LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Misure cautelari e art. 297: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato che chiedeva di dichiarare inefficace una seconda misura cautelare. La Corte ha chiarito che, ai fini della retrodatazione dei termini di durata massima, non è sufficiente che i fatti fossero genericamente noti, ma è necessario che al momento della prima ordinanza l’autorità giudiziaria disponesse già di un quadro probatorio completo e sufficiente per emettere anche la seconda. La sentenza ribadisce i rigorosi criteri di applicazione dell’art. 297 c.p.p. in materia di misure cautelari.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure cautelari multiple: quando i termini si unificano?

La gestione delle misure cautelari nel processo penale rappresenta un tema di cruciale importanza, bilanciando le esigenze di giustizia con la libertà personale dell’individuo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7464/2025) offre spunti fondamentali per comprendere l’applicazione dell’art. 297 del codice di procedura penale, che disciplina la durata delle misure quando vengono emesse più ordinanze per fatti connessi. La Corte, nel dichiarare inammissibile un ricorso, ha tracciato una linea netta tra la mera ‘conoscibilità storica’ dei fatti e la ‘desumibilità’ processuale degli elementi necessari per l’emissione di un nuovo provvedimento restrittivo.

I fatti del caso

Il ricorrente, già sottoposto a una misura cautelare nell’ambito di un’operazione antimafia denominata ‘Magma’, si vedeva notificare una seconda ordinanza per fatti diversi, ma a suo dire connessi, emersa da un’altra indagine (‘Handover’). La difesa sosteneva che i fatti alla base della seconda ordinanza erano già noti o, quantomeno, ‘desumibili’ dagli atti della prima indagine. Di conseguenza, chiedeva la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima della seconda misura, facendoli partire dalla data di esecuzione della prima, con l’effetto di renderla inefficace per superamento dei limiti di legge.

Il Tribunale del Riesame aveva respinto tale richiesta, sottolineando che, al momento dell’emissione della prima ordinanza, l’ufficio inquirente non disponeva ancora di un quadro indiziario sufficientemente grave e completo per procedere anche per i reati contestati successivamente. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione.

L’applicazione delle misure cautelari e la ‘desumibilità’

Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’interpretazione del concetto di ‘desumibilità’ ai sensi dell’art. 297 c.p.p. La difesa del ricorrente lamentava che il Tribunale avesse errato nel non considerare che le informative di reato di entrambe le operazioni provenivano dallo stesso contesto investigativo, rendendo i fatti della seconda indagine noti fin da subito. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa impostazione.

La Corte ha specificato che la ‘desumibilità’ non equivale a una semplice conoscenza storica di determinate vicende. Per attivare la retrodatazione dei termini, è necessario che il pubblico ministero, al momento della prima ordinanza, si trovi nella ‘effettiva condizione di servirsi di un quadro indiziario connotato da gravità sufficientemente compiuto ed esauriente’ per formulare la seconda richiesta cautelare. Questo significa avere a disposizione non solo informazioni generiche, ma elementi idonei a sostenere un giudizio prognostico sulla colpevolezza e sulla necessità della misura.

La connessione tra reato associativo e reati-fine

Un altro punto sollevato dalla difesa riguardava la connessione tra il reato associativo mafioso (contestato nella prima ordinanza) e i reati-fine di estorsione (oggetto della seconda). Secondo un orientamento consolidato, la continuazione tra questi reati, rilevante ai fini dell’art. 297 c.p.p., si configura solo quando i reati-fine erano già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della costituzione del sodalizio criminale.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che tale programmazione non era stata dimostrata. L’associazione era contestata a partire dal 2010, mentre l’estorsione risaliva al 2017. Inoltre, il ruolo del ricorrente nel primo procedimento era legato al traffico di droga, non all’ambito estorsivo, elemento che indeboliva ulteriormente la tesi di una connessione stringente tra i due contesti criminali.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile basandosi su una serie di motivazioni chiare. In primo luogo, ha ribadito che la valutazione sulla ‘desumibilità’ degli elementi è un giudizio di fatto che, se logicamente motivato dal giudice di merito (come in questo caso), non può essere riconsiderato in sede di legittimità. Il Tribunale del Riesame aveva correttamente evidenziato che elementi cruciali, come le schede personali degli indagati per definirne il ruolo, erano pervenuti solo dopo l’emissione della prima ordinanza.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato la genericità delle argomentazioni difensive sulla programmazione dei reati-fine, ritenendole insufficienti a dimostrare quel legame operativo richiesto dalla giurisprudenza per unificare i termini delle misure cautelari. Infine, la Cassazione ha qualificato le censure del ricorrente come un tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione delle circostanze fattuali, un’operazione preclusa in sede di legittimità. Per queste ragioni, il ricorso è stato respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la regola della retrodatazione dei termini non è automatica. L’onere di dimostrare che gli elementi per la seconda misura erano già concretamente e processualmente disponibili al momento della prima ricade su chi la invoca. La ‘conoscibilità’ deve essere effettiva e sostanziale, non meramente potenziale o storica. La decisione offre un importante vademecum per gli operatori del diritto, chiarendo che ogni provvedimento restrittivo deve fondarsi su un compendio indiziario autonomo e maturo, e che solo in presenza di una piena ‘desumibilità’ è possibile unificare la decorrenza dei termini di custodia, a garanzia sia dell’efficacia dell’azione penale sia dei diritti fondamentali dell’indagato.

Quando si applica la retrodatazione dei termini per le misure cautelari in caso di più ordinanze?
Si applica solo quando, al momento dell’emissione della prima ordinanza, l’autorità giudiziaria disponeva già di tutti gli elementi idonei e sufficienti (un quadro indiziario grave, compiuto ed esauriente) per emettere anche la seconda ordinanza cautelare. Non basta una generica conoscenza dei fatti.

Cosa intende la Cassazione per ‘desumibilità’ degli elementi di prova ai fini dell’art. 297 c.p.p.?
Per ‘desumibilità’ non si intende la mera conoscibilità storica di alcuni fatti, ma la condizione di conoscenza derivata da un compendio documentale o dichiarativo che consenta al pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico sulla concludenza e gravità degli indizi, tale da giustificare una nuova richiesta di misura cautelare.

In che condizioni un reato-fine (es. estorsione) si considera connesso a un reato associativo mafioso ai fini della durata delle misure cautelari?
Si considera connesso, ai fini della retrodatazione del termine di durata della misura, solo quando il reato-fine era già stato programmato, almeno nelle sue linee essenziali, sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso. Una contestazione generica di tale programmazione non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati