sulla base di critiche specifiche; il ricorso in Cassazione, a sua volta, controlla la legittimità della decisione d’appello, ma solo sulle questioni che sono state effettivamente sottoposte a quel giudice. Introdurre censure nuove in Cassazione significherebbe ‘saltare’ un grado di giudizio, alterando l’ordine e la funzione del processo.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza in esame, ha agito come un rigoroso custode delle regole processuali. I giudici hanno rilevato che la Corte d’Appello aveva correttamente omesso di pronunciarsi sul trattamento sanzionatorio, semplicemente perché nessuno glielo aveva chiesto.
I magistrati hanno evidenziato che la sentenza impugnata riepilogava i motivi di appello presentati, e tra questi non vi era alcuna menzione della questione sanzionatoria. Se quel riepilogo fosse stato incompleto o errato, sarebbe stato onere del ricorrente contestarlo specificamente nel suo ricorso per Cassazione, dimostrando l’errore. Non avendolo fatto, il ricorso si è rivelato privo del suo presupposto fondamentale: una critica a una decisione effettivamente presa (o omessa) dal giudice precedente su un punto che gli era stato sottoposto.
Le Conclusioni
L’esito è stato inevitabile: il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Questa decisione non è una mera formalità, ma comporta conseguenze concrete e onerose per il ricorrente. Egli è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. La vicenda insegna una lezione cruciale: nel processo penale, la strategia difensiva deve essere costruita con attenzione fin dal primo momento, poiché le omissioni e gli errori procedurali commessi in una fase possono precludere irrimediabilmente la possibilità di far valere le proprie ragioni in seguito.
È possibile presentare in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in Corte d’Appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è consentito perché le censure devono essere state previamente dedotte come specifico motivo nel precedente grado di giudizio, a pena di inammissibilità, secondo quanto prescritto dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, in questo caso tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
Perché il giudice d’appello non si è pronunciato sulla questione sollevata poi in Cassazione?
Il giudice d’appello ha correttamente omesso di pronunciarsi perché la questione non rientrava tra i motivi di gravame presentati dall’imputato in quella sede. Di conseguenza, la questione non era stata ‘devoluta’ alla sua cognizione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12573 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12573 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERIGNOLA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 03/02/2023 della CORTE APPELLO di BARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, in punto di trattamento sanzionatorio e circostanziale, non è consentito in sede di legittimità perché le relative censure non risultano essere state previamente dedotte come specifico motivo di appello secondo quanto prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.;
che, nella specie, il giudice di appello ha correttamente omesso di pronunziarsi sul punto perché si tratta di questioni non devolute alla sua cognizione, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nel ricorso, se incompleto o comunque non corretto (si vedano, in particolare, pagg. 2 e 3);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 6 marzo 2024.