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Misure alternative: la firma del latitante non serve?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva le misure alternative alla detenzione. Sebbene la legge esoneri il latitante dall’obbligo di firmare personalmente l’istanza, la Corte ha specificato che tale condizione di latitanza deve essere formalmente comunicata al giudice che decide. In assenza di tale comunicazione, l’istanza presentata dal solo difensore, senza firma o procura speciale, è inammissibile.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure alternative: quando la firma del condannato non è necessaria

L’accesso alle misure alternative alla detenzione rappresenta un momento cruciale nell’esecuzione della pena. La legge, tuttavia, impone requisiti formali precisi per la presentazione dell’istanza, tra cui la dichiarazione o elezione di domicilio firmata dal condannato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 31680/2025, affronta un caso particolare: cosa accade se il condannato è latitante? Si applica ugualmente tale requisito? La pronuncia offre chiarimenti fondamentali sul bilanciamento tra garanzie difensive e oneri procedurali.

I Fatti del Caso

Un giovane, condannato con pena sospesa ai sensi dell’art. 656, comma 5, c.p.p., presentava tramite il suo difensore un’istanza per essere ammesso a misure alternative alla detenzione. Il Tribunale per i minorenni, in funzione di Tribunale di sorveglianza, dichiarava l’istanza inammissibile. La ragione era puramente formale: mancava la dichiarazione o elezione di domicilio validamente sottoscritta dal condannato o da un suo procuratore speciale, come richiesto dall’art. 677, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Il difensore proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che tale requisito non dovesse applicarsi al suo assistito. La tesi difensiva si basava sul fatto che il condannato, al momento della presentazione dell’istanza, si trovava in stato di latitanza. Secondo un consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sentenza Mammoliti, 2010), l’onere della sottoscrizione personale viene meno per chi si è volontariamente sottratto all’esecuzione della pena. Il ricorrente affermava di essersi reso rintracciabile solo in un momento successivo, per conferire il mandato per il ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle misure alternative

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile perché manifestamente infondato. Pur confermando il principio di diritto secondo cui il latitante è esonerato dall’obbligo di sottoscrizione, i giudici hanno sottolineato un aspetto procedurale decisivo: la condizione di latitanza non era mai stata comunicata né documentata al Tribunale per i minorenni.

Anzi, l’istanza originale presentata dal difensore indicava un preciso domicilio per il condannato, senza fare alcun cenno alla sua irreperibilità. Di conseguenza, il giudice di sorveglianza non aveva elementi per derogare alla regola generale.

Le motivazioni

La Cassazione ha chiarito che il giudice non ha l’obbligo di condurre indagini d’ufficio per verificare se un condannato sia latitante. L’onere di allegare e provare tale circostanza eccezionale ricade sulla parte che intende avvalersene. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che tutte le ragioni e i documenti a sostegno della propria tesi siano presentati al giudice competente.

Nel caso di specie, il Tribunale per i minorenni ha correttamente applicato la legge: di fronte a un’istanza priva della sottoscrizione del condannato e senza alcuna giustificazione formale (come la procura speciale o la documentata latitanza), non poteva che dichiararla inammissibile. La decisione del Tribunale, pertanto, è stata giudicata “inecepibile al vaglio di legittimità”. La difesa avrebbe dovuto esplicitare fin da subito la condizione di latitanza del proprio assistito per poter beneficiare della deroga prevista dalla giurisprudenza.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: le eccezioni procedurali, anche se fondate su principi di diritto consolidati, devono essere formalmente rappresentate al giudice. La condizione di latitanza esonera sì il condannato da alcuni oneri formali per l’accesso alle misure alternative, ma tale status deve essere chiaramente e tempestivamente comunicato nell’atto difensivo. In assenza di tale specificazione, prevale la regola generale che impone la sottoscrizione personale o tramite procura speciale, a pena di inammissibilità dell’istanza.

È sempre necessaria la firma del condannato sull’istanza per le misure alternative alla detenzione?
Di norma sì. La legge (art. 677, comma 2-bis, c.p.p.) richiede che l’istanza sia corredata da una dichiarazione o elezione di domicilio sottoscritta dal condannato o da un suo procuratore speciale, pena l’inammissibilità.

Cosa succede se il condannato è latitante al momento della presentazione dell’istanza per le misure alternative?
In questo caso, secondo la giurisprudenza consolidata (Sez. U, Mammoliti, 2010), l’obbligo di sottoscrizione personale non si applica. Il difensore può presentare l’istanza senza la firma del condannato.

Il giudice è tenuto a verificare d’ufficio se un condannato è latitante prima di decidere sull’istanza?
No. La sentenza chiarisce che il giudice non ha alcun obbligo di indagine in tal senso. È onere della difesa comunicare e documentare esplicitamente nell’istanza la condizione di latitanza del proprio assistito per poter beneficiare della deroga all’obbligo di firma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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