Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33321 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33321 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/01/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni del PG NOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta, avanzata da NOME COGNOME, volta ad ottenere, in via gradata, la concessione delle misure alternative dell’affidamento in prova ai servizi sociale, della semilibertà e dell detenzione domiciliare.
Osserva a ragione della decisione che il condannato vanta plurimi precedenti penali per fatti, principalmente correlati allo spaccio di stupefacenti, commessi in epoca recente, anche immediatamente dopo avere goduto della misura alternativa della detenzione domiciliare ed ha proposto attività lavorativa dotata di limitata
valenza risocializzante e, comunque, inidonea a fronteggiare il pericolo quanto mai concreto di reiterazione dei reati.
Avverso la decisione ha proposto ricorso il condannato, a mezzo del difensore, articolando tre censure con cui deduce illogicità e mancanza di motivazione con riferimento alla idoneità delle misure alternative, ai loro requisiti di accesso e mancanza di motivazione con riferimento alla richiesta di applicazione della detenzione domiciliare.
Lamenta che l’apparato giustificativo è stato fondato esclusivamente sui precedenti penali e sulle informazioni di polizia, senza prendere in alcuna considerazione, anche a causa di una istruttoria carente non sviluppatasi neanche con la richiesta di informazioni socio familiari all’UEPE, il comportamento, largamente positivo, tenuto dal condannano dopo il nuovo reato.
La reiterazione dell’attività delittuosa dopo l’esecuzione di una misura alternativa è stata considerata automaticamente ostativa ad una nuova concessione del beneficio nonostante la ratio della normativa attuale, volta ad evitare ‘esperienza carceraria ai condannati a pene detentive brevi.
Non vi è alcuna valutazione sull’idoneità della misura dell’affidamento in prova a contribuire all’effettivo reinserimento di condannato nella società, pur trattandosi di prognosi ritenuta fondamentale dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.
L’attività lavorativa è stata definita non risocializzante in termini apoditti senza nemmeno attendere il completamento dell’attività istruttoria disposta per verificare l’idoneità e la concretezza.
Non è alcuna motivazione sulla richiesta di applicazione della detenzione domiciliare nonostante deponesse per l’accoglimento la personalità del condannato che in passato ha sempre costantemente osservato le prescrizioni imposte dalle misure alternative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tutte le censure, che possono esser esaminate congiuntamente in ragione della connessione logica dlele questioni poste, non superano il vaglio di ammissibilità.
Va, in premessa, ricordato che, ai fini della concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta serbata dal condannato in epoca successiva. Nel
giudizio prescritto dall’art. 47 Ord. pen. è indispensabile l’esame dei comportamenti attuali del condannato perché non è sufficiente verificare l’assenza di indicazioni negative, ricavabili senz’altro dal passato (si pensi ai precedenti penali), ma è necessario accertare in positivo la presenza di elementi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva. Si deve, pertanto, avere riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per i quali è stata inflitta la condanna esecuzione, per verificare concretamente se sussistano, o no, sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa; ciò non significa acquisire dai risultati dell’osservazione della personalità la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo, al contrario, sufficiente l’avvio di tale processo critico (ex plurimis Sez. 1, n. 3180 del 09/07/2009, Gobbo, Rv. 244322 e, più di recente, Sez. 1, n. 31420 del 2 05/05/2015, COGNOME, Rv. 264602).
2. Orbene, l’ordinanza impugnata, nell’evidenziare le ragioni a sostegno della 4)5k-Z5c– decisione, ha evidenziato che, a presieder -dalle informative socio familiari, non erano comunque ravvisabili i presupposti per la concessione di alcuna delle misure alternative richieste, compresa, quindi la detenzione domiciliare, per l’elevato, attuale e concreto rischio di recidivanza. Deponevano, in particolare, per l’esito infausto della prognosi sulla capacità a delinquere, sempre necessaria, per l’ammissione alle misure alternative, la personalità, fortemente negativa del condannato il quale, oltre al reato oggetto della condanna in esecuzione, era gravato dai carichi pendenti e dai precedenti penali specifici, alcuni dei quali attestanti la recente reiterazione dei reati in materia di spaccio di stupefacenti i epoca immediatamente successiva alla misura alternativa concessagli, e, infine, dalle informazioni degli organi di polizia, tutte negative. Per di più, il condannat si era dimostrato inaffidabile avendo allegato attività lavorative sulle quali aveva fornito elementi così evanescenti da rendere impossibile, in due occasioni, il necessario controllo da parte della polizia giudiziaria ed aveva chiesto di scontare la detenzione domiciliare in abitazione ubicata in una zona ad alta densità criminale.
Di contro, il ricorrente ha opposto, in termini generici, una lettura alternativ dei medesimi elementi fattuali, finendo, in tal modo, non per denunciare specifiche criticità del percorso motivazionale o violazioni di legge, ma per sollecitare apprezzamenti riservati al giudice del merito ed estranei al giudizio di legittimità
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 16 maggio 2024.