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Misura cautelare: lavoro non basta per la modifica

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo che chiedeva la modifica di una misura cautelare (obbligo di firma) per accettare un nuovo lavoro full-time. Secondo la Corte, sebbene l’impiego sia un segnale positivo di reinserimento sociale, non è di per sé sufficiente a dimostrare la cessazione della pericolosità sociale, specialmente a fronte della gravità del reato commesso e dei precedenti penali. La valutazione sulla necessità della misura cautelare spetta al giudice di merito, che deve bilanciare le esigenze lavorative con quelle di sicurezza pubblica.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misura Cautelare: quando il lavoro non basta a ottenere una modifica

Trovare un lavoro è un passo fondamentale per il reinserimento sociale di chi ha avuto problemi con la giustizia. Ma cosa succede se gli orari del nuovo impiego si scontrano con gli obblighi imposti da una misura cautelare, come quello di recarsi quotidianamente a firmare in caserma? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 17469/2025) offre una risposta netta, stabilendo che le esigenze lavorative, pur importanti, non comportano automaticamente un’attenuazione delle misure restrittive.

I Fatti del Caso: Tra Lavoro e Obblighi Giudiziari

Il protagonista della vicenda è un uomo sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, con il dovere di recarsi in caserma tutti i giorni tra le 18:00 e le 19:00. Dopo aver mantenuto per due anni una condotta irreprensibile, riceve un’offerta di lavoro a tempo pieno, con un orario che termina alle 18:00. Data la distanza di 18 km tra il luogo di lavoro e la caserma, rispettare l’obbligo diventa materialmente impossibile.

L’uomo, padre di due figli con una moglie disoccupata e un ISEE molto basso, presenta un’istanza per ottenere la revoca o, in subordine, una modifica dell’orario della misura, sottolineando come il nuovo lavoro sia essenziale per il sostentamento della sua famiglia e rappresenti un’importante tappa del suo percorso di reinserimento.

Il Percorso Giudiziario e il No dei Giudici

Sia la Corte d’Appello che, successivamente, il Tribunale del Riesame rigettano la richiesta. Pur riconoscendo i progressi compiuti dall’uomo nel suo percorso di reinserimento sociale, i giudici ritengono che le esigenze cautelari che avevano originariamente giustificato la misura non siano venute meno. La valutazione si basa su diversi fattori: la gravità del reato per cui era stato condannato (una pena a 4 anni e 4 mesi di reclusione), i suoi precedenti penali e alcune violazioni passate di altre misure di prevenzione.

La Decisione della Cassazione sulla Misura Cautelare

L’uomo decide di ricorrere in Cassazione, lamentando un difetto di motivazione da parte dei giudici di merito. Tuttavia, la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità chiariscono che il loro compito non è rivalutare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge. Nel caso specifico, il Tribunale del Riesame aveva fornito una motivazione logica e coerente, anche se sintetica.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione su alcuni principi cardine della procedura penale. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico, in quanto si limitava a ripetere le argomentazioni già presentate e respinte nei gradi precedenti, senza un confronto critico con le specifiche ragioni addotte dal Tribunale del Riesame.

In secondo luogo, e più importante, la Corte ribadisce un concetto fondamentale: il reinserimento lavorativo è un elemento positivo, ma non è l’unico fattore da considerare. La decisione sulla persistenza di una misura cautelare richiede un bilanciamento complesso tra il diritto al lavoro e alla libertà personale dell’individuo e le esigenze di tutela della collettività. I giudici di merito hanno il potere-dovere di effettuare questa valutazione complessiva, considerando la personalità del soggetto, la gravità dei fatti pregressi e il rischio concreto di recidiva. Nel caso esaminato, il Tribunale ha ritenuto che la storia criminale dell’imputato giustificasse ancora il mantenimento della misura, nonostante i progressi sociali.

Infine, la Corte ha sottolineato che la valutazione sulla compatibilità pratica tra orario di lavoro e obbligo di firma rientra nell’analisi dei fatti, che non può essere riesaminata in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica, cosa che non è stata ravvisata in questo caso.

Le Conclusioni

Questa sentenza invia un messaggio chiaro: il percorso verso il pieno reinserimento sociale è incoraggiato, ma non annulla le valutazioni sulla pericolosità di un individuo che hanno portato all’applicazione di una misura cautelare. La decisione finale spetta sempre al giudice di merito, che gode di ampia discrezionalità nel bilanciare i diversi interessi in gioco. Per chi si trova in una situazione simile, è cruciale non solo dimostrare di aver trovato un lavoro, ma anche fornire prove concrete di un cambiamento radicale e stabile nel proprio stile di vita, tale da convincere il giudice che le esigenze di controllo e prevenzione si sono effettivamente attenuate.

Ottenere un nuovo lavoro è sufficiente per chiedere la modifica di una misura cautelare come l’obbligo di firma?
No, non è automaticamente sufficiente. Sebbene sia un elemento positivo che indica un percorso di reinserimento sociale, la sua valutazione è rimessa al giudice, che deve bilanciarlo con la gravità del reato commesso, i precedenti penali e la pericolosità sociale del soggetto.

Il Tribunale del Riesame può integrare la motivazione di un provvedimento che impone una misura cautelare?
Sì. Secondo la giurisprudenza citata, in sede di appello cautelare (art. 310 c.p.p.), il giudice ha il potere di integrare le motivazioni del provvedimento impugnato, a differenza di quanto previsto dalle norme più restrittive che regolano il riesame iniziale (art. 309, comma 9, c.p.p.).

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile principalmente perché era generico: si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza confrontarsi in modo specifico con la motivazione del Tribunale. Inoltre, di fatto chiedeva alla Corte una nuova valutazione dei fatti (come la compatibilità tra orari), compito che non spetta alla Cassazione in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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