Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17469 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17469 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARLETTA il 30/09/1981
avverso l’ordinanza del 19/12/2024 del Tribunale del Riesame di Bari letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Bari ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di COGNOME Francesco ex art. 310 cod. proc. pen. avverso il provvedimento in data 07/11/2024 della Corte d’Appello di Bari, che ha rigettato l’istanza di revoca o attenuazione della misura cautelare, ovvero di sostituzione del prestabilito orario di adempimento dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
NOME COGNOME ricorre per cassazione deducendo, con unico, articolato motivo, violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 125,
comma 3, cod. proc. pen.; violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. per difetto, contraddittorietà e illogicità della motivazione.
Secondo la difesa, la motivazione del provvedimento è apparente. La parte ricorrente allega la sua sottoposizione da almeno due anni all’obbligo di recarsi presso la caserma dei carabinieri territorialmente competenti ogni giorno per tutti i giorni dell settimana dalle ore 18:00 alle ore 19:00 e, in tale lasso di tempo, di avere rispettato le prescrizioni imposte e serbato una buona condotta, prodigandosi per reperire un regolare rapporto di lavoro a tempo indeterminato part -time, come documentato. Il datore di lavoro gli ha ora offerto un’opportunità di lavoro full -time (da lunedì a venerdì dalle ore 9:00 alle ore 14:00 e dalle ore 15:00 alle ore 18:00), con decorrenza dal 01/11/2024. Tale lavoro è necessario per consentirgli di mantenere la famiglia, il cui ISEE ammonta appena ad C 5.252,03, essendo padre di due figli ed essendo la moglie disoccupata. Anche la sola modifica dell’orario di presentazione alla polizia giudiziaria (invocata in termini di richiesta subordinata) consentirebbe al ricorrente di accogliere la nuova offerta di lavoro e soddisfare le esigenze economiche della propria famiglia, atteso che l’orario imposto dalla stessa Corte territoriale per l’assolvimento dell’obbligo (dalle 18:00 alle 19:00) collide con quello dell’impiego full -time che si estende sino alle ore 18:00, tenuto conto della distanza di almeno 18 km da percorrere dalla sede lavorativa sino alla caserma dei Carabinieri.
La Corte territoriale ha ritenuto che l’adempimento delle prescrizioni inerenti alla misura non osti a un eventuale ampliamento dell’attività lavorativa svolta dal COGNOME e il Tribunale del riesame ha ritenuto di poter integrare il provvedimento impugnato nonostante la sua intrinseca carenza motivazionale. Non è dato evincere alcuna autonoma valutazione circa la sussistenza dei presupposti giuridici legittimanti il mantenimento della misura applicata. La Corte si è limitata a ritenere l’istanza meramente reiterativa di precedenti richieste, trascurando che la difesa aveva allegato alcune novità, quali il mutato stile di vita del COGNOME, il suo progressi reinserimento nel tessuto sociale e una nuova prospettiva di vita orientata alla liceità, sorta in maniera del tutto spontanea.
La difesa invoca l’applicazione del principio secondo il quale il tribunale del riesame ha un potere-dovere di integrazione della motivazione del provvedimento impugnato, ma non può mai completare quella ordinanza cautelare, la cui motivazione non abbia un contenuto dimostrativo dell’effettivo esercizio di una autonoma valutazione da parte del giudicante.
Nell’ordinanza impugnata si è fatto riferimento al principio giurisprudenziale secondo il quale il decorso del tempo non è sufficiente a dimostrare l’attenuazione delle esigenze cautelari, nonostante la difesa avesse allegato i documentati progressi di natura sociale conseguiti dal COGNOME a far data dalla sottoposizione all’obbligo, anche per valutare la proporzionalità della misura.
Tenuto conto del principio della minore compressione possibile della libertà personale nel ricorso si evidenzia come il mantenimento della misura secondo le modalità imposte risulti eccessivamente severo risolvendosi, di fatto, nell’effettiva preclusione dello svolgimento di una regolare attività lavorativa, peraltro con motivazione illogica.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Occorre, in primo luogo, osservare che, contrariamente a quanto allegato dalla difesa, il principio applicabile in tema di appello cautelare è quello secondo il quale è consentito al giudice competente integrare il provvedimento impugnato, rispetto a motivazioni mancanti o non contenenti una autonoma valutazione degli indizi e delle esigenze cautelari o degli elementi forniti dalla difesa, in quanto l’art. 310 cod. pro pen., che disciplina tale forma di impugnazione, non richiama l’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 1114 del 07/12/2022, dep. 2023, COGNOME Rv. 284165 – 01; Sez. 3, n. 845 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME Rv. 265646 – 01: In motivazione, la Corte ha, altresì, precisato che quest’ultima norma ha carattere eccezionale, e quindi è insuscettibile di applicazione analogica, nella misura in cui deroga al principio generale secondo il quale la motivazione del provvedimento impugnato è, di regola, sostituita, nei limiti del devoluto, dalla pronuncia del giudice dell’impugnazione; Sez. 1, n. 27677 del 10/06/2009, COGNOME, Rv. 244718 – 01).
La motivazione è conforme ai principi interpretativi enunciati da questa Corte in quanto i giudici di merito, pur esaminando le circostanze evidenziate dalla difesa, hanno esposto con linearità quali fossero gli elementi circostanziali del fatto che non consentivano di ritenere modificate le esigenze cautelari.
Il ricorso si confronta solo apparentemente con il tenore del provvedimento impugnato, in cui si fa riferimento a un recente provvedimento, emesso in data 30 settembre 2024, reiettivo di analoga istanza.
Difetta ogni confronto con la motivazione resa a pag.3 dell’ordinanza ove, oltre all’irrilevanza del mero decorso del tempo, il Tribunale ha espressamente esaminato l’allegato esercizio di lecita attività lavorativa, ritenendolo indice di reinserime sociale ma non elemento rivelatore di cessazione della pericolosità sociale. Le
allegazioni difensive tendono, a ben vedere, a ottenere dalla Corte di legittimità una diversa valutazione dei fatti allegati, inammissibile in questa sede.
Neppure risulta tralasciato, contrariamente alle allegazioni difensive, il profil della proporzionalità della misura, avendo il Tribunale sottolineato la gravità del fatto sanzionato nei due gradi di merito con la pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione, i numerosi precedenti specifici dai quali il ricorrente è gravato, la condizione di sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, le due violazioni delle prescrizioni correlate alla misura di prevenzione. In merito a tale passo della motivazione il ricorso è silente.
Il passaggio motivazionale inerente alla compatibilità tra le prescrizioni orarie della misura in corso e l’orario di lavoro full-time, calibrato sulla distanza tra luogo di lavoro e caserma dei Carabinieri, non risulta manifestamente illogico e le deduzioni difensive si risolvono in allegazioni in fatto.
Trovano, dunque, applicazione al caso in esame i seguenti principi di diritto, espressi con riguardo al giudizio di cognizione ma generalmente validi in tema di requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione:
«È inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato» (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608 – 01).
«In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, il necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema» (Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282949 – 01).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30/04/2025.