Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30625 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30625 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nata a MESSINA il 03/05/1992 COGNOME NOME nato a MESSINA il 22/03/1990 NOME nato a MESSINA il 30/05/1969
avverso la sentenza del 03/03/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
GLYPH
udito il difensore ..
v-
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 febbraio 2022, il G.u.p. del Tribunale di Messina, in esito a rito abbreviato, riteneva NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 12, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, per aver favorito, in concorso tra loro (e con NOME COGNOME e NOME COGNOME), la permanenza irregolare sul territorio dello Stato di NOME COGNOME attraverso l’organizzazione e la celebrazione di un matrimonio fittizio in data 27 settembre 2016: in particolare, NOME COGNOME per il tramite della COGNOME, reclutava NOME COGNOME che accettava, dietro compenso, di celebrare un matrimonio fittizio con NOME COGNOME con la partecipazione in qualità di interprete di NOME e di testimone di NOME COGNOME.
Con le aggravanti di aver commesso il fatto in concorso di più persone e, per il solo EL COGNOME, con l’aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di cinque o più persone (capo 13).
NOME COGNOME veniva, inoltre, giudicata responsabile, in concorso con NOME COGNOME, del reato di cui agli artt. 110, 48-479 cod. pen. in relazione all’art. 476, secondo comma, cod. pen., perché, rendendo false dichiarazioni ai funzionari della Questura di Messina consistenti nell’attestare l’effettività de matrimonio celebrato il 27 settembre 2016 e della successiva convivenza coniugale, induceva in errore il Questore di Messina che il 25 maggio 2017 rilasciava ad COGNOME la carta UE per motivi di famiglia, con validità sino al 12 ottobre 2021 (capo 13-bis).
La COGNOME, previa esclusione dell’aggravante della natura fidefacente dell’atto di cui al capo 13-bis), veniva, quindi, condannata alla pena di due anni di reclusione, mentre il COGNOME e la COGNOME venivano condannati alla pena di due anni e due mesi di reclusione ciascuno.
2. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riconosciute le attenuanti generiche alla sola COGNOME rideterminava la pena inflitta nei suoi confronti in dieci mesi di reclusione; rideterminava la pena inflitta ai coimputati COGNOME e COGNOME senza il riconoscimento delle attenuanti generiche, nella misura di un anno di reclusione ciascuno.
Nel confutare i motivi di gravame, la Corte territoriale osservava che la prova di responsabilità degli imputati per il reato sub 13) era fondata su alcune conversazioni intercettate in epoca successiva alla celebrazione del matrimonio, tra il 30 marzo e il 2 maggio 2017, nonché sulla relazione sentimentale che legava gli imputati COGNOME e COGNOME documentata dalle fotografie caricate dalla coppia sulla piattaforma di Facebook e dalle numerose interlocuzioni telefoniche captate tra i due.
Il compendio probatorio conduceva a ritenere accertato che la DEMARCO si era prestata a contrarre matrimonio con il cittadino algerino COGNOME ben consapevole della natura fittizia dell’atto, della sua finalità illecita e delle somme corrisposte, tanto a
quanto ai coimputati, da NOME COGNOME alias “NOME“; percezione delle somme, seppure di modesta entità, che rendeva palese la sussistenza del dolo del reato in capo alla COGNOME.
Il COGNOME quale testimone di nozze e soggetto all’epoca legato da relazione sentimentale con la COGNOME, era del tutto consapevole, secondo la Corte di Messina, della natura simulata del matrimonio.
Del resto, il coinvolgimento suo e della COGNOME nell’operazione illecita si ricavava anche da alcune conversazioni intercettate, nel corso delle quali i correi, dopo aver ricevuto dal coimputato NOME” somme di denaro, si adoperavano ripetutamente per indurre la COGNOME e presentarsi al colloquio in Questura, necessario per il rilascio a COGNOME della carta familiare UE, poi avvenuto il 27 maggio 2017.
Quanto alla COGNOME in particolare, veniva apprezzato dalla Corte di merito anche il tenore della conversazione intercorsa con il “Samir” il 4 aprile 2017, in cui la donna si doleva del fatto che COGNOME avesse corrisposto somme di denaro alla COGNOME e non anche a lei, invitando il proprio interlocutore a indurre lo stesso COGNOME a versarle l’ulteriore somma di 70,00 euro in occasione dell’appuntamento fissato con il funzionario della Questura.
La Corte di appello confermava la condanna della COGNOME anche per il reato di falso per induzione sub capo 13 -bis).
A confutazione delle deduzioni difensive, registrava la presenza in atti di una dichiarazione datata 13 ottobre 2016, sottoscritta da NOME COGNOME nella quale essa attestava di convivere con il marito NOME COGNOME provvedendo al suo mantenimento, e a cui risultava allegata una fotocopia della carta d’identità dell’imputata.
Nella stessa data (del 13 ottobre 2016), COGNOME presentava istanza per il rilascio di carta di soggiorno per coniugato di cittadino UE, documento, come detto, effettivamente rilasciato in data 27 maggio 2017.
Ad avviso della Corte, sulla base dei descritti elementi di prova, doveva considerarsi integrato il reato di falso ideologico per induzione, sebbene non fosse stato accertato, per la mancata acquisizione del relativo verbale, che l’imputata si fosse presentata presso la Questura, in compagnia di COGNOME per rendere dichiarazioni sull’effettiva convivenza con quest’ultimo.
I giudici dell’appello, infine, negavano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche agli imputati COGNOME e COGNOME in quanto gravati da plurimi precedenti penali; anche nei loro confronti, comunque, la pena veniva ridotta.
Ha presentato ricorso per cassazione, per mezzo del difensore, NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo, vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di elementi atti ad integrare il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Contesta, in primo luogo, la difesa che la Corte territoriale abbia ravvisato il
concorso nel reato valutando comportamenti posti in essere in data successiva a quella del matrimonio: in particolare, poco rilevava che la COGNOME avesse avanzato pretese economiche per spingere la nuora ad andare in Questura, trattandosi di condotta che rappresentava lo “step” successivo rispetto all’atto di matrimonio già celebrato.
Apodittico, inoltre, era l’assunto per cui COGNOME, in quanto testimone di nozze, fosse consapevole della natura simulata dell’atto.
Ancora, non coglieva nel segno la considerazione per cui il reato sarebbe stato permanente sino al giorno del rilascio del permesso di soggiorno a HIMRI.
Infine, la Corte di merito non si sarebbe confrontata con la doglianza difensiva secondo cui il contegno della COGNOME sarebbe stato assolutamente inconducente ai fini della commissione del reato, invero attribuibile alla sola COGNOME, posto che a rilevare, secondo la disciplina prevista dall’art. 1, commi 36 e ss., I. 20 maggio 2016, n. 76, non era il vincolo matrimoniale, ma la semplice convivenza.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore, denunciando, con due motivi, vizio di motivazione, anche per travisamento, con riferimento ai due reati in contestazione.
4.1. Quanto al primo, obietta la difesa che le conversazioni intercettate non proverebbero che la ricorrente avesse approfittato della condizione di illegalità di HIMRI per ottenere un profitto.
4.2. Quanto al secondo, assume la difesa che la disamina delle prove acquisite (dichiarazione sottoscritta dalla COGNOME il 13 ottobre 2016 attestante la convivenza con COGNOME; rilascio della carta di soggiorno allo straniero il 27 maggio 2017; ritrosia della imputata a presentarsi in Questura emersa dalle intercettazioni) non consentiva di ritenere accertato che la ricorrente si fosse recata personalmente in Questura a rendere una dichiarazione o avesse provveduto personalmente con atto separato e sottoscritto.
La dichiarazione del 13 ottobre 2016, inoltre, riportava una firma non autenticata, sicché non poteva ritenersi integrato il reato sub capo 13-bis).
Del resto, erano stati i correi COGNOME e COGNOME a occuparsi della pianificazione degli appuntamenti in Questura.
Ha, infine, proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME col ministero del difensore, deducendo, con un unico motivo, vizio della motivazione anche per travisamento in relazione al reato sub capo 13).
Obietta, in primo luogo, la difesa che le conversazioni intercettate non proverebbero che il ricorrente avesse approfittato della condizione di illegalità di HIMRI per ottenere un profitto.
Né, all’epoca, era necessario un matrimonio, per il cittadino extracomunitario, onde poter ottenere il rilascio della carta di soggiorno, essendo sufficiente una dichiarazione di convivenza: dunque, il concorso nella celebrazione del matrimonio non sarebbe, di per sé, atto idoneo al perseguimento dello scopo illecito previsto.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritt concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I tre ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
Giova premettere che la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato come integri il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione illegale degli stranieri anche i fatto di contrarre, verso corrispettivo in danaro, matrimonio con cittadino non appartenente all’Unione europea, al fine di fargli conseguire un titolo di accesso e permanenza in Italia (Sez. 1, n. 34993 del 22/09/2010, Ascione, Rv. 248277 – 01; Sez. 1, n. 2285 del 15/12/2009, dep. 2010, Shi, Rv. 245964 – 01).
Con più specifico riferimento al reato ascritto ai tre ricorrenti sub capo 13), si è, altresì, affermato che integra il reato di favoreggiamento della permanenza di stranieri nel territorio dello Stato colui che contragga, dietro compenso, matrimonio con una cittadina extracomunitaria irregolarmente immigrata, mettendola così nella condizione di ottenere il permesso di soggiorno e di evitare l’espulsione (Sez. 6, n. 20087 del 26/04/2011, COGNOME, Rv. 250102 – 01).
Il principio si attaglia perfettamente al caso di specie, in cui, per come convenientemente argomentato dai giudici di merito sulla scorta delle evidenze in atti, sopra sintetizzate, NOME COGNOME dietro compenso e in concorso con COGNOME e COGNOME, ha contratto matrimonio con un cittadino extracomunitario irregolarmente immigrato, NOME COGNOME consentendogli di ottenere il rilascio della carta familiare UE.
Il ricorso proposto nell’interesse della DEMARCO va dichiarato inammissibile.
4.1. Generica e assertiva è, invero, l’unica censura dedotta in relazione al reato sub capo 13), essendosi il difensore della ricorrente, al riguardo, limitato a sostenere, senza sviluppare argomenti a supporto, che l’imputata “non avrebbe approfittato della condizione di illegalità del signor COGNOME per ottenere un profitto, considerata la propria posizione e considerato che abbia agito sotto impulso dei coimputati COGNOME e COGNOME” (pag. 1 del ricorso).
4.2. Rivalutativi, confutativi e aspecifici, per difetto di correlazione con la ratio decidendi, sono i rilievi spesi per contestare l’integrazione del falso ideologico per induzione sub capo 13-bis).
Secondo la conforme ricostruzione cronologica dei fatti desumibile dalle due sentenze di merito, il matrimonio fittizio COGNOME–COGNOME venne celebrato il 27 settembre 2016; la dichiarazione a firma della COGNOME, con allegata la sua carta d’identità, attestante la sua condizione di coniuge del cittadino algerino, è successiva, recando la data del 13 ottobre 2016; lo stesso giorno COGNOME presentò istanza per il rilascio della carta di soggiorno familiare UE.
Tale carta di soggiorno, tuttavia, nel maggio 2017, non risultava ancora rilasciata,
tanto che le intercettazioni acquisite dimostrano i ripetuti tentativi esperiti dai coimputati COGNOME per spingere la COGNOME a presentarsi in Questura.
Fondato sulle descritte emergenze è il ragionamento indiziario, non manifestamente illogico, seguito dai giudici territoriali, nel senso che: essendo trascorsi circa sette mesi dalla presentazione contestuale della dichiarazione a firma della DEMARCO e della istanza di rilascio della carta di soggiorno da parte di COGNOME senza che il documento fosse stato rilasciato e tenuto conto che il rilascio avvenne il 25 maggio 2017, dopo le pressioni esercitate da COGNOME e COGNOME sulla DEMARCO, è evidente che tale concessione non poté che conseguire all’avvenuta effettiva presentazione dell’imputata in Questura per confermare l’attestazione dell’ottobre 2016.
Va ricordato che, in tema di falso in atto pubblico per induzione, qualora il pubblico ufficiale adotti un provvedimento a contenuto descrittivo o dispositivo dando atto in premessa, anche implicitamente, dell’esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, il provvedimento del p.u. è ideologicamente falso in quanto adottato sulla base di un presupposto inesistente e del falso non risponde il p.u., tratto in inganno, ma il soggetto che lo ha indotto in errore (Sez. 5, n. 35006 del 17/06/2015, COGNOME, Rv. 265019 – 01).
Dunque, è corretto l’approdo cui sono pervenuti i giudici di merito nel ritenere integrato il reato, essendo del tutto irrilevante che la sottoscrizione apposta dalla COGNOME in calce alla dichiarazione del 13 ottobre 2016 fosse o meno autenticata, atteso che, senza quella dichiarazione, il pubblico ufficiale non avrebbe potuto essere indotto in errore sulla sussistenza dei presupposti legittimanti il rilascio del documento richiesto dal cittadino algerino COGNOME
Parimenti inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME in quanto manifestamente infondato e aspecifico.
L’obiezione difensiva per cui non potrebbe configurarsi un contributo concorsuale della ricorrente in base a condotte susseguenti alla celebrazione del matrimonio simulato, da un lato, è logicamente insostenibile, per la semplice ragione che le condotte susseguenti, poste in essere dai coimputati COGNOME e COGNOME non avrebbero senso se non ragionevolmente riconducibili ad accordi pregressi e, dall’altro, è in concreto smentita, in fatto, dalla circostanza che il contributo concorsuale fornito dalla NOME in relazione al matrimonio simulato fu, principalmente, quello di aver reclutato la sposa compiacente, ossia la COGNOME e, dunque, deve considerarsi antecedente alla celebrazione del matrimonio.
Inconferente, poi, è il rilievo per cui, in base alla normativa all’epoca vigente (I. 20 maggio 2016, n. 76), sarebbe stato inutile celebrare il matrimonio fittizio perché bastava la dichiarazione di convivenza, atteso che, in concreto, la scelta degli imputati è stata quella di celebrare il matrimonio e successivamente di attestare la convivenza e il mantenimento del marito extracomunitario da parte della moglie.
Inammissibile, infine, è anche il ricorso di NOME COGNOME.
Generica e assertiva è, invero, la censura formulata in relazione al reato sub
capo
13), essendosi il difensore del ricorrente, al riguardo, limitato a sostenere, senza sviluppare argomenti a supporto, che l’imputata
“non avrebbe approfittato della condizione di illegalità del signor COGNOME per ottenere un profitto, considerato il ruolo
rivestito nella presunta azione criminosa a contrario del ruolo dinamico dell’imputata
COGNOME“
(pag. 1 del ricorso).
Quanto al rilievo inerente alla non necessità del ricorso al matrimonio simulato per ottenere il rilascio della carta di soggiorno, va richiamato quanto appena detto in
riferimento al ricorso della COGNOME.
7. In conclusione, i tre ricorsi vanno dichiarati inammissibili, dal che consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della
ulteriore somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nei ricorsi (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 21 maggio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente