Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11833 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11833 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA;
NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA;
NOME, nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA,
NOME COGNOME, nato a Vico Equense il DATA_NASCITA;
NOME, nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA,
avverso l’ordinanza del 26/10/2023 del Tribunale del riesame di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26/10/2023, il Tribunale del riesame di Napoli annullava l’ordinanza con cui in data 23 giugno 2023 la Terza Sezione del Tribunale Penale di Napoli aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare nei confronti degli odierni ricorrenti per decorso termini di fase.
In dettaglio:
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il Tribunale di Napoli, in data 21/06/2022 aveva sostituito nei confronti di dei due COGNOME NOME la misura custodiale con quella del divieto di dimora nella regione Campania;
in data, rispettivamente, 7/10/2022 (per COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME), 13/10/2022 (per COGNOME NOME classe ’64) e 20/10/2022 (per COGNOME NOME classe ’65) aveva sostituito detta misura con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria;
in data 23/06/2023, dichiarava la cessazione della misura in atto per decorso dei termini di fase.
Il Tribunale del riesame evidenziava, in motivazione, che nel caso di successione di diverse misure cautelari nel tempo, il principio della «fungibilità», rilevante al fine della determinaz del termine di fase, vale solo per le misure cautelari personali detentive (284, comma 5 cod. proc. pen., per cui il termine di fase prosegue a decorrere in caso di passaggio da una misura all’altra), non si applica alle misure cautelari non detentive, per le quali invece si è stabi principio del raddoppio del termine di fase, in ragione della loro minore afflittività.
Avverso tale ordinanza propongono ricorso gli imputati, tramite i rispettivi difensori fiducia.
2.1. Il ricorso di NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA (AVV_NOTAIO).
Con il primo e unico motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla normativa concernente il dies a quo del termine di fase delle misure cautelari non custodiali. Ritiene che i giudici non si siano confrontati con il tenore dell’articolo 308 c proc. pen., che parla di “misure” e non di “misura”.
Sostiene, inoltre, che l’inizio del termine di fase non possa che coincidere con l’inizio del prima misura non custodiale (che, altrimenti, basterebbe che il P.M. chiedesse la sostituzione della misura in atto a pochi giorni dalla scadenza del termine di fase per ottenere una misura pressoché infinita).
2.2. Il ricorso di NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA (AVV_NOTAIO).
Il ricorso, in cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferim all’articolo 308 del codice di rito, è sostanzialmente sovrapponibile a quello proposto dall’alt COGNOME AVV_NOTAIO (par. 2.1.).
2.3. Il ricorso di NOME COGNOME (AVV_NOTAIO).
Il ricorso, in cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferim agli articoli 297 e 308 del codice di rito, è sostanzialmente sovrapponibile a quelli proposti da altri ricorrenti.
Ritiene in aggiunta il ricorrente che, secondo costante giurisprudenza, la retrodatazione della decorrenza dei termini di fase non deve essere effettuata frazionando la durata globale della misura ma sommando il precedente periodo di misura coercitiva non custodiale con quello successivo (Corte Cost. 233/2011 e 292/2013).
In data 8 febbraio 2024, l’AVV_NOTAIO faceva pervenire, per NOME, conclusioni scritte in cui insisteva per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono manifestamente infondati.
Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza della Corte (Sez. 6, n. 44700 del 23/09/2015, COGNOME, Rv. 265027 – 01), «il termine iniziale per l’efficacia di una misura cautelare personale diversa dalla custodia cautelare comincia a decorrere dalla sua esecuzione, indipendentemente dall’essere stata o meno tale misura preceduta da un’altra più grave».
Analogamente, Sez. 6, n. 10273 del 23/01/2019, Aiello, Rv. 275202 – 01 ha precisato che «l’applicazione successiva di più misure coercitive non custodiali non comporta il cumulo dei periodi di sottoposizione a ciascuna misura ai fini della determinazione dei termini di fase che, invece, vanno autonomamente computati, ai sensi dell’art.297, comma 2, cod. proc. pen., dal momento in cui le rispettive ordinanze sono notificate».
Con specifico riferimento ad un caso analogo al presente, poi, Sez. 1, n. 28693 del 16/09/2020, COGNOME, Rv. 279989 – 01, ha chiarito, inequivocabilmente, che «in tema di misure cautelari personali non custodiali, la regola di cui all’art. 308, comma 1, cod. proc. pen concernente il raddoppio dei termini previsti dall’art. 303 cod. proc. pen., trova applicazione anche con riferimento ai termini di fase», mentre Sez. 6, n. 26308 del 20/05/2021, COGNOME, Rv. 281750 – 01, ha specificato che «in caso di applicazione successiva di misure cautelari non custodiali eterogenee, non può trovare applicazione il disposto dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., regolante l’istituto della c.d. contestazione a catena, poiché la retrodatazione dell’efficac della misura applicata in epoca posteriore presuppone che nei confronti dell’indagato o imputato, per lo stesso fatto o per fatti connessi, siano adottate più ordinanze che dispongano la “medesima misura”».
Da ultimo, il Collegio evidenzia come le due sentenze della Corte Costituzionale citate dal ricorrente concernano, l’una, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 297, comma 3 del codice di procedura penale in un caso relativo all’applicazione della custodia cautelare in carcere, lamentandosi la disparità di trattamento tra colui che aveva definito la sua posizione con rito abbreviato e coloro che avevano scelto il rito ordinario; l’altra, la questione di legitt costituzionale dell’art. 309 del codice di procedura penale, in relazione all’art. 297, comma 3 del medesimo codice, nella parte in cui – secondo l’interpretazione offerta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, vincolante per il giudice a quo in quanto giudice del rinvio – «subordina la deducibilità della questione della retrodatazione dell’ordinanza cautelare, in sede di riesame,
anche alla condizione che tutti gli elementi per la retrodatazione stessa emergano dall’ordinanza riesaminata», ossia argomenti del tutto estranei alla tematico oggetto del presente scrutinio.
Alla declaratoria dell’inammissibilità (cui è equiparata la manifesta infondatezza) consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.28 reg. esec. cod. proc. pen.. Così deciso il 08/02/2024.