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Motivi di appello: no a nuove censure in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato. I nuovi motivi di appello, relativi alla quantificazione della pena, non erano stati presentati nel precedente grado di giudizio, che verteva solo sulla recidiva. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto con condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivi di Appello: Il Divieto di Introdurre Nuove Censure in Cassazione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su un principio cardine del processo penale: la specificità dei motivi di appello e l’impossibilità di introdurre censure nuove nel giudizio di legittimità. La decisione sottolinea come l’ambito del giudizio di impugnazione sia rigidamente delimitato dalle questioni sollevate nell’atto di appello, precludendo alla parte di sollevare doglianze inedite dinanzi alla Suprema Corte.

I fatti del caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso una sentenza della Corte d’Appello di Venezia. L’imputato, tramite il suo difensore, ha adito la Corte di Cassazione lamentando un vizio di motivazione relativo esclusivamente alla quantificazione della pena inflittagli. Tuttavia, un’analisi più approfondita degli atti processuali ha rivelato un dettaglio fondamentale che ha determinato l’esito del giudizio.

La decisione della Corte di Cassazione e i motivi di appello

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione di tale drastica decisione risiede in una precisa discrepanza tra le questioni sollevate in appello e quelle proposte in Cassazione.

I giudici di legittimità hanno rilevato che i motivi di appello originariamente presentati alla Corte territoriale concernevano unicamente la richiesta di esclusione della recidiva. Non era stata mossa alcuna contestazione riguardo ai criteri utilizzati per determinare l’entità della pena. Di conseguenza, il motivo relativo al vizio di motivazione sulla quantificazione della pena, sollevato per la prima volta in Cassazione, è stato considerato ‘improponibile’.

Il principio di devoluzione nel processo di impugnazione

Questa pronuncia si fonda sul cosiddetto ‘effetto devolutivo’ dell’appello. Tale principio stabilisce che il giudice di secondo grado può esaminare e decidere solo sui punti della sentenza di primo grado che sono stati specificamente contestati dall’appellante. Le questioni non incluse nei motivi di appello si considerano accettate e passano in giudicato, non potendo più essere rimesse in discussione nei successivi gradi di giudizio.

Introdurre un motivo di doglianza completamente nuovo in Cassazione snaturerebbe la funzione stessa della Suprema Corte, trasformandola da giudice di legittimità (che valuta la corretta applicazione della legge) a un terzo grado di merito, cosa che l’ordinamento processuale non consente.

Le conseguenze dell’inammissibilità del ricorso

Oltre a respingere il ricorso, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, in conformità con la legge, ha disposto il versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è prevista per i casi di inammissibilità del ricorso, al fine di scoraggiare impugnazioni palesemente infondate o dilatorie.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte sono chiare e lineari. Il ricorso è inammissibile perché l’unico motivo di censura formulato, attinente alla quantificazione della pena, è stato proposto per la prima volta in sede di legittimità. I precedenti motivi di appello erano, infatti, circoscritti alla sola esclusione della recidiva. Tale novità processuale rende la censura ‘improponibile’, in quanto il perimetro del giudizio di Cassazione è limitato alle questioni già devolute al giudice dell’appello. La Corte ribadisce così un principio fondamentale di procedura penale, volto a garantire l’ordine e la progressione del processo, evitando che le parti possano ‘riservarsi’ motivi di doglianza da far valere solo nell’ultimo grado di giudizio.

Le conclusioni

In conclusione, questa ordinanza rappresenta un monito sull’importanza di redigere con scrupolo e completezza l’atto di appello. Tutte le censure che si intendono muovere alla sentenza di primo grado devono essere articolate in modo specifico fin da subito. Omettere un motivo di contestazione in appello ne preclude irrimediabilmente la discussione davanti alla Corte di Cassazione, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso e l’applicazione di sanzioni economiche a carico del ricorrente. La strategia difensiva deve essere, pertanto, definita in modo completo ed esaustivo sin dal secondo grado di giudizio.

È possibile presentare in Corte di Cassazione motivi di ricorso diversi da quelli sollevati in appello?
No, sulla base di questa ordinanza non è possibile. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proprio perché il motivo sollevato (vizio di motivazione sulla quantificazione della pena) non era stato dedotto nei motivi di appello, che riguardavano unicamente l’esclusione della recidiva.

Qual è la conseguenza se un ricorso viene dichiarato inammissibile?
La conseguenza è duplice. In primo luogo, il ricorso non viene esaminato nel merito. In secondo luogo, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

Perché il motivo di ricorso è stato giudicato ‘improponibile’?
È stato giudicato improponibile perché non era stato sollevato nel precedente grado di giudizio (l’appello). I motivi di appello limitano l’oggetto della discussione nel giudizio di impugnazione, e non è consentito introdurre censure completamente nuove nel successivo ricorso per cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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