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Marchio contraffatto: reato anche se il falso è palese

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 98/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la vendita di prodotti con marchio contraffatto. La Corte ha stabilito che il reato sussiste indipendentemente dalla grossolanità della contraffazione, poiché la norma non tutela il singolo acquirente dall’inganno, ma la fede pubblica e l’affidamento collettivo nei segni distintivi. La pena, ritenuta non eccessiva, è stata confermata.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Marchio Contraffatto: È Reato Anche se la Falsificazione è Evidente?

La vendita di prodotti con marchio contraffatto costituisce un reato ben noto, ma cosa succede quando la falsificazione è così palese da essere quasi comica? Un acquirente medio potrebbe facilmente riconoscerla, quindi si può ancora parlare di reato? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 98/2024, ha fornito una risposta chiara e definitiva, consolidando un principio fondamentale del diritto penale a tutela dei marchi.

Il caso in esame: la tesi della contraffazione grossolana

Un commerciante veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per aver messo in vendita prodotti con marchi falsificati. L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, proponeva ricorso in Cassazione basandosi su due argomentazioni principali.

In primo luogo, sosteneva che la contraffazione fosse ‘grossolana’, cioè talmente evidente da non poter trarre in inganno nessun potenziale acquirente. Secondo questa linea difensiva, se non c’è possibilità di inganno, non dovrebbe esserci reato. In secondo luogo, lamentava l’eccessività della pena di sei mesi di reclusione inflittagli.

Il marchio contraffatto e la tutela della fede pubblica

La Suprema Corte ha respinto entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. Il punto cruciale della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’articolo 474 del codice penale.

I giudici hanno chiarito che il bene giuridico protetto da questa norma non è, in via principale, la libertà di scelta del singolo acquirente, ma la fede pubblica. Questo concetto si riferisce alla fiducia collettiva che i cittadini ripongono nei marchi e nei segni distintivi come strumenti di identificazione e garanzia dell’origine dei prodotti industriali. Il reato, quindi, non mira a punire l’inganno, ma a prevenire l’inquinamento del mercato con prodotti falsi che minano questa fiducia generale.

Le motivazioni

La Cassazione ha qualificato il reato previsto dall’art. 474 c.p. come un reato di pericolo. Ciò significa che per la sua configurazione non è necessario che si verifichi un danno concreto (l’effettivo inganno di un acquirente), ma è sufficiente la mera condotta di detenzione per la vendita di prodotti falsi, in quanto tale azione crea un pericolo per la fede pubblica. Di conseguenza, l’argomento della contraffazione grossolana diventa irrilevante. Anche un falso palese, una volta immesso nel circuito commerciale, contribuisce a ledere l’affidamento del pubblico nei marchi e a danneggiare il titolare del diritto di privativa industriale. La Corte ha ribadito che la norma tutela l’affidamento dei cittadini nei marchi come simboli che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali, garantendone la circolazione sicura.

Riguardo al secondo motivo di ricorso, relativo all’eccessività della pena, la Corte ha sottolineato che la determinazione della sanzione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere è insindacabile in sede di legittimità se la pena, come nel caso di specie, è applicata in misura ragionevole, addirittura ben al di sotto della media edittale e prossima al minimo previsto dalla legge per reati analoghi.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di estrema importanza. La lotta alla contraffazione non si ferma alla protezione del consumatore finale, ma si estende alla salvaguardia dell’intero sistema economico, basato sulla fiducia e sulla correttezza degli scambi. Chi detiene per la vendita merce con marchio contraffatto commette reato a prescindere dalla qualità della falsificazione, perché la sua condotta mette in pericolo la pubblica fede, un bene giuridico che precede e trascende la tutela del singolo acquirente. La decisione serve da monito: la circolazione di prodotti falsi è un illecito grave, i cui effetti dannosi non sono limitati al potenziale inganno, ma si ripercuotono sull’affidabilità del mercato nel suo complesso.

La vendita di un prodotto con marchio contraffatto è reato anche se il falso è così evidente da non poter ingannare nessuno?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il reato di cui all’art. 474 del codice penale sussiste a prescindere dalla grossolanità della contraffazione, poiché la norma tutela la fede pubblica e non la libera determinazione del singolo acquirente.

Qual è il bene giuridico principale protetto dalla norma sulla detenzione e vendita di prodotti con marchi falsi?
Il bene giuridico tutelato in via principale e diretta è la fede pubblica, intesa come l’affidamento che i cittadini ripongono nei marchi e nei segni distintivi quali identificatori dell’origine e della genuinità dei prodotti industriali.

Perché il reato si configura anche senza un inganno effettivo?
Perché si tratta di un reato di pericolo. La legge punisce la condotta per il solo fatto di creare un rischio per la fede pubblica, senza che sia necessario dimostrare l’avvenuta realizzazione di un inganno ai danni di uno o più acquirenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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