Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26940 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Piedimonte Matese il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte di cassazione, a seguito di gravame del Procuratore generale presso la locale Corte di appello avverso la sentenza emessa in data 12.11.2008 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale NOME COGNOME è stato assolto dai reati di rapina aggravata e porto di arma da taglio ascrittigli per non aver commesso il fatto, in riforma della decisione ha dichiarato il predetto colpevole del reato di rapina aggravata condannandolo a pena di giustizia, dichiarando non doversi procedere in ordine al reato di cui all’art. 4 I. n. 110/75 perché estinto per prescrizione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che con atto del difensore deduce violazione degli artt. 125, 192, 530, 627, comma 3, cod. proc. pen., in quanto la Corte di merito ha omesso di attenersi alle indicazioni della sentenza rescindente incorrendo nella manifesta illogicità della motivazione, travisamento della prova e carenza della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità.
La Corte di appello, dopo aver ascoltato il teste COGNOME, ha omesso ogni indagine critica sulla motivazione della prima assoluzione affermando erroneamente che questa si era fondata sulla sola inattendibilità delle dichiarazioni determinata dalla loro segmentazione investigativa, obliterando la valenza del pregiudizio in danno dell’imputato, l’inconsistenza della individuazione di persona e la forza delle indagini difensive, oltre la non credibilità dei racconti delle persone offese.
Inoltre, la Corte ha omesso di valutare sia la intrinseca differenza delle dichiarazioni in merito alla presenza a viso scoperto dello COGNOME nella tabaccheria, sia la iniziale dichiarazione dei CC resa in fase dibattimentale e l’esito delle indagini difensive. Non ha neanche motivato sulle ragioni per le quali l’ipotesi alternativa della presenza altrove dello COGNOME dovesse essere certamente esclusa.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e succ. modd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e il difensore dell’imputato hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
La sentenza rescindente aveva censurato il precedente giudizio di colpevolezza in appello che – ribaltando la prima decisione assolutoria (v. par. 2) – non solo «non ha fornito neppure un elemento dal quale rilevare la carente ed erronea valutazione del G.U.P. del materiale probatorio raccolto», ma «non si è affatto confrontato specificamente con la ragioni per le quali il primo giudice era pervenuto all’assoluzione né ha confutato specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza», segnatamente con riguardo:
al primo riconoscimento dell’imputato da parte dei due testi-parti offese e all’influenza della conoscenza dell’imputato su tale riconoscimento;
alla seconda versione con la quale la teste COGNOME aveva integrato il suo primo racconto affermando di aver visto l’imputato fuori dal suo negozio e di averlo visto entrare nello stesso negozio ove, poi, indossava il passamontagna e consumava la rapina a mano armata;
ai dubbi sul perché la seconda versione (evidentemente dirimente) non sia stata resa nell’immediatezza dei fatti ma solo nel corso della seconda convocazione dai Carabinieri;
alla valutazione delle spiegazioni fornite sul punto dalla teste COGNOME avanti al G.U.P. e alla valutazione effettuata dallo stesso G.U.P. di tali spiegazioni;
all’influenza di quanto sopra sull’avvenuto riconoscimento della maglietta indossata dallo COGNOME (maglietta descritta sempre nel corso della seconda convocazione dei Carabinieri);
alla rilevanza dell’alibi fornito da una teste nel corso delle indagini difensive;
– al contenuto della memoria ex
art. 121 cod. proc. pen., del quale la Corte non ha avuto alcuna considerazione.
La sentenza rescindente concludeva, quindi, per la mancanza di una motivazione rafforzata e il mancato superamento di ogni ragionevole dubbio e disponeva il nuovo giudizio attraverso il quale il giudice – in adesione ad affermati principi di legittimità, dimostrasse «puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado».
La sentenza impugnata, nel riformare la precedente assoluzione, censura la valutazione di inattendibilità della persona offesa COGNOME da parte del primo Giudice, fondata sulla tardiva dichiarazione di costei su alcune circostanze determinanti, ritenendola frutto di una mera congettura (v. pg. 6 della sentenza) senza tenere in debito conto che «fin dal primo momento le due testimoni
(COGNOME e COGNOME, n.d.e.) affermarono senza ombra di dubbio che l’autore della rapina era lo COGNOME, precisando, in particolare la COGNOME, di aver riconosciuto l’imputato dalla voce e da taglio degli occhi, trattandosi di persona a lei nota», tanto da ritenere sufficiente tale «granitica» dichiarazione ai fini della responsabilità «anche al netto della controversa seconda dichiarazione della COGNOME. E, invero, anche ammettendo che quest’ultima abbia inteso render la seconda dichiarazione riferendo dettagli non veritieri, al fine di dare maggiore corpo alla denuncia, è azzardato sostenere che a ciò si sia determinata per via di una sostanziale sfiducia nella efficacia della prima dichiarazione resa», essendo le indagini già dirette all’imputato. Il considerato univoco quadro probatorio, inoltre, non risulta inficiato dalle dichiarazioni, generiche e non supportate da riscontri estrinseci, della testimone escussa dalla difesa dell’imputato.
Ritiene questa Corte che la sentenza rescissoria, pur richiamando ampiamente i principi di legittimità che presiedono al ribaltamento della decisione assolutoria, non fa di essi buon governo non soddisfacendo il requisito della motivazione rafforzata come declinato dalla sentenza rescindente, che ha indicato analiticamente i passaggi ritenuti necessari per giustificare il ribaltamento della prima decisione assolutoria.
Il giudizio rescissorio, invero, si esibisce in una ingiustificata e – in rapporto agli obblighi di cui all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. – illegittima riduttiva scelta di argomenti sui quali fondare la affermazione di responsabilità, in relazione al consolidato orientamento per il quale la Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali ovvero al compimento di una particolare indagine in precedenza omessa, di determinante rilevanza ai fini della decisione, o ancora all’esame, non effettuato, di specifiche istanze difensive incidenti sul giudizio conclusivo (Sez. 1, n. 3572 del 16/05/2000, Conti, Rv. 216279).
Dopo aver registrato la testimonianza in giudizio delle due testi COGNOME e COGNOME, il Giudice del rinvio si è limitato a richiamare la giustificazione di quest’ultima in ordine al contenuto delle dichiarazioni rese nella seconda convocazione da parte dei Carabinieri («la COGNOME aveva già spiegato che era rimasta d’accordo con il comandante della stazione CC che solo in un secondo momento, con più calma, ella avrebbe dettagliato la vicenda, dopo le prime concitate fasi di raccolta della denuncia e di effettuazione della ricognizione
fotografica» – v. pg. 6 della sentenza), senza sottoporle al necessario vaglio critico volto a chiarire le ragioni per le quali la decisiva circostanza di «aver visto l’imputato mentre indossava il passamontagna prima di entrare in azione e aveva avuto modo, quindi, di scrutarne il volto», fosse stata omessa nelle prime immediate dichiarazioni delle due testimoni che, invece, avevano riferito il riconoscimento dello stesso imputato travisato alla sua “voce e al taglio degli occhi”.
Rimane, quindi, senza approfondimento il dubbio – prospettato dalla prima decisione – di come i particolari della seconda dichiarazione possano essere stati trascurati in sede di prima denuncia e di riconoscimento personale, posto che la ,/Zo audizione delle testi da parte dello stessoudice nonlra – v – é- va affatto chiarito (v. pg. 5 e sg. della prima sentenza), non bastando – evidentemente – al riguardo il riconoscimento, da parte del Giudice di appello, dell’«errore di metodo» da parte della Polizia giudiziaria che ha consentito la «parcellizzazione della deposizione».
Il successivo assunto della sentenza impugnata secondo il quale la prima indicazione dell’imputato da parte delle due persone offese (quella secondo la quale lo COGNOME, travisato, era stato riconosciuto dalla voce e dal taglio degli occhi) è da sola sufficiente ai fini della affermazione di responsabilità, non si confronta, ancora, con la valutazione del primo Giudice della possibile suggestione (anche inconsapevole) di tale identificazione e del successivo riconoscimento personale (v. pg. 3 e sg. della prima sentenza). A tale necessario confronto, la sentenza impugnata sostituisce un ragionamento del tutto ipotetico e contraddittorio, financo ammettendo che la COGNOME potesse aver aggiunto, nella seconda dichiarazione, circostanze non veritiere, considerando il percorso investigativo diretto all’imputato del quale, invece, è richiesta la verifica.
All’evidenza, quindi, la decisione impugnata, con il suo limitato orizzonte valutativo testé ripercorso e l’intrinseca carenza argomentativa anche rispetto a tale orizzonte, è venuta meno all’obbligo confornnativo delineato dalla sentenza rescindente, sulla base dei principi di legittimità dalla stessa indicati in tema di ribaltamento in appello della decisione assolutoria.
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Così deciso il 16/05/2024.