Marchio Contraffatto: È Reato Anche se la Falsificazione è Evidente?
La vendita di prodotti con marchio contraffatto costituisce un reato ben noto, ma cosa succede quando la falsificazione è così palese da essere quasi comica? Un acquirente medio potrebbe facilmente riconoscerla, quindi si può ancora parlare di reato? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 98/2024, ha fornito una risposta chiara e definitiva, consolidando un principio fondamentale del diritto penale a tutela dei marchi.
Il caso in esame: la tesi della contraffazione grossolana
Un commerciante veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per aver messo in vendita prodotti con marchi falsificati. L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, proponeva ricorso in Cassazione basandosi su due argomentazioni principali.
In primo luogo, sosteneva che la contraffazione fosse ‘grossolana’, cioè talmente evidente da non poter trarre in inganno nessun potenziale acquirente. Secondo questa linea difensiva, se non c’è possibilità di inganno, non dovrebbe esserci reato. In secondo luogo, lamentava l’eccessività della pena di sei mesi di reclusione inflittagli.
Il marchio contraffatto e la tutela della fede pubblica
La Suprema Corte ha respinto entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. Il punto cruciale della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’articolo 474 del codice penale.
I giudici hanno chiarito che il bene giuridico protetto da questa norma non è, in via principale, la libertà di scelta del singolo acquirente, ma la fede pubblica. Questo concetto si riferisce alla fiducia collettiva che i cittadini ripongono nei marchi e nei segni distintivi come strumenti di identificazione e garanzia dell’origine dei prodotti industriali. Il reato, quindi, non mira a punire l’inganno, ma a prevenire l’inquinamento del mercato con prodotti falsi che minano questa fiducia generale.
Le motivazioni
La Cassazione ha qualificato il reato previsto dall’art. 474 c.p. come un reato di pericolo. Ciò significa che per la sua configurazione non è necessario che si verifichi un danno concreto (l’effettivo inganno di un acquirente), ma è sufficiente la mera condotta di detenzione per la vendita di prodotti falsi, in quanto tale azione crea un pericolo per la fede pubblica. Di conseguenza, l’argomento della contraffazione grossolana diventa irrilevante. Anche un falso palese, una volta immesso nel circuito commerciale, contribuisce a ledere l’affidamento del pubblico nei marchi e a danneggiare il titolare del diritto di privativa industriale. La Corte ha ribadito che la norma tutela l’affidamento dei cittadini nei marchi come simboli che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali, garantendone la circolazione sicura.
Riguardo al secondo motivo di ricorso, relativo all’eccessività della pena, la Corte ha sottolineato che la determinazione della sanzione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere è insindacabile in sede di legittimità se la pena, come nel caso di specie, è applicata in misura ragionevole, addirittura ben al di sotto della media edittale e prossima al minimo previsto dalla legge per reati analoghi.
Le conclusioni
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di estrema importanza. La lotta alla contraffazione non si ferma alla protezione del consumatore finale, ma si estende alla salvaguardia dell’intero sistema economico, basato sulla fiducia e sulla correttezza degli scambi. Chi detiene per la vendita merce con marchio contraffatto commette reato a prescindere dalla qualità della falsificazione, perché la sua condotta mette in pericolo la pubblica fede, un bene giuridico che precede e trascende la tutela del singolo acquirente. La decisione serve da monito: la circolazione di prodotti falsi è un illecito grave, i cui effetti dannosi non sono limitati al potenziale inganno, ma si ripercuotono sull’affidabilità del mercato nel suo complesso.
La vendita di un prodotto con marchio contraffatto è reato anche se il falso è così evidente da non poter ingannare nessuno?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il reato di cui all’art. 474 del codice penale sussiste a prescindere dalla grossolanità della contraffazione, poiché la norma tutela la fede pubblica e non la libera determinazione del singolo acquirente.
Qual è il bene giuridico principale protetto dalla norma sulla detenzione e vendita di prodotti con marchi falsi?
Il bene giuridico tutelato in via principale e diretta è la fede pubblica, intesa come l’affidamento che i cittadini ripongono nei marchi e nei segni distintivi quali identificatori dell’origine e della genuinità dei prodotti industriali.
Perché il reato si configura anche senza un inganno effettivo?
Perché si tratta di un reato di pericolo. La legge punisce la condotta per il solo fatto di creare un rischio per la fede pubblica, senza che sia necessario dimostrare l’avvenuta realizzazione di un inganno ai danni di uno o più acquirenti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 98 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 98 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Catania il 20/04/1977
avverso la sentenza del 07/12/2022 della Corte d’appello di Catania
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta il vizio motivazionale e la violazione di legge in relazione all’art. 474 cod. pen., è manifestamente infondato, atteso che la sentenza impugnata risulta conforme al principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamenl:o dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non ricorrendo, quindi, l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Sez. 2, n. 16807
del 11/01/2019, COGNOME, Rv. 275814-01; Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258722-01; Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012, COGNOME, Rv. 25283601);
considerato che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’eccessività della pena inflitta, è manifestamente infondato atteso che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudic di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo (come nel caso in esame, dove la pena irrogata di sei mesi di reclusione è ben al di sotto della media edittale della pena per il reato di ricettazione di particolare tenuità, la quale è punita con la pena da 15 giorni a sei anni di reclusione), anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti g elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283-01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.N11.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 21 novembre 2023.