Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1855 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1855 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORINO il 22/10/1979
avverso l’ordinanza del 22/07/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di MILANO
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME la udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 22 luglio 2024, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame, ha rigettato l’appello proposto, ex art. 310 cod. proc. pen., nell’interesse di NOME COGNOME e, per l’effetto, ha confermato il provvedimento del 30 maggio 2024, con cui il g.i.p. del medesimo Tribunale rigettava l’istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere disposta in relazione al concorso in reato di svariati furti in appartamento ai danni di persone anziane, indicati puntualmente nel capo d’imputazione provvisoria. Secondo la prospettazione accusatoria, l’indagato (col ruolo di autista e “palo”) e il complice (esecutore materiale dei furti) fermavano le anziane vittime, nel momento del solitario rientro a casa, confondendole e disorientandole con l’utilizzo di segni distintivi dell’Arma dei Carabinieri, per poi fare ingresso nelle abitazioni delle persone offese, col pretesto di segnalazioni di furti in appartamento, impossessandosi di oggetti di valore e denaro.
Awerso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge in relazione alla valutazione della gravità indiziaria, che il Tribunale avrebbe ritenuto sussistente sulla base di un mero rinvio a una sentenza di primo grado, oggetto di impugnazione davanti alla Corte d’appello, in cui la responsabilità del ricorrente non è stata ancora accertata, quindi, in via definitiva. Peraltro, il NOME ha sempre contestato la sussistenza delle condotte contestate. Si eccepisce altresì la carenza di motivazione dell’impugnata ordinanza, non avendo il Tribunale fornito ragioni in merito ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza.
2.2 Col secondo motivo, si duole di vizio di motivazione, in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari, ritenute dal Tribunale sussistenti sulla base 1) di un’erronea interpretazione -e applicazione al caso di specié- del concetto di “delitti della medesima specie” di quello per cui si procede; 2) di un’inconferente valorizzazione del possibile reato di truffa ai danni delle persone anziane mediante mezzo informatico, che il ricorrente potrebbe perpetrare ove non sottoposto alla misura di custodia cautelare in atto. Non adeguatamente considerata, infatti, è stata la totale diversità dei reati (diversi per natura, contesto temporale, tipologia delle persone offese, modalità esecutive) già ascritti al ricorrente in passato. Né si è considerata la mancanza di competenze informatiche in capo al NOME. Si eccepisce, infine, la mancata “verifica del comportamento dell’imputato a livello
domiciliare, con particolare riferimento al braccialetto elettronico” (p. 6 del rico e la mancata disamina della disponibilità di tale strumento di controllo.
2.3 Col terzo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 275 del codice di rito, anche in riferimento all’attualità esigenze cautelari. Non adeguatamente motivato è il giudizio in tema di adeguatezza di meno afflittive misure cautelari. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il pericolo di inquinamento probatorio potrebbe essere scongiurato anche con la misura degli arresti domiciliari, anche considerando la fragili dell’argomento, valorizzato dal Tribunale, secondo cui il ricorrente potrebb avvalersi di mezzi informatici per realizzare altri reati ai danni delle pers anziane. Quanto al pericolo di fuga, è stato illogicamente sottovalutato il dato de stabile radicamento familiare del RAGIONE_SOCIALE su territorio italiano. In definitiv giudizio sull’attualità del pericolo non ha tenuto in conto 1) il tempo trascorso d commissione dei fatti 2) l’assenza di precedenti penali specifid 3) l’avvenu risarcimento 4) l’idoneità del domidlio per l’applicazione della misura degli arre domiciliari
2.4 Col quarto motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione dell’idoneità del domicilio a soddisfare le esigen cautelari in caso di applicazione di meno afflittive misure cautelari. Illogica sare la considerazione del Tribunale secondo cui la pregressa misura degli arresti domidliari, disposta presso il medesimo luogo oggi indicato, avrebbe valenza deterrente.
Sono state trasmesse le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, sia perché generico e aspecifico, sia perché la censura difensiva si pone in palese contrasto con giurisprudenza di legittimità – correttamente applicata al caso in scrutinio Tribunale del riesame – secondo cui «il giudice dell’appello cautelare, chiamato decidere dopo una sentenza di condanna appellabile relativa ai fatti per i quali e stata emessa la misura coercitiva, può valutare», al fine di verificare permanenza dei gravi indizi di colpevolezza, gli eventuali elementi sopravvenuti che siano idonei ad incidere sul quadro probatorio, ma non quelli che siano in grado di inficiare la legittimità delle prove su cui la condanna medesima è fondata circostanze queste ultime che vanno proposte al giudice di appello nel giudizio di merito» (Sez. F, n. 41667 del 14/08/2013, COGNOME, Rv. 257355 – 01; Sez. 6, n.
41104 del 19/06/2008, Scozia, Rv. 241483 – 01. V. anche Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 272398 – 01: «in tema di provvedimenti “de libertate”, la decisione cautelare non può porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, pur non irrevocabile, emessa in ordine ai medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, stante la relazione di strumentalità esistente tra il procedimento incidentale e quello principale; pertanto la sopravvenienza di una sentenza di condanna fa venir meno l’interesse dell’indagato alla procedura di riesame – anche in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione – con riferimento al profilo concernente la verifica dell’originaria sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, salvo che risultino dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare»;).
Peraltro, nel motivo in esame, la difesa non ha né contrastato, in maniera puntuale, il giudizio di gravità indiziaria confermato dal giudice dell’appello sulla scorta dell’ordinanza genetica, né introdotto elementi di prova nuovi suscettibili, come ricordato dalla citata giurisprudenza, di fornire un’eventuale, diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare. Invero, il ricorrente si è limitato a lamentare l’illegittimità del riferimento, operato dal Tribunale del riesame, a un procedimento penale ancora in corso, in cui” la responsabilità del ricorrente non è stata ancora accertata in via definitiva; sicché i giudici dell’appello cautelare avrebbero tratto “il valore di giudicato da un procedimento penale ancora in corso” (p. 3 del ricorso). Tale deduzione è inammissibile, in quanto prescinde del tutto dalla trama di rapporti -contrassegnati, al contempo, da reciproca autonomia, ma anche da strumentalità- tra la decisione cautelare, inserita nel procedimento incidentale, e contenuto della sentenza, scaturita dal procedimento principale: a tal proposito, deve ricordarsi che «la decisione cautelare, inserita nel procedimento inddentale, non può porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, anche non irrevocabile, emessa nel processo principale, dovendo l’autonomia della decisione cautelare (in conformità anche con quanto enunciato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 71 del 1996) inquadrarsi pur sempre nel rapporto strumentale esistente tra i due procedimenti (sull’argomento cfr. anche Sez. 5, n. 22235 del 07/05/2008, COGNOME, Rv. 240425; Sez. 1, n. 13040 del 23/01/2001, Avignone, Rv. 218582)»: così Sez. 1, COGNOME, Rv. 272398 – 01, cit., in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si osserva, per inciso, che il rapporto tra i due procedimenti (quello principale, da cui è scaturita la sentenza non ancora irrevocabile e quello cautelare) risulta sufficientemente delineato nell’impugnato procedimento, avendo il Tribunale evidenziato il nessò tra la sentenza di condanna (relativa “a plurimi reati di furti in abitazione ai danni di persone anziane, aggravati e continuati”: p. 8 dell’impugnato
provvedimento) e gli esiti delle attività investigative, che hanno permesso di acquisire ulteriori elementi a sostegno del giudizio di gravità indiziaria relativo ai delitti provvisoriamente ascritti.
2. È infondato il secondo motivo, nella parte in cui si contesta, con riferimento all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il giudizio in tema di esigenze cautelari, avendo il Tribunale 1) qualificato correttamente i precedenti penali del ricorrente nei termini di delitti della medesima specie rispetto a quelli per cui è stata disposta la misura cautelare (vertendo infatti, quei precedenti, anche su tentati furti in abitazione), 2) disatteso con argomentazioni razionali, oltre che fondate in diritto, le eccezioni difensive, osservando che né il mero decorso del tempo -rispetto all’inizio dell’applicazione della misura cautelare- né l’osservanza delle prescrizioni alla stessa relative sono elementi suscettibili di integrare un fatto nuovo, rilevante per l’Invocata sostituzione della misura (cfr. Sez. 2, n. 21424 del 20/04/2011, Filia, Rv. 250253; Sez. 5, n. 16425 del 02/02/2010, Iurato, Rv. 246868 – 01: «in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare»).
L’argomento della distanza temporale dei precedenti indicati dal Tribunale (l’ultimo furto tentato in abitazione risalendo al 2016) non può vantare sufficiente forza, tale da disarticolare il giudizio offerto dal collegio. E, infatti, se è vero, come affermato da questa Suprema Corte, che la continuità del periculum libertatis, nella sua dimensione temporale, va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, è vero anche essa può desumersi altresì dalla presenza di elementi indicativi recenti idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (ex multis, v. Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265618; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767). Tali elementi indicativi recenti emergono limpidamente dalla motivazione dell’impugnata ordinanza, dove si è rimarcato, tra l’altro: 1) il breve lasso di tempo -un mese- in cui i furti, provvisoriamente ascritti, sono stati compiuti; 2) la personalità avvezza a sistematica e frenetica attività predatoria; 3) l’elevato tasso di efficacia criminosa delle condotte, poste in essere con svariati accorgimenti e cautele.
Il Collegio ritiene, invece, fondato il ricorso, nella parte in cui (motivi terzo e quarto) si è eccepita violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione di cui all’art. 275 cod. proc. pen.
Fermo restando quanto sopra (sub 2) riferito in merito alla correttezza della valutazione dei presupposti di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (precisazione, questa, necessaria, posto che il ricorrente tende a compattare, in motivi diversi, le doglianze relative tanto all’applicazione degli artt. 274, comma 1, lett. c), quanto a quelle concernenti l’art. 275 cod. proc. pen.), si osserva quanto segue. Nel denegare la meno afflittiva misura cautelare degli arresti domidliari, la motivazione dell’impugnato provvedimento valorizza la possibilità della commissione di reati di truffa ai danni delle persone anziane mediante mezzo informatico, che il ricorrente potrebbe perpetrare ove sottoposto a misure cautelari diverse da quella di custodia cautelare in atto. Tale riferimento (ai possibili reati di truffa con mezzo informatico ai danni di anziani) è tuttavia meramente ipotetico, non riscontrandosi, in motivazione, elementi concreti e specifici (non v’è traccia, ad esempio, di eventuali competenze informatiche del ricorrente) cui ancorare la valutazione del Tribunale in merito alla inidoneità di meno afflittive misure cautelari a fronteggiare le esigenze cautelari nel caso concreto. In altre parole, non è sufficientemente chiarito perché s’imponga – a parere dei giudici della cautela – “la necessità di una misura cautelare inframuraria in considerazione anche del fatto che le modalità operative di altre tipologie di truffe possono essere realizzate anche da remoto, non necessitando per alcuni ruoli della presenza fisica nei luoghi” (p. 8 dell’impugnato provvedimento).
Inoltre, come lamentato dal ricorrente, non sono state rese più specifiche ragioni in merito alla ritenuta inidoneità del domidlio indicato dal ricorrente (presso il domicilio della compagna, sito all’interno di un terreno recintato di proprietà di quest’ultima, nell’insediamento sinti di Muggiano, Milano) come possibile luogo di esecuzione della misura di cui all’art. 284 cod. proc. pen.
Ribadendo quanto già espresso nell’ordinanza genetica, il Tribunale si è limitato a evidenziare, in maniera generica, la sussistenza di “una rete di appoggi logistici anche all’interno dell’insediamento sinti di Muggiano” (pp. 8-9), senza null’altro osservare circa le caratteristiche del domicilio proposto dal ricorrente (comunque recintato, come ricordato dal Tribunale stesso). Si potrà ritenere che un’abitazione recintata, all’interno di un insediamento sinti, non basti comunque a isolare il ricorrente da contatti esterni; ma, in tal caso, occorrerà -come stabilito da consolidata giurisprudenza di questa Corte- una più esplicita motivazione, che illustri più nitidamente le ragioni dell’inadeguatezza della misura degli arresti domidliari a contenere le esigenze di cautela (v., ex plur., Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, COGNOME, Rv. 284982 – 01: «in tema di esigenze cautelari, nei
procedimenti relativi a delitti per i quali non vige il regime speciale delle presunzioni sancito dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., l’apprezzamento circa l’inidoneità della cautela domidliare, anche eventualmente con controllo a distanza, deve basarsi sull’esplicita valutazione, non formulabile in maniera apodittica, delle specifiche ragioni indicative dell’inadeguatezza di ogni affidamento fiduciario e dell’esclusiva idoneità della custodia intramuraria a contenere le esigenze di cautela»).
Le peculiarità del proposto domicilio avrebbero imposto la concreta valutazione, da parte del giudice cautelare, dell’idoneità del contesto abitativo ad assicurare, o meno, le esigenze cautelari, tenuto conto delle caratteristiche ambientali e strutturali della soluzione abitativa prospettata dal ricorrente e della effettiva possibilità delle forze di polizia di eseguire i dovuti controlli (Sez. 6, n 5371 del 08/10/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223837 – 01: «in tema di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domidliari, laddove la relativa richiesta riguardi un ‘campo nomadi’, il giudice deve valutare in concreto la idoneità di tale contesto abitativo ad assicurare le esigenze cautelari, tenuto conto delle sue caratteristiche ambientali e strutturali e della effettiva possibilità delle forze di polizia di eseguire i dovuti controlli»; i applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento con cui la Corte di appello aveva rigettato la richiesta di sostituzione della misura cautelare carceraria a fini estradizionali, basandosi su una astratta inidoneità del campo nomadi a fronteggiare il pericolo di fuga).
Neppure è sufficiente affermare -come ritenuto invece dal Tribunale, senz’altra specificazione- che un precedente periodo di detenzione domiciliare già eseguito comprovi ulteriormente la necessità della custodia cautelare in carcere come unica e proporzionata misura, idonea a salvaguardare le esigenze cautelari. Al riguardo, è appena il caso di osservare che, nell’attuale regime processuale delle misure cautelari, la custodia in carcere è chiaramente configurata come extrema ratio, alla quale deve ricorrersi, secondo quanto stabilito dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., quando ogni altra opzione risulti inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Pertanto, le misure diverse dalla custodia carceraria devono considerarsi come la soluzione alla quale ordinariamente ricorrere, salvo che il giudice’ della cautela non illustri, con adeguata e specifica motivazione, le ragioni dell’assenza di alternative alla restrizione carceraria (Sez. 4, n. 32385 del 30/05/2023, Cisse, Rv. 284928, in motivazione; Sez.1, n.31769 del 25/09/2020, NOME COGNOME Rv.280198).
Ne consegue che, contrariamente a quanto deciso del Tribunale, non può ritenersi legittimamente assorbita la questione della idoneità del domicilio, dovendo, invece, il giudice dell’appello cautelare motivare più specificamente sul
punto. Medesime osservazioni valgono in tema di sull’opportunità, o meno, di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’a 275-bis cod. proc. pen.: soltanto dopo aver adempiuto all’onere motivazionale sopra indicato, relativo alla idoneità, o meno della misura di cui all’art. 284 codice di rito, potrà, in ipotesi, ritenersi implicitamente motivato il dinieg siffatto regime cautelare fiduciario (cfr. ad es., (Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762 – 01: «il giudizio del tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’inopportunità di impiego di uno degli strumenti elettronici di control a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen.»: in motivazione, la Corte precisato che deve ritenersi assolto l’onere motivazionale sulla assolut proporzionalità della misura carceraria quando si esclude in radice l’idoneità de regime cautelare fiduciario, ordinariamente caratterizzato dal controll elettronico).
Per i motivi fin qui illustrati, il Collegio ritiene che l’ordinanza impugna vada annullata, con rinvio al Tribunale di Milano per un nuovo giudizio in tema di 1) criteri di scelta della misura cautelare personale; 2) idoneità del domici indicato dal ricorrente; 3) impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con, rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Milano. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 22/11/2024
Il consigliere estensore
Il pfesidento