Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1716 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1716 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG , in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 gennaio 2023 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza ex art. 442 cod. proc. pen. emessa a seguito di opposizione a decreto penale dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Monza, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in ordine al reato di cui all’art.186, comma 2 lett. b) e comma 2 bis, e 186 bis d.lgs 30 aprile 1992 n. 285 , commesso in Monza il 12 settembre 2019, ha disposto la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta dei privati e ha ridotto a mesi sei la durata della sospensione della patente di guida.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso COGNOME, a COGNOME mezzo del difensore, COGNOME formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e in specie degli artt. 464 bis e ss. cod. proc. pen. e il vizio di motivazione. Il difensore lamenta che la Corte di Appello abbia disatteso la richiesta di rimessione in termini per la proposizione della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, richiesta non proposta in sede di opposizione a decreto penale al fine di non rinunciare alla riqualificazione della imputazione, poi effettivamente operata dal giudice di primo grado. Secondo il difensore, nel caso in cui la difesa avesse proposto opposizione con richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice non avrebbe potuto operare la riqualificazione dell’imputazione: la Corte di legittimità, infatti, avrebbe già chiarito che il G.I.P., una volta emesso il decreto penale di condanna, si spoglia dei poteri decisori sul merito dell’azione penale e non può, a seguito dell’opposizione, operare alcuna modifica dell’imputazione (in tal senso nel ricorso si cita Sez. 3 n 19689 del 21.03.2018). L’unica strada possibile era, dunque, quella percorsa dall’imputato, ovvero chiedere di procedere con il rito abbreviato che consentisse una valutazione del merito e, quindi, la riqualificazione della fattispecie con rimessone in termini per la formulazione della richiesta più favorevole della sospensione con messa alla prova.
Il difensore rileva anche che, laddove in sede di opposizione l’imputato avesse formulato la richiesta di sospensione con messa alla prova, in assenza di riqualificazione del reato nella fattispecie meno grave, l’U.E.P.E. avrebbe predisposto un programma parametrato sul più grave reato e dunque
caratterizzato da prescrizioni più stringenti.
Il Procuratore Generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
In data 24 ottobre 2023 il difensore dell’imputato ha presentato memoria con cui ha ribadito, in replica alle conclusioni del PG, il motivo già esposto, rilevando che, essendo precluso al Gip, in sede di opposizione a decreto penale, il potere di riqualificazione giuridica, il ricorrente avrebbe potuto solo chiedere di essere ammesso alla prova in relazione al reato così come contestato, e subire pertanto gli effetti negativi di un programma calibrato sulla fattispecie più grave, ovvero chiedere di essere giudicato con le forme del rito abbreviato e in tale sede chiedere la riqualificazione e la rimessione in termini per richiedere la sospensione con messa alla prova in relazione alla diversa e meno grave qualificazione giuridica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2.La Corte di Appello, in replica all’assunto della difesa, COGNOME secondo cui l’imputato destinatario di decreto penale di condanna potrebbe chiedere, in sede di opposizione al medesimo decreto, di essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova, ma non anche accompagnare detta istanza dalla richiesta di riqualificazione giuridica del fatto, con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto trasmettere gli atti à1 Pubblico Ministero perché formulasse la nuova imputazione e consentisse, in tal modo, di presentare l’ istanza di cui all’art. 464 bis cod. proc. pen. ha osservato che:
il potere di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa è proprio del giudice, da esercitarsi direttamente e senza necessità di trasmettere gli atti al Pubblico Ministero, perché formuli nuovamente l’imputazione: ciò emerge dalla formulazione letterale sia dell’art. 521 cod. proc. pen. (a norma del quale nella sentenza il giudice può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, anziché monocratica) sia dell’art. 429 comma 2-bis cod. proc. pen. (a norma del quale se si procede per delitto punito con la pena dell’ergastolo e il giudice dell’udienza preliminare dà al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da
rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione);
il fatto che l’art. 464 quater cod. proc. pen., a differenza dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. non preveda espressamente che il giudice, nell’ammettere la sospensione del procedimento con messa alla prova, debba valutare anche la correttezza della qualificazione giuridica, non significa che tale potere non possa, comunque, essere esercitato di ufficio o su istanza di parte: la differente formulazione delle due norme si spiega in quanto la norma sul patteggiamento disciplina un decisione assunta sotto forma di sentenza, che definisce il processo e che è suscettibile di passare in giudicato, mentre la norma sull’ ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova determina una mera stasi procedimentale, non esaurendo, con la sua emissione, il giudice il suo potere giurisdizionale e essendo possibile, con la sentenza che definisce il procedimento con dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, provvedere a modificare la qualificazione giuridica del fatto.
Ne deriva -ha osservato la Corte- che la difesa ben avrebbe potuto chiedere l’ammissione alla messa alla prova subordinando la richiesta alla riqualificazione del fatto nei termini poi ritenuti dal giudice.
Il percorso argomentativo adottato è coerente con la cornice normativa richiamata nella motivazione della sentenza impugnata, così come pacificamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
Sul tema della concedibilità della messa alla prova all’esito del giudizio abbreviato, quando l’imputato abbia chiesto ed ottenuto la riqualificazione della condotta in fattispecie che consentono l’accesso al beneficio, si è pronunciata la Corte costituzionale che, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 131 del 2019, ha ritenuto doveroso l’esame dell’istanza, ogni volta che il giudice assegni alla condotta una definizione giuridica compatibile con la messa alla prova. Si è rilevato in tale sentenza che «la giurisprudenza di legittimità ha, anzitutto, ripetutamente affermato che, in raso di richiesta di sospensione del processo con messa alla prova presentata dall’imputato entro i termini previsti dall’art. 464-bis cod. proc. pen., il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa ed eventualmente a modificarla, ove non la ritenga corretta, traendone le conseguenze sul piano della ricorrenza del beneficio in parola”
Seguendo le indicazioni della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale, la Cassazione ha affermato, da un lato, che la celebrazione del
giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato non preclude all’imputato la possibilità dì dedurre, in sede di appello, il carattere ingiustificato del rigett da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova (Sez. 6, n.30774 del 13/10/2020, COGNOME, Rv. 279849; Sez. 6, a n. 47109 del 31/10/2019,COGNOME, Rv. 277681); dall’altro, che il giudice, riqualificando l’originaria contestazione ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen. in una fattispecie rientrante nei limiti edittali di cui all’art. 168-bis cod. pen., p sospendere il giudizio con messa alla prova dell’imputato, sempre che questi abbia sollecitato la riqualificazione del fatto e contestualmente richiesto il beneficio che, pertanto, non può essere concesso d’ufficio (Sez. 3, n. 8982 del 05/12/2019, dep. 2020, Bahir, Rv. 278402).
Sulla base di detto percorso, si è affermato, in tema di riti speciali, che la richiesta di giudizio abbreviato relativa a fattispecie non rientrante nei limiti di cui all’art. 168 bis cod. pen. non preclude l’ammissione alla messa alla prova ove l’imputato, in via principale, ne abbia fatto richiesta previa riqualificazione della condotta in una fattispecie compatibile con l’ammissione al beneficio e il giudice l’abbia così riqualificata. (Fattispecie in tema di riciclaggio riqualificato i ricettazione) (Sez. 2, n. 5837 del 04/02/2022, Bruno, Rv. 282956 – 01)
Si è altresì affermato che in caso di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa e può ove la ritenga non corretta – modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell’istituto in questione (Sulla base di tale principio, nella fattispecie in cui l’imputato era stato condannato in primo grado per un reato che non consentiva la misura della messa alla prova, mentre in appello il fatto era stato riqualificato in un reato che la avrebbe consentita, la S.C. ha ritenuto immune da censure il provvedimento con cui la Corte d’Appello aveva respinto l’istanza di restituzione in termini avanzata per accedere al beneficio, sul rilievo per cui l’imputato avrebbe dovuto richiederne l’applicazione al giudice di primo grado, nel termine di cui all’art. 464-bis cod. proc. pen., previa riqualificazione del reato in contestazione) (Sez. 4, n. 36752 del 08/05/2018, Nenna, Rv. 273804).
4.Ne consegue, per tornare alle ricadute di detti principi nel caso oggetto di ricorso, che in sede di opposizione a decreto penale, l’imputato ben avrebbe potuto richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, previa riqualificazione giuridica del fatto contestato: non avendo egli effettuato la richiesta nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto penale, non ha alcun diritto alla invocata rimessione in termini da parte della Corte di Appello.
Inconferente è il richiamo, contenuto nel ricorso, alla sentenza Sez. 3, n. 19689 del 21/03/2018 Rv. 273058 (secondo cui “il giudice per le indagini preliminari, una volta emesso il decreto penale di condanna, si spoglia dei poteri decisori sul merito dell’azione penale e non può, quindi, a seguito di opposizione, operare alcuna modifica del capo di imputazione, anche se quello contenuto nel decreto, per mero errore, riporti una contestazione del tutto diversa, anche in fatto, da quella contenuta nella richiesta del P.M.”), in quanto tale pronuncia si limita a negare il potere di riqualificazione del G.I.P nel caso di opposizione da parte dell’imputato al decreto penale senza richiesta di riti alternativi, ovvero in sede di emissione del decreto di giudizio immediato a norma degli art. 456 commil, 3 e 5, cod. proc. pen., e non riguarda la differente ipotesi, in rilievo nella fattispecie in esame, in cui il potere di riqualificazione poteva essere esercitato a seguito della richiesta di riti alternativi e di definizione mediante messa alla prova .
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.