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Motivi d’appello: quando il ricorso è inammissibile

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso penale. La decisione si fonda sul principio che i motivi d’appello, relativi all’eccessività della pena e al mancato riconoscimento di attenuanti, non erano stati sollevati nel precedente grado di giudizio. La Corte ribadisce che la mancata devoluzione di specifiche questioni al giudice d’appello comporta la formazione del giudicato su quei punti, precludendo un loro esame in sede di legittimità.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivi d’Appello: La Cassazione Sancisce l’Inammissibilità del Ricorso Tardivo

La corretta formulazione dei motivi d’appello rappresenta un passaggio cruciale e imprescindibile nel processo penale. Omettere una censura nel gravame di secondo grado significa, di fatto, precludersi la possibilità di farla valere davanti alla Corte di Cassazione. È quanto emerge chiaramente da una recente ordinanza della Suprema Corte, che ha dichiarato inammissibile un ricorso proprio per questo vizio procedurale, ribadendo principi consolidati in materia di impugnazioni.

Il Caso in Esame: Un Ricorso Basato su Censure Nuove

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un’imputata avverso una sentenza della Corte d’Appello. Davanti alla Cassazione, la difesa lamentava la violazione dell’art. 133 del codice penale, criticando l’eccessività della pena inflitta e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Tuttavia, un’attenta analisi degli atti processuali ha rivelato una falla decisiva: queste specifiche doglianze non erano state incluse nei motivi d’appello presentati al giudice di secondo grado.

L’Importanza dei Corretti Motivi d’Appello nel Processo Penale

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per riaffermare un caposaldo del diritto processuale penale, sancito dall’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale. Tale norma prevede, a pena di inammissibilità, che i motivi di ricorso per cassazione non possono vertere su questioni che non siano state specificamente dedotte nei motivi di appello.

La Rottura della “Catena Devolutiva”

Questo principio si fonda sul concetto di “catena devolutiva”. Quando si impugna una sentenza, si devolve al giudice superiore solo l’esame dei punti della decisione che sono stati oggetto di specifica critica. Le parti della sentenza di primo grado che non vengono contestate nell’atto di appello, di conseguenza, passano in giudicato, diventando definitive e non più discutibili.

Nel caso di specie, non avendo sollevato in appello le questioni relative alla quantificazione della pena e alle attenuanti, si è verificata un’interruzione di questa catena. Pertanto, la ricorrente non poteva validamente riproporre tali censure per la prima volta in sede di legittimità.

Inammissibilità e Potere d’Ufficio del Giudice

La difesa ha implicitamente tentato di far leva sul mancato esercizio del potere-dovere del giudice d’appello di applicare d’ufficio le circostanze attenuanti. Tuttavia, anche su questo punto, la Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata. Il mancato esercizio di tale potere non può costituire un valido motivo di ricorso se l’imputato, nell’atto di appello o almeno nelle conclusioni, non ha formulato una richiesta specifica e supportata da elementi di fatto idonei a giustificarla.

Le motivazioni

La motivazione della Corte è netta e si basa su due pilastri fondamentali. In primo luogo, il rispetto del principio devolutivo, che impone una corrispondenza tra i motivi sollevati in appello e quelli proposti in Cassazione. Le censure non dedotte nel secondo grado di giudizio sono da considerarsi rinunciate e le relative statuizioni della sentenza di primo grado acquisiscono efficacia di giudicato. In secondo luogo, la specificità dei motivi. Anche per le questioni rilevabili d’ufficio dal giudice, come le attenuanti, è necessaria una sollecitazione di parte, precisa e circostanziata, per poter poi lamentare in Cassazione un’eventuale omissione.

Le conclusioni

L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione funge da monito sull’importanza di una strategia difensiva attenta e completa sin dal primo grado di impugnazione. Tralasciare un motivo di gravame in appello equivale a chiudere definitivamente la porta a quella specifica contestazione, con conseguenze irreversibili sull’esito del processo.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione dei motivi di ricorso non discussi in Appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che i motivi di ricorso devono essere stati previamente dedotti come motivo di appello, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. In caso contrario, il ricorso è inammissibile.

Cosa succede se i motivi d’appello non vengono sollevati correttamente nel secondo grado di giudizio?
Le statuizioni della sentenza di primo grado che non sono state oggetto di specifici motivi di appello acquistano “efficacia di giudicato”. Ciò significa che diventano definitive e non possono più essere messe in discussione nei successivi gradi di giudizio.

Il giudice d’appello ha l’obbligo di applicare d’ufficio le attenuanti generiche anche se non richieste?
Il mancato esercizio di questo potere da parte del giudice d’appello non costituisce un motivo valido di ricorso in Cassazione se l’imputato non ha formulato una richiesta specifica e motivata nell’atto di appello, indicando i fatti su cui tale richiesta si basa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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