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Motivazione per relationem: i limiti della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso che contestava in modo generico la motivazione di una sentenza d’appello. L’ordinanza ribadisce le tre condizioni necessarie per la legittimità della motivazione per relationem: il riferimento a un atto legittimo, la cognizione e condivisione da parte del giudice, e la conoscibilità dell’atto richiamato. La genericità del motivo di ricorso ha portato alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione per relationem: la Cassazione traccia i confini

Nel processo penale, la motivazione di un provvedimento è un pilastro fondamentale. Ma cosa succede quando un giudice, per motivare la sua decisione, si limita a richiamare un’altra sentenza? Questa tecnica, nota come motivazione per relationem, è stata al centro di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che ne ha ribadito i precisi limiti di legittimità, dichiarando inammissibile un ricorso ritenuto troppo generico.

I Fatti del Caso

Un imputato, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello, presentava ricorso in Cassazione. I motivi dell’impugnazione si concentravano su due aspetti: il trattamento sanzionatorio applicato e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La difesa sosteneva, in sostanza, che la Corte d’Appello avesse motivato in modo insufficiente, facendo un ricorso eccessivo alla tecnica della motivazione per relationem, ovvero richiamando le argomentazioni della sentenza di primo grado.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La ragione non risiede nell’illegittimità assoluta della motivazione per relationem, ma nella genericità con cui il ricorrente l’aveva contestata. Secondo i giudici, il ricorso si limitava a censurare la tecnica utilizzata dalla Corte d’Appello senza specificare in che modo e perché tale richiamo fosse andato oltre i limiti consentiti dalla giurisprudenza consolidata. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le motivazioni: i tre pilastri della motivazione per relationem

La Corte ha colto l’occasione per riepilogare le condizioni che rendono legittima la motivazione per relationem. Un giudice può validamente richiamare un altro atto del procedimento solo se sono rispettati tre requisiti fondamentali:

1. Riferimento a un Atto Legittimo: Il rinvio deve essere fatto a un atto del procedimento (come la sentenza di primo grado) la cui motivazione sia congrua e pertinente rispetto alla decisione da prendere.
2. Cognizione e Condivisione: Il giudice deve dimostrare di aver effettivamente letto, compreso e meditato le ragioni contenute nell’atto richiamato, facendole proprie e ritenendole coerenti con la propria decisione.
3. Conoscibilità dell’Atto: L’atto a cui si fa riferimento deve essere conosciuto o, quantomeno, facilmente accessibile all’interessato (l’imputato), per permettergli di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa e di impugnazione.

Nel caso specifico, i Giudici di appello avevano legittimamente rinviato alla sentenza di primo grado, precisando di condividerne totalmente le valutazioni sul trattamento sanzionatorio e sulle attenuanti. Il ricorso, non avendo specificato perché questo rinvio fosse errato, si è rivelato un’impugnazione generica e, quindi, inammissibile.

Un altro aspetto interessante riguarda la condanna alle spese della parte civile. La Cassazione ha escluso che il ricorrente dovesse rifondere le spese legali alla parte civile (una compagnia assicurativa), poiché quest’ultima aveva depositato una memoria con argomentazioni che andavano oltre la semplice richiesta di inammissibilità, non rispettando così le finalità del procedimento camerale semplificato.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: un ricorso in Cassazione non può limitarsi a una critica generica e astratta delle decisioni dei giudici di merito. Chi impugna una sentenza che utilizza la motivazione per relationem ha l’onere di argomentare in modo specifico e puntuale, dimostrando perché, nel caso concreto, siano state violate una o più delle tre condizioni di legittimità. In assenza di una critica circostanziata, il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria.

Quando è considerata legittima la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale?
La motivazione per relationem è legittima a tre condizioni: 1) che faccia riferimento a un atto legittimo del procedimento con motivazione congrua; 2) che il giudice dimostri di aver preso cognizione del contenuto e di averlo ritenuto coerente con la propria decisione; 3) che l’atto di riferimento sia conosciuto o almeno ostensibile all’interessato.

Perché il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato ritenuto generico. Non specificava in quali termini la sentenza impugnata avesse fatto ricorso alla motivazione per relationem in maniera esorbitante dai limiti considerati legittimi dalla giurisprudenza.

L’imputato il cui ricorso è dichiarato inammissibile deve sempre pagare le spese della parte civile?
No, non sempre. In questo caso, la Corte ha escluso la condanna alla rifusione delle spese della parte civile perché quest’ultima aveva prodotto una memoria con elementi di contrasto che andavano oltre la valutazione preliminare di inammissibilità, non rispettando le finalità del meccanismo processuale specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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