Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6877 Anno 2024
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Penale Sent. Sez. 2   Num. 6877  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a San Vito sullo Ionio il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la ordinanza in data 12/07/2023 del Tribunale di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5 -duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 12/07/2023, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso I”ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro in data 04/04/2023 con la quale era stata respinta l’istanza volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere nonché la revoca o la sostituzione della stessa in relazione ai delitti di partecipazione ad associazione per delinquere aggravata dalle circostanze di cui agli art -t. 416-bis. 1 e 61 -bis cod. pen. nonché per vari fatti di autoriciclaggio e contrabbando aggravati dalla finalità mafiosa.
 Avverso la predetta ordinanza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, per i motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 303 cod. proc. pen., difetto e illogicità della motivazione. Il COGNOME veniva riconosciuto in primo grad colpevole dei reati ascrittigli, unificati dal vincolo della continuazione, condannato alla pena finale, già ridotta per il rito abbreviato, di anni sette e mesi dieci di reclusione, così determinata: pena base per il delitto di cui agli artt. 476 416-bis.1 cod. pen. anni cinque e mesi quattro di reclusione, aumentata di mesi tre di reclusione per il reato di cui all’art. 40, commi 1 e 4, d.lgs. n. 504/199 (medesimo capo B2.1), ulteriormente aumentata di mesi tre di reclusione per il reato di cui al capo B1, nonché di ulteriori tre mesi di reclusione per ciascuno dei reati satellite (capi 52.2, 5.2 bis, B2.3, B3.1, B3.2, B3.8, B3.9, B3.12, B4.1, B4.2, 54.3, B5, B6 ter).
Il ricorrente reitera la censura con la quale ha inteso lamentare che il più favorevole inquadramento della fattispecie ascrittagli in sentenza (e cioè con condanna determinata con identificazione del fatto più grave in quello del falso ideologico) avrebbe dovuto determinare, su impulso dell’istante, una caducazione immediata della misura, per perdita di efficacia, ovvero la rivisitazione del quadro cautelare, precisando, con motivazione rafforzata, le eventuali ragioni giustificanti il permanere della misura più afflittiva. L’accademica e parcellizzata motivazione del Tribunale non coglie nel segno; invero, pur prendendo posizione circa l’impraticabile effetto retroattivo della rivalutazione cautelare, non affronta il tem proposto circa la necessarietà di un nuovo vaglio di valutazione dell’idoneità della misura applicata a fronte dell’intervento della pronuncia di primo grado che, dinanzi l’obbligo di ricercare la “prova” e non più l’indizio, ha certamente mutato
le valutazioni sommarie rese in fase cautelare, fornendo certamente nuovi elementi di necessario apprezzamento ai fini della cautela.
Secondo COGNOME motivo: COGNOME difetto, COGNOME apparenza, COGNOME manifesta COGNOME illogicità COGNOME e/o contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 275 cod. proc. pen. Il provvedimento impugnato si rivela poi del tutto monco ed apparente circa la richiesta valutazione del c.d. tempo silente. Ha errato il Tribunale laddove non ha inteso considerare, stante l’evidenza di un significativo lasso temporale tra il momento di adozione del provvedimento genetico della misura cautelare e l’epoca di commissione dei reati contestati e, soprattutto, come accaduto nella fattispecie, avendo la difesa rappresentato una serie di circostanze specifiche indicative dell’allontanamento dell’imputato dai contesti di criminalità organizzata in cui quelle condotte delittuose erano state tenute. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso è inammissibile.
2. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il primo motivo.
Il ricorrente non si confronta con le corrette valutazioni del Tribunale che, dopo aver premesso che, nella fase delle indagini preliminari e in quella del giudizio, la locuzione “delitto per il quale si procede”, va riferita al reato contestat nel provvedimento restrittivo originario, salvo che si sia fatto luogo, nelle more, all’emissione di una nuova ordinanza cautelare con la quale sia stata operata una riqualificazione del fatto ovvero siano state recepite le modifiche dell’imputazione ovvero le contestazioni suppletive del pubblico ministero, ha tuttavia precisato che:
-l’eventuale modifica della qualificazione giuridica risulta irrilevante rispetto all fasi processuali già esauritesi;
-nella fattispecie, in ogni caso, non vi era stata riqualificazione suscettibile d incidere ai fini cautelari, non essendo stata esclusa l’aggravante mafiosa per nessuno dei plurimi reati contestati al COGNOME, con conseguente applicabilità del limite temporale di cui al n. 3 dell’art. 303, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., pari ad un anno: in tal senso, insegna la giurisprudenza che, in tema di durata massima della custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari, la norma dell’art. 303, comma 1, lett. a), n. 3 cod. proc. pen. – che eleva ad un anno il termine relativo ai delitti di cui alla lett. a) del comma 2 dell’art. 407, a condizione che per gli stes sia prevista una pena superiore nel massimo a sei anni – si riferisce alla pena computata secondo il disposto dell’art. 278 cod. proc. pen., e dunque anche ai delitti la cui sanzione edittale ecceda i sei anni solo per la concorrenza di
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circostanze aggravanti ad effetto speciale o che comportino l’applicazione di pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (Sez. 1, n. 25041 del 09/05/2002, COGNOME, Rv. 222709, nella cui parte motiva la S.C. ha escluso che, riguardo a delitti segnati dall’uso del metodo mafioso o dal fine di agevolazione delle associazioni mafiose – per tale ragione aggravati secondo il disposto dell’art. 7 del di. 13 maggio 1991, n. 152, ed al tempo stesso ricondotti alla previsione dell’art. 407, comma 2, lett. a), n. 3 cod. proc. pen. – possa configurarsi una indebita duplicazione di effetti sfavorevoli, posto che il legislatore può ben valorizzare la particolare gravità di un fatto sia in senso quantitativo che in senso qualitativo).
Aspecifico e comunque manifestamente infondato è anche il secondo motivo.
3.1. Questa Suprema Corte ha già affermato che, in tema di misure cautelari, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui al legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale, privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità. Il tempo, infatti, può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, COGNOME, Rv. 285272; Sez. 6, n. 53028 del 6/11/2017, COGNOME, Rv. 271576; Sez. 6, n. 29807 del 4/05/2017, COGNOME, Rv. 270738; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, COGNOME, Rv. 267995; Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2C16, Gallo, Rv. 268727).
In altri termini, deve ritenersi che la presunzione menzionata tenda ad affievolirsi quando un considerevole arco temporale separi il momento di consumazione del reato da quello dell’intervento cautelare.
3.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha rilevato l’assenza di elementi in grado di escludere la ricorrenza delle esigenze cautelari ovvero l’inadeguatezza di misure meno afflittive, ancorando il giudizio di concretezza e attualità alle connotazioni del fatto, alla personalità del reo, al ruolo di primo piano svolto ed al contesto criminale di riferimento, con recessività dei dati astrattamente favorevoli, rappresentati dallo stato di incensuratezza, dalla disgregazione del sodalizio e dalla risalenza dei fatti all’anno 2019.
In particolare, con riferimento al dato temporale, l’ordinanza ne ha evidenziato il carattere “neutro” per le ragioni già indicate nell’ordinanza del 31/03/2022 ed espressamente richiamata; né alcun elemento favorevole poteva
trarsi, ai fini della richiesta attenuazione del quadro cautelare, dalla valutazione delle posizioni dei coimputati, avuto riguardo alla specificità del ruolo e della condotta del ricorrente (condannato in primo grado dal Gup presso il Tribunale di Catanzaro con sentenza in data 05/10/2022 alla pena di anni sette e mesi dieci di reclusione) nonchè dei suoi accertati contatti (connotati da attualità e concretezza) nel settore del contrabbando oltre i confini della mafia locale.
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa emergenti dal ricorso, in favore della Cassa delle ammende. Manda la Cancelleria agli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda la Cancelleria agli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 12/01/2024.