Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24908 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SCIACCA il 24/12/1965
avverso la sentenza del 23/10/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte d’appello di Palermo ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale di Sciacca aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del delitto di tentato incendio, così riqualificata l’originaria fattispecie delittuosa di incendio consumato e, per l’effetto, lo aveva condannato alla pena di anni uno mesi due di reclusione .
COGNOME ricorre per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo con cui denuncia
violazione e falsa applicazione degli articoli 183, 516, 521bis -e 522 cod. proc. pen. nonché contraddittorietà della sentenza impugnata
Premette di essere stato chiamato a rispondere del reato di tentato incendio con decreto di giudizio immediato. Nel corso per il dibattimento di primo grado il pubblico ministero aveva proceduto alla modifica dell’imputazione, contestandogli il reato di incendio nella forma consumata. Il suo difensore aveva eccepito il mancato svolgimento dell’udienza preliminare ai sensi dell’articolo 521bis cod. proc. pen. ed aveva chiesto la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché si procedesse alle forme ordinarie, evidenziando che l’ imputato era stato ingiustamente privato dell’udienza preliminare e, conseguentemente, della facoltà di richiedere in quella sede i alternativi nonché di partecipare alla formazione del fascicolo per il dibattimento.
Tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello avevano ritenuto infondata l’eccezione di nullità, ritenendo, sulla scorta di giurisprudenza riferita ad ipotesi diverse, irrilevante ai fini della legittimità della modifica dell’originario capo di imputazione il decorso del termine di 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato per chiedere il giudizio immediato.
Le motivazioni della sentenza impugnata sono contraddittorie: da una parte è stata esclusa la violazione dell’art. 516 cod. proc. pen.; dall’altra è stata ritenuta configurabile una ipotesi di nullità a regime intermedio, che tuttavia sarebbe stata sanata, ai sensi dell’articolo 183 cod. proc. pen., con la richiesta di giudizio abbreviato da parte dell’imputato.
A quest’ultimo proposito, non è stato considerato che l’eccezione di nullità è stata formalizzata subito dopo che il giudicante aveva avvertito l’imputato della facoltà di chiedere un termine a difesa o di richiedere riti alternativi o nuove prove. Deve, pertanto, essere escluso che l’imputato ed il suo difensore siano incorsi in decadenze o sanatorie, non avendo né rinunciato all’eccezione né esercitato le facoltà a cui era preordinato l’atto nullo
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità per la sua manifesta infondatezza
Sostiene il ricorrente che il Tribunale, a seguito della modifica dell’imputazione nel corso del dibattimento celebratosi dopo l’ammissione del giudizio immediato, avrebbe dovuto accogliere la richiesta di trasmettere gli atti al pubblico ministero risultando il fatto diversamente qualificato tra quelli per cui è prevista l’udienza preliminare e che la Corte di appello, investita della questione nel primo atto utile ovvero l ‘impu gnazione, avrebbe dovuto dichiarare la nullità del
giudizio di primo grado fino alla sentenza che lo aveva definito, applicando la disposizione prevista da ll’art. 521-bis, comma 2, cod. proc. pen. a mente della quale ”l’inosservanza della disposizione prevista dal comma 1 deve essere eccepita, a pena di decadenza, nei motivi di impugnazione ‘ .
L’assunto è erroneo.
Come condivisibilmente affermato da Sez. 3, n. 42818 del 26/09/2024 , A., Rv. 287159 – 01 ‘Non trova applicazione nel giudizio immediato il disposto di cui all’art. 521-bis cod. proc. pen. nel caso in cui sia contestato, in fase dibattimentale, un nuovo reato rispetto al quale è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare, caratterizzandosi il rito per la mancanza di tale fase e non immutando la nuova contestazione la natura del giud izio’.
In ogni caso, l ‘ eccepita nullità, a regime intermedio, si è sanata per il raggiungimento dello scopo avendo l ‘imputat o non solo esercitato la scelta di essere giudicato il rito abbreviato – che opera un effetto sanante, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi per il caso assimilabile di ‘instaurazione del giudizio immediato per reati per i quali l’esercizio dell’azione penale deve avvenire con citazione diretta’ (da ultimo ex plurimis Sez. 5 – ,n. 40002 del 24/04/2019, Di COGNOME, Rv. 277525 – 01 )- ma, per di più, ottenuto l ‘ invocata riduzione premiale commisurata all ‘imputazione meno grave originariamente contestagli nel decreto di giudizio immediato.
La disposizione dell ‘art. 521-bis, comma 2, prevede il termine di decadenza invocato dal ricorrente per dedurre la nullità determinate dalla violazione del primo comma della medesima norma ( ‘ Se, in seguito ad un diversa definizione giuridica o alle contestazioni previste dagli articoli 516, commi 1-bis e 1-ter, 517, comma 1-bis, e 518, il reato risulta tra quelli attribuiti alla cognizione del tribunale per cui è prevista l’udienza preliminare e questa non si è tenuta, il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero ‘ ), che possano per la prima volta essere desunte dalla lettura della sentenza emessa in esito al primo grado del giudizio e non nella precedente fase dibattimentale in relazione alla quale operano le previsioni degli artt. 516 commi 1 -bis e 1 ter cod. proc. pen.
Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 15 maggio 2025.