Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19699 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19699 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a Firenze il 26/04/1957 NOME nata a Firenze il 23/02/1962 NOME COGNOME nato a Firenze il 28/12/1950 avverso la sentenza del 22/05/2024 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito per la parte civile l’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi, chiedendone in subordine il rigetto; udito per gli imputati l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha confermato le condanne pronunziate dal Tribunale di Milano in distinti processi, riuniti in appello, nei confront di NOME, NOME COGNOME e NOME per i reati di manipolazione del mercato, commessi nelle loro rispettive qualità di amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE – società quotata – e presidente della controllata RAGIONE_SOCIALE, di presidente di RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE e di concorrente nel delitto contestato al capo A) dell’imputazione del secondo procedimento riunito. In parziale riforma delle pronunce di primo grado, la Corte ha rideterminato la pena complessiva per NOME per tutti i reati a lui imputati nei due diversi procedimenti riuniti e ritenuti unificati dal vincolo del continuazione, in anni uno e mesi dieci di reclusione; mentre per NOME e NOME, imputati soltanto nel secondo procedimento, rispettivamente in mesi dieci di reclusione e in mesi otto di reclusione.
1.2 Nel primo procedimento (r.g.a. n. 7157 del 2022, conclusosi con sentenza n. 2308 del 20.22), nel quale, come accennato, è imputato il solo NOME, è contestato a quest’ultimo di aver venduto sul MTA la totalità delle obbligazioni CHL in precedenza acquistate dalla controllata RAGIONE_SOCIALE, operando con modalità concretamente idonee a comportare una manipolazione del mercato. In particolare, le operazioni censurate sarebbero consistite nell’inserimento di ordini di vendita, in parte poi revocati per essere riproposti successivamente all’inserimento di ordini di acquisto di piccole quantità delle stesse obbligazioni, effettuato anche nell’asta di chiusura, ad un prezzo superiore al valore di pari del titolo, in modo da determinare un istantaneo e artificioso innalzamento del loro prezzo.
1.3 Nel secondo procedimento (r.g.a. n. 6654 del 2022, conclusosi con sentenza n. 3358 del 2022) è stato invece contestato a tutti gli imputati in primo luogo di aver posto in essere le condotte di manipolazione del mercato descritte al capo A) dell’imputazione. Oggetto di contestazione è l’esecuzione da parte dei fratelli COGNOME NOME e COGNOME in qualità anche di soci di maggioranza di CHL, di operazioni simulate di cessione fuori mercato dei titoli azionari della società in favore della sorell NOME, alla quale contestualmente fornivano la provvista necessaria all’acquisto, nonché di aver diffuso in occasione delle suddette cessioni comunicati stampa con i quali si evidenziava che le stesse erano avvenute in favore di altro componente della famiglia COGNOME, la quale, dunque, non manifestava attraverso le menzionate operazioni l’intenzione di diminuire la sua complessiva partecipazione nella società, ciò mentre COGNOME NOME, marito di NOME, provvedeva invece a vendere sul MTA le azioni acquistate dalla moglie.
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Con riferimento alla vicenda di cui al capo B) d’imputazione, invece, si contesta ai soli COGNOME NOME e NOME (in concorso con il citato COGNOME NOME nei cui confronti si è proceduto separatamente) di avere, a seguito delle cessioni fittizie di cui al precedente capo d’imputazione, operate al solo fine di dismettere i titoli azionari CHL, immesso, nella fase di vendita, anche ordini di acquisto delle suddette azioni utilizzando modalità tali da determinare un sostegno artificiale continuo del prezzo del titolo.
Avverso la sentenza d’appello ricorrono tutti gli imputati con unico atto a firma del comune difensore articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, formulato nell’esclusivo interesse di COGNOME NOME per la condotta criminosa accertata con sentenza n. 2308 del 2022, si deducono vizi di motivazione in riferimento alla sussistenza dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo del reato addebitato.
2.1.1 In particolare, il ricorrente contesta le argomentazioni spese dalla Corte territoriale per rigettare le deduzioni formulate dalla difesa con atto d’appello a sostegno del carattere lecito delle operazioni finanziarie, censurando, in particolare, l’illogicità e la contraddittorietà del ragionamento seguito dai giudici di merito, basato su dati inesatti o travisati.
In primo luogo, l’imputato lamenta l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte nel valorizzare, quale elemento indicativo del carattere illecito dell’operazione nel suo complesso considerata, l’inserimento alternato di ordini di vendita e di ordini di revoca delle vendita, comportamento, peraltro, non censurato dalla CONSOB nel procedimento sanzionatorio avviato dalla stessa, eccependo che i giudici di merito avrebbero omesso di considerare come queste attività costituiscano una pratica diffusa nel trading online e non siano sintomatiche di un intento manipolativo. Peraltro, a riprova di come l’eventuale illeceità della condotta dell’imputato non dipenda da tali operazioni, si evidenzia come la Corte non abbia considerato che l’alternanza tra revoche e vendite sia stata registrata anche nel più ampio arco di tempo antecedente (cd. periodo lecito) a quello preso in esame dai giudici del merito e come non abbia costituito l’oggetto dell’accusa elevata dal pubblico ministero, il quale ha ravvisato la natura manipolativa dell’operazione nell’effettuazione degli ordini di acquisto.
2.1.2 Ancora, con riferimento alla ritenuta natura illecita dei contenuti acquisti dei tito obbligazionari, si lamenta che la Corte non avrebbe colto la ragionevolezza delle suddette operazioni nei termini formulati dalla difesa, la quale già in sede d’appello aveva evidenziato come l’effettuazione di tali ordini di acquisto in quantità contenuta non celerebbe, come invece sostenuto dai giudici dell’appello, l’esistenza di alcuno
schema operativo seguito dall’imputato al fine di manipolare l’andamento del mercato e sostenere il prezzo del titolo, ma, al contrario, sarebbe compatibile con il lecito intento di massimizzare il profitto sondando la situazione del mercato finanziario prima di procedere ad inserire gli ordini di vendita, nonché di verificare la eventuale presenza nel book di negoziazione di ordini di vendita mascherati, noti anche come ordini “iceberg”.
Non solo, il fatto che l’attività di acquisto fosse finalizzata a tale scopo e non servisse sostenere il prezzo dei titoli (cioè, ad impedire che il prezzo dei titoli scendesse per effetto della pronunciata pressione di vendita) sarebbe confermato dalla circostanza, rigettata in maniera apodittica dalla Corte territoriale, che l’imputato ha compiuto nel periodo cd. lecito maggiori operazioni di vendita per un un valore medio perfino superiore rispetto a quello registrato in occasione delle operazioni effettuate nel ristretto lasso temporale preso in considerazione nel capo d’imputazione (cd. periodo illecito). La tesi difensiva, sostiene il ricorrente, troverebbe peraltro conferma anche nella manifestazione da parte dell’imputato di una chiara intenzione di vendere i titoli, circostanza non presa in esame dai giudici di merito quale elemento a discarico.
2.1.3 Sempre in riferimento al carattere lecito delle operazioni d’acquisto dei titoli, i ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel respingere l’eccezione difensiva relativa alla corretta individuazione del periodo sospetto in cui l’imputato avrebbe operato sia in posizione di acquisto che in posizione di vendita.
In particolare, si lamenta l’inesistenza di riferimenti logici in base ai quali i giudic merito avrebbero desunto la determinazione di un periodo illecito pari a quarantaquattro giorni consecutivi, quando, in realtà, i giorni in cui si è registrat un’effettiva operatività dell’imputato in entrambe le posizioni sarebbero, come sostenuto anche dalla CONSOB nella sua relazione, solo venti, peraltro non consecutivi.
Non di meno, sempre con riferimento al menzionato periodo di venti giorni di effettiva operatività sul mercato del Franchi, il ricorso evidenzia il contrasto tra i dati sul vendite e sugli acquisiti riportati in due Tabelle elaborate dalla CONSOB ed allegate alla sua relazione in atti.
2.1.4 Il ricorrente deduce, altresì, l’illogicità della motivazione nella parte in cui Corte ha escluso la rilevanza, quale elemento incompatibile con il ritenuto carattere illecito della condotta, dell’esecuzione da parte dell’imputato di una sola operazione di acquisto di obbligazioni CHL in fase di chiusura e mai in fase di apertura del mercato, sostenendo come ai fini della configurazione del reato in esame non rileverebbe il numero e il tempo degli acquisti, quanto le modalità di esecuzione impiegate per tenere artificiosamente alto il prezzo dei titoli. Secondo la difesa, tale affe
contrasterebbe non solo con la legislazione europea in materia di abusi di mercato, ma anche con la relazione CONSOB, le quali sottolineano che il numero delle operazioni nonché il loro collocamento nella fase di apertura o di chiusura assume un ruolo decisivo nella prova della natura illecita della condotta. Pertanto, il fatto che l’imputat abbia realizzato una sola operazione d’acquisto nella fase conclusiva dell’asta, dimostrerebbe l’assenza di un intento manipolativo del mercato.
Peraltro, ad avviso del ricorrente, la motivazione della sentenza incorrerebbe in un’evidente contraddizione laddove i giudici di merito, dopo aver per l’appunto riconosciuto che un solo acquisto è avvenuto in asta di chiusura, hanno poi valorizzato, quale elemento sintomatico del carattere illecito dell’operazione, l’asserito compimento da parte dell’imputato di plurime operazioni d’acquisto nella medesima fase.
2.1.5 Ancora, il ricorrente denuncia carenza di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di valutare la censura d’appello relativa all’erronea individuazione ad opera dei giudici di primo grado della data del 23 gennaio 2015 quale giornata in cui l’imputato avrebbe eseguito il maggior numero di condotte manipolative del mercato.
Al riguardo, la difesa evidenzia come, in realtà, in tale data l’imputato avrebbe agito in modo del tutto incompatibile con lo schema artificioso contestatogli dai giudici. A sostegno di ciò, si lamenta che i giudici di merito non avrebbero considerato che in quell’occasione egli aveva inserito ordini di vendita anche in momenti in cui il prezzo del titolo non risultava superiore alla pari e che, inoltre, non aveva provveduto a vendere nonostante l’innalzamento dei prezzi sopra la pari dei titoli.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso tutti i ricorrenti lamentano vizi di motivazione. In primo luogo, la Corte territoriale avrebbe erroneamente sostenuto, con motivazione illogica e carente, che gli imputati abbiano simulato la cessione delle azioni RAGIONE_SOCIALE a Franchi RAGIONE_SOCIALE per consentire di rivenderle sul MTA tramite il COGNOME, occultando così la loro dismissione in aperta contraddizione con quanto affermato nei comunicati stampa.
Contrariamente, la difesa eccepisce che tale operazione non fosse affatto simulata, in quanto i due fratelli avrebbero effettivamente e realmente venduto le azioni alla sorella, essendo tale cessione stata effettuata in esecuzione di un accordo familiare volto a dare attuazione alle ultime volontà del padre, il quale avrebbe voluto dividere la partecipazione societaria in parti uguali tra i tre figli. L’operazione, poi, non avrebb assunto la forma della donazione delle azioni di CHL alla sorella, in quanto, come confermato dal teste COGNOME trattandosi di azioni quotate in borsa, bisognava procedere ad una formale compravendita con passaggio di denaro, per cui si sarebbe reso
necessario il preventivo trasferimento della provvista da impiegare per l’acquisto fuori mercato delle azioni a NOME, che non era finanziariamente capiente.
La Corte territoriale avrebbe, poi, erroneamente affermato la falsità di quanto comunicato dagli imputati circa la permanenza delle azioni alla famiglia Franchi. In tal senso i ricorrenti eccepiscono che mai sarebbe stata affermata la continuità in capo alla famiglia Franchi delle azioni, ma semplicemente la volontà di vendere le azioni alla sorella, la quale avrebbe anzi resa nota al mercato anche la volontà di rivenderle. Ad ogni modo, tale circostanza non sarebbe nemmeno rilevante, posto che, atteso il volume delle azioni cedute, l’operazione non ha inciso sulle quote di controllo della società, rimaste saldamente nelle mani di NOME e NOME. Conseguentemente l’investitore ragionevole non sarebbe stato influenzato nelle proprie decisioni qualora la vendita delle azioni, anziché, ad un componente della famiglia, fosse avvenuta in favore di un terzo estraneo alla medesima. Diversamente da quanto sostenuto dalla Corte, poi, la somma restituita dalla sorella ai fratelli non corrisponderebbe a quella ricavata dalla vendita delle azioni, ma il saldo del debito gravante sulla medesima in ragione della collazione successoria relativa a quanto elle aveva maggiormente ricevuto dal padre mentre questi era ancora in vita, circostanza confermata anche dal COGNOME.
Da ultimo, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale avrebbe illogicamente affermato che gli altri azionisti della CHL, non essendo a conoscenza delle reali intenzioni degli imputati, avrebbero subito un pregiudizio, non essendosi preoccupati di cedere i propri titoli prima della loro inevitabile svalutazione. Secondo la difesa invece essi avrebbero avuto conoscenza della vendita delle azioni alla Franchi e delle intenzioni della stessa di rivenderle, perché delle operazioni si era data conoscenza per mezzo dei comunicati della CHL e della sottoscrizione del modello 120/A da parte di NOME, atto non dovuto non essendo la stessa mai stata titolare di una partecipazione rilevante in CHL e al quale ha comunque provveduto per corrispondere a specifica richiesta proprio della CONSOB. Inoltre, si evidenzia che la svalutazione del titolo non sarebbe dipesa dalla cessione delle azioni, ma dalla riduzione del fatturato della società, in quanto dall’analisi dei ricavi si evincerebbe che gli stessi sarebbero diminuiti del 70% dal 2010 al 2014, così come confermato dai consulenti della difesa COGNOME.
2.3 Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano ulteriori vizi di motivazione. I particolare, la Corte avrebbe erroneamente sostenuto che il COGNOME abbia agito in una logica manipolatrice, valorizzando esclusivamente le argomentazioni rese dalla teste COGNOME secondo cui le operazioni realizzate dallo stesso sul MTA avrebbero fatto registrare sistematicamente incrementi delle azioni CHL a causa dell’inserimento di
proposte d’acquisto a prezzi sempre superiori a quelle delle migliori proposte di vendita presenti nel book di negoziazione. In tal senso i ricorrenti lamentano che i giudici del merito non avrebbero considerato quanto riferito dallo stesso COGNOME il quale ha dichiarato di aver agito semplicemente seguendo l’andamento del prezzo di mercato, attuando una strategia comune a tutti i trader e, in ogni caso, non contraria ad alcuna disposizione normativa o regolamentare. La Corte territoriale, conformandosi alla sentenza di primo grado, non avrebbe, quindi, dimostrato gli elementi oggettivi che indurrebbero a ritenere sussistente la natura artificiosa e l’idoneità ingannatoria delle operazioni effettuate dal COGNOME, omettendo di confutare in proposito le conclusioni dei consulenti tecnici della difesa, i quali hanno escluso che l’operatività sul titolo abbia avuto un impatto statisticamente significativo sul prezzo del medesimo, le cui variazioni sarebbero da imputarsi prevalentemente alla sua intrinseca illiquidità. In tal senso il COGNOME avrebbe evidenziato la sua inesperienza i materia di trading on line senza perseguire una strategia di lungo termine, ma avrebbe soltanto cercato di monetizzare al meglio le azioni acquistate dalla moglie.
La Corte non avrebbe poi logicamente motivato in merito al contributo concorsuale effettivamente prestato da NOME e NOME COGNOME alla consumazione del reato. Segnatamente, il ricorrente lamenta che i giudici del merito avrebbero ritenuto dimostrato il concorso sulla base del mero legame familiare che unisce gli imputati al COGNOME e della circostanza che la condotta posta in essere da quest’ultimo avrebbe smentito l’intenzione dei primi, evidenziata nei comunicati stampa, di mantenere all’interno del nucleo familiare le quote della CHL. Ma, come detto, è stata proprio NOME a dichiarare di voler vendere le azioni ricevute, con operazione distinta rispetto alla precedente cessione effettuata in suo favore dai fratelli, mediante la volontaria presentazione in CONSOB del modello 120/A. Peraltro, come testimoniato dalla teste COGNOME non considerata dalla Corte, gli imputati non erano esperti nel trading on line. Ed in tal senso è evidente la contraddizione insita nel fatto che il reato non è stato contestato anche a NOME proprio per tale motivo.
In conclusione, il ricorrente eccepisce che la Corte d’appello non avrebbe dimostrato il contributo apportato dai fratelli NOME nel reato di cui all’art. 185 d.lgs. 185/1995 contrariamente all’orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della configurabilità del concorso nel reato di aggiotaggio manipolativo, materialmente posto in essere da altri, è necessario un contributo, anche solo agevolatore, all’altrui attività manipolativa, e la cui prova può consistere in un rafforzamento del proposito del correo o in un apparto materiale efficiente alla condotta di questo.
3. Il difensore della parte civile CONSOB ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono nel loro complesso infondati e devono pertanto essere rigettati.
Anzitutto è opportuno ricordare che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il delitto di manipolazione del mercato previsto dall’art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998 (d’ora in poi T.U.F.) è reato di pericolo concreto e di mera condotta, per la cui integrazione è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento (ex multis Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 253754). La natura di pericolo concreto del reato esige, dunque, ai fini del suo perfezionamento, la manifestazione fenomenica dell’idoneità dell’azione a mettere in pericolo l’interesse protetto dalla norma, costituito dal corretto ed efficiente andamento del mercato al fine di garantire che il prezzo del titolo nelle relative transazioni riflett suo valore reale e non venga influenzato da atti o fatti artificiosi o fraudolenti (Sez. 1 n. 45347 del 06/05/2015, COGNOME, Rv. 265397)
L’accertamento del reato in questione deve conseguentemente essere condotto secondo il criterio della prognosi postuma, ossia ricorrendo ad un giudizio in concreto e a base totale ed ex ante che valorizzi tutti i dati fattuali esistenti al momento della condotta in funzione della verifica della connotazione decettiva del fatto comunicativo e della sua idoneità a produrre effetti distorsivi sul patrimonio conoscitivo dell’investitor (ex multis Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021, dep. 2022, Coen, Rv. 282981). Ciò in quanto è necessario verificare se gli effetti decettivi dei fatti comunicativi o strictu sensu manipolativi, prevedibili in concreto ed ex ante quali conseguenze della condotta dell’agente, siano stati potenzialmente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di mercato del titolo rispetto a quello determinato in un corretto processo di formazione dello stesso (Sez. 5, n. 53437 del 19/10/2018, COGNOME, Rv. 275134). L’abuso del mercato assume dunque i connotati di tipicità ex art. 185 T.U.F. quando può concretamente influire sulla formazione della volontà negoziale dell’investitore e meglio persuaderlo alla convenienza nell’impiego del denaro con l’investimento nel titolo ovvero ad indurlo alla dismissione di quell’investimento (Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, cit.).
Il reato è integrato, dunque, anche senza che la variazione del prezzo del titolo si sia concretamente realizzata, in quanto la norma penale tutela anticipatamente l’interesse dell’ordinamento alla corretta formazione del prezzo dello strumento finanziario (Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, COGNOME, Rv. 274179; Sez. 5, n. 4619 del 27/09/2013, dep. 2014, Compton, Rv. 258078), fermo restando che l’accertamento a posteriori dell’alterazione del prezzo dei titoli scambiati costituisce elemento fortemente
sintomatico della effettiva idoneità della condotta incriminata a produrre l’alterazione sensibile del loro prezzo (Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 272083).
Ne consegue che il reato si consuma nel momento stesso in cui la notizia, foriera di sconnpenso valutativo del titolo, viene comunicata o diffusa ovvero in quello in cui vengono realizzate le altre condotte manipolative del mercato descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 40393 del 20/06/2012, COGNOME, Rv. 253361; Sez. 5, n. 25450 del 03/04/2014, COGNOME, Rv. 260751).
Il dolo del reato è quello generico e consiste nella nnera coscienza e volontà di diffondere notizie false o di realizzare le altre condotte manipolative tipizzate, nella consapevolezza della loro idoneità ad incidere in maniera sensibile sulla formazione del prezzo di uno strumento finanziario (Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 253757). L’elemento soggettivo può dunque atteggiarsi anche nella forma del dolo eventuale, in particolare nel caso dell’aggiotaggio informativo, risultando invero meno agevole – ancorché teoricamente non impossibile – conciliare tale forma con l’ipotesi dell’aggiotaggio manipolativo caratterizzata da condotte artificiose, le quali, nonostante la mancata previsione di un criterio di selezione in grado di colorare il dolo come specifico, risultano inevitabilmente connotate da una impronta finalistica che evidenzia la necessità che la componente volitiva assuma una particolare intensità.
3. Come accennato il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice di cui si tratta è l’integrità dei mercati regolamentati, che, come ricordato anche nel secondo “considerando” del Regolamento UE n. 596/2014, è lesa dall’abuso degli stessi con l’effetto di compromettere «la fiducia del pubblico nei valori mobiliari e negli strumenti derivati». Il mercato è efficiente, infatti, quando il prezzo degli strumenti finanzia negoziati riflette correttamente tutte le informazioni disponibili. Attraverso manipolazione il prezzo verso il quale viene indirizzato il mercato è un prezzo non corrispondente al reale valore, con la conseguenza che, qualora il mercato seguisse il “suggerimento” del manipolatore, il prezzo tender0k 3bosizionarsi a un livello che non rifiette r ea corretta valutazione del titolo. La manipolazione determina, dunque ed in definitiva, un’inefficienza allocativa.
La ratio dell’incriminazione va dunque ravvisata nella prevenzione degli effetti distorsivi che tale pratica può avere sui mercati finanziari, con l’ulteriore effetto secondario di minare la fiducia degli investitori. Ad essere protetto è il mercato come bene pubblico di interesse collettivo, rimanendo sullo sfondo la tutela degli interessi patrimoniali dei singoli investitori eventualmente lesi dalla consumazione del reato (Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, COGNOME, cit.).
È dunque alla luce di tale ratio che può essere ricostruita la tipicità della condotta apparentemente più indeterminata tra quelle previste dall’art. 185 T.U.F., ossia quella di manipolazione mediante “altri artifizi”.
L’artificio è definito come qualsiasi operazione in cui l’agente ricorre all’impiego di mezzi illeciti, intesi sia come mezzi che siano in sé fraudolenti, sia come mezzi in sé leciti, ma impiegati con modalità oggettivamente artificiose nel caso concreto. In altri termini va ribadito che è lecito condurre i propri affari (purché con mezzi intrinsecamente leciti) anche se il mercato ne resta turbato, ma non è consentito perseguire o comunque provocare il turbamento del mercato quale strumento per realizzare i propri scopi, anche qualora i mezzi impiegati siano di per sé stessi leciti, risultando però nel contesto dato impiegati con modalità oggettivamente artificiose (e conseguentemente incoerenti con il senso economico dell’operazione intrapresa) e dunque rivelatrici del loro orientamento verso un obiettivo in ultima analisi illecito ossia e per l’appunto la distorsione della naturale dinamica del mercato. In definitiva il senso economico dell’operazione esclude la tipicità del fatto, mentre la motivazione effettivamente rispondente al senso economico esclude la colpevolezza.
Per converso l’intento fraudolento non è di per sé sufficiente a rendere il fatto tipico se questo non assume gli oggettivi caratteri artificiosi evocati dalla norma incriminatrice. Si è infatti precisato come la tipicità della condotta ad oggetto “altri artifizi” non poss essere desunta dal mero fine di alterazione del mercato perseguito dal suo autore, essendo invece comunque necessario che la stessa si manifesti in maniera oggettivamente artificiosa, venendo realizzata con modalità di azione, di tempo e di luogo di per sé tali da poter incidere sul normale andamento del corso dei titoli (Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012, dep. 2013, Dall’aglio, Rv. 254324; Sez. 5, n. 2063 del 02/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242356).
4. La motivazione della sentenza impugnata dimostra che i giudici del merito hanno fatto buon governo dei principi illustrati, fornendo logiche e valide argomentazioni a sostegno della ritenuta integrazione dei reati contestati attraverso la consumazione delle condotte imputate agli odierni ricorrenti. Per contro le censure difensive non appaiono in grado di scalfire la tenuta dell’apparato argomentativo sviluppato dalla Corte territoriale, rivelandosi in realtà in buona parte tese a prospettare una lettura alternativa e soggettivamente orientata dei fatti esposti nell’inammissibile tentativo di sollecitare il giudice di legittimità ad una diretta rivalutazione del compendio probatorio.
4.1 Prendendo le mosse dalla vicenda relativa alla cessione delle azioni RAGIONE_SOCIALE va anzitutto evidenziato come le censure articolate con il secondo motivo siano accomunate dal tentativo di isolare i singoli fatti oggetto di contestazione proponendo
una spiegazione delle condotte imputate ai ricorrenti diversa da quella accolta dai giudici di merito al fine di sostenere l’insussistenza di un effettivo collegamento tra l cessione delle azioni operata in favore di NOME dai fratelli e la successiva vendita sul mercato delle medesime azioni effettuata dal marito di quest’ultima e su sua delega.
In tal senso i ricorsi reiterano obiezioni già formulate con l’impugnazione di merito e puntualmente confutate dalla Corte territoriale. Infatti, le doglianze difensive si fondano anzitutto sulla riproposizione della tesi per cui la cessione dei titoli a NOME NOME sarebbe stata effettiva e finalizzata a dare esecuzione alle ultime volontà del padre, con la conseguenza che quella di rivendere i titoli sarebbe stata una autonoma decisione della stessa Franchi non preventivamente concertata con i NOME
Tesi la cui fragilità è stata logicamente evidenziata dai giudici del merito, osservando la sequenza temporale degli eventi, l’origine della provvista utilizzata per l’acquisto delle azioni, la notevole distanza di tempo delle transazioni incriminate dal momento dell’apertura della successione, le modalità di vendita sul mercato delle azioni e la retrocessione del ricavato da tale vendita a NOME COGNOME e NOME, in uno con il fatto che quanto sostenuto dagli imputati non ha trovato alcun riscontro esterno, né con riguardo alle istruzioni impartite in vita dal loro padre in ordine all distribuzione delle azioni, né relativamente all’effettiva ripartizione della presunt divisione ereditaria, né, tantomeno, con riferimento alla giustificazione della menzionata retrocessione, ossia la presunta necessità di procedere a collazione ereditaria in ragione di asserite donazioni ricevute dalla NOME nel corso della vita del de ciuius.
Con ‘tale apparato giustificativo i ricorrenti dimostrano di non volersi confrontare compiutamente, ribadendo gli argomenti già esaurientemente confutati dalla Corte territoriale. Né in senso opposto ha qualche pregio l’obiezione per cui la versione degli imputati avrebbe trovato conferma nelle dichiarazioni rese dal COGNOME. Anche a voler tacere del fatto che tali dichiarazioni sono solo sommariamente richiamate nel ricorso, è appena il caso di notare come questi – marito di NOME e cognato degli altri due imputati – sia stato ampiamente coinvolto nella realizzazione del piano criminoso, essendo stato colui che ha materialmente provveduto a vendere le azioni sul mercato con le modalità artificiose contestate e dunque logicamente le sue dichiarazioni non sono state considerate dai giudici del merito un valido riscontro a quelle degli odierni imputati.
Per contro la tesi difensiva presenta evidenti aporie, ampiamente messe in luce dalla sentenza impugnata. Anzitutto mal si comprende per quale ragione gravando sulla Franchi NOME un saldo negativo nella (si ripete, meramente asserita) divisione
ereditaria – cui si sarebbe incomprensibilmente proceduto solo a distanza di molti anni dalla dipartita del de cuius a causa delle presunte e in realtà fantomatiche donazioni ricevute dal padre, non abbia proceduto ad una semplice compensazione con l’altrettanto presunto “credito” concernente la distribuzione delle azioni, invece di impegnarsi in una complessa operazione quale quella oggetto di imputazione ed aggirando comunque il prospettato ostacolo costituito dalla necessità di cedere solo a titolo oneroso azioni di una società quotata.
Contraddittoria è poi la giustificazione della retrocessione ai fratelli del ricavato dal vendita delle azioni da parte della NOME. Se infatti la provvista per il precedente acquisto delle stesse azioni dovette essere fornita dai suoi germani a causa dell’incapienza dell’imputata – come sostenuto dalla difesa – non v’è chi non veda come la somma retrocessa non possa provenire che dalla successiva rivendita dei titoli, rimanendo irrilevante la non perfetta coincidenza tra la somma ricavata e quella retrocessa. Ed in tal senso ancora più evidente risulta allora l’artificiosità dell complessa operazione effettuata se il suo senso economico – quello di estinguere il saldo della collazione – avesse dovuto essere quello affermato dagli imputati.
4.2 Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha valutato le diverse condotte contestate come fasi di una operazione unitaria nella sua ideazione e nel fine di dismettere una porzione della partecipazione in CHL da parte di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE senza allarmare il mercato e lucrando così il massimo valore possibile delle azioni cedute. Ed altrettanto correttamente i giudici del merito hanno individuato nella retrocessione finale del ricavato l’evidenza del previo concerto tra i protagonisti della vicenda e dell’attribuzione agli stessi NOME e NOME dell’ideazione dell’operazione.
Ma l’affermata unitarietà della stessa giustifica logicamente anche le conclusioni raggiunte dai giudici del merito in ordine alla configurabilità della condotta di manipolazione informativa ad oggetto le notizie veicolate al mercato da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in occasione della cessione delle azioni alla sorella. La Corte, nel sintetizzare il contenuto del comunicato divulgato dagli imputati, ha tutt’altro che illogicamente interpretato il concetto trasmesso alla platea degli investitori, ossia che i soci di riferimento della quotata cedevano sì parte della loro partecipazione, ma lo facevano in favore di un altro componente della famiglia da sempre alla guida della società. L’informazione in sé era certamente veritiera, come eccepito dai ricorrenti, ma, come ritenuto dai giudici del merito, artatamente incompleta, posto che non veniva annunciata né l’intenzione di procedere al successivo riversamento dei titoli sul mercato, né che l’acquisto era stato finanziato dagli stessi soci venditori, ai quali doveva essere retrocesso il ricavato della destinazione finale delle azioni al mercato.
In altri termini l’informazione, per come confezionata e per come logicamente ritenuto dai giudici del merito, era destinata a dissimulare il reale senso economico dell’operazione, nonché funzionale a rassicurare i suoi destinatari, in un momento come evidenziato nello stesso ricorso – in cui la società aveva subito una rilevante contrazione dei ricavi che si era riverberata sulla quotazione del suo titolo al fine di evitare il prevedibile ulteriore deprezzamento del medesimo. Ed in proposito meramente apodittiche e comunque versate in fatto risultano le annotazioni della difesa in merito all’irrilevanza per l’investitore ragionevole dell’identità del beneficiario de cessione fuori mercato del pacchetto di azioni, tanto più che le stesse non tengono conto proprio del fatto che tale cessione era, per le ragioni illustrate, sostanzialmente simulata e che in ciò consiste l’essenza fraudolenta delle comunicazioni incriminate.
4.3 Contrariamente a quanto eccepito dai ricorrenti, è poi del tutto ininfluente che il volume delle azioni cedute non abbia inciso sul controllo della società, rimasto saldamente nelle mani di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, atteso che a rilevare è soltanto come l’informazione, per come veicolata, fosse price sensitive, profilo sul quale la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato e che non è stato nemmeno oggetto di specifica contestazione con i motivi di ricorso, se non in maniera meramente generica ed assertiva. Peraltro la rilevanza della incompletezza e della natura intrinsecamente simulata del comunicato correttamente è stata collegata dalla Corte territoriale proprio al fatto che a vendere le azioni erano stati i soci di controllo, nonch amministratori, della società quotata, atteso che la conoscenza della destinazione finale delle stesse al mercato in tal caso avrebbe assunto un rilievo certamente diverso per il pubblico degli investitori alla luce del contesto descritto.
E nello stesso senso non pertinente risulta anche l’ulteriore obiezione per cui, come già ricordato, il titolo si sarebbe progressivamente svalutato in ragione della congiuntura negativa che viveva la società, posto che la stessa non tiene conto del fatto che, come già ampiamente ricordato, quello in contestazione è un reato di mero pericolo e che questo può ritenersi concretamente determinato anche dall’omissione di informazioni in grado di influire sul prezzo di un titolo la cui quotazione sia già in corso di svalutazione per altri motivi. In tal senso va ribadito che, con riguardo alla príce sensitivity della condotta incriminata, il concetto di «alterazione» del prezzo comprende tanto gli aumenti e le diminuzioni dello stesso, quanto il suo mantenimento forzato a un determinato livello (Sez. 5, n. 28932 del 04/05/2011, COGNOME, cit.).
4.4. Quanto alla mancata considerazione delle comunicazioni volontarie di NOME al mercato relative all’incremento della sua partecipazione in CHL ed alla successiva intenzione di vendere le azioni (peraltro seguite alla sollecitazione di CONSOB di sottoscrivere il modello 120/A previsto dall’Allegato 4 al Regolamento
Consob n. 11971 del 1999 – c.d. Regolamento Emittenti – con riguardo a quanto stabilito dal combinato disposto dell’art. 120 d.lgs. n. 58 del 1998 e dell’art. 117 dello stesso regolamento succitato), deve osservarsi che si tratta di doglianza incapace di scalfire la tenuta argomentativa della sentenza impugnata. Infatti i ricorrenti non tengono conto del fatto che tali comunicazioni sono intervenute quando la manipolazione informativa già si era consumata, quando cioè attraverso i comunicati rilasciati dai fratelli dell’imputata, per come lacunosamente confezionati, già avevano determinato il pericolo di un turbamento del mercato, nel senso di non causare l’immediato ulteriore decremento della quotazione del titolo, certamente prevedibile, come condivisibilmente osservato dalla sentenza impugnata, qualora il mercato fosse stato correttamente informato della finalità della dismissione di una quota della partecipazione operata da Franchi RAGIONE_SOCIALE e NOME. Non di meno, come già ricordato, la rilevanza della dismissione sul mercato di azioni da parte di un socio che non possiede una partecipazione di controllo non assume per il pubblico degli investitori il medesimo significato come nel caso contrario. In altri termini anche la mera frammentazione dell’informazione comunque idonea ad occultare il reale significato economico dell’operazione in essere è condotta correttamente ritenuta dai giudici del merito idonea ad integrare la fattispecie contestata.
5. Infondate ed a tratti inammissibili sono altresì le censure proposte dai ricorrenti con il terzo motivo in riferimento al contestato aggiotaggio manipolativo relativo alle modalità di vendita sul mercato delle azioni acquistate da NOME
Quanto al concorso morale – ed invero anche materiale, avendo essi fornito i titoli oggetto delle illecite transazioni – dei fratelli di quest’ultima nella consumazione del reato già si è detto in precedenza come, in maniera tutt’altro che illogica, la relativa prova sia stata tratta dai giudici del merito non tanto, come eccepito dai ricorrenti, dal legame familiare intercorrente tra tutti i protagonisti della vicenda, quanto dalla opportuna lettura unitaria della stessa sulla base di plurimi indici fattuali, primo fra tut la retrocessione delle somme ricavate dalle vendite agli stessi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE senza che sia stata dimostrata una effettiva giustificazione della medesima diversa da quella fondatamente ritenuta dai giudici del merito.
Priva di pregio è poi l’obiezione relativa alla mancata incriminazione anche di NOME per il reato in questione, scelta dell’inquirente financo opinabile o criticabile, ma che ovviamente non è di per sé idonea ad incidere sulla responsabilità degli altri imputati.
Per quanto riguarda le dichiarazioni del COGNOME, la loro svalutazione, come già ricordato, è stata motivatamente connessa al suo diretto coinvolgimento nell’esecuzione del piano
criminoso, ma altresì all’esito degli accertamenti compiuti da CONSOB sulla reattività del titolo (ben oltre la soglia del pericolo richiesto per la sussistenza del reato dunque) alle ripetute sollecitazioni effettuate dal medesimo attraverso gli acquisti prodromici ad influire sulla sua successiva quotazione al momento in cui ha proceduto alla vendita dei volumi di azioni detenute dalla moglie, nonché alla loro tempistica.
Inammissibile è poi la doglianza relativa alla mancata valorizzazione delle dichiarazioni del teste COGNOME, solo genericamente e sommariamente evocate nel ricorso e delle quali comunque non viene precisata la decisività. Ed infatti non è dirimente stabilire se il COGNOME abbia agito di propria iniziativa ed in maniera “improvvisata” o se le modalità operative gli siano state, ad esempio, suggerite. Non è in altri termini particolarmente rilevante sapere se egli fosse o meno un investitore “esperto”. Rimane il fatto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il modus operandi adottato è risultato tutt’altro che neutrale o casuale e dalla sua reiterazione nel tempo i giudici del merito hanno logicamente desunto il sotteso intento manipolativo del mercato.
Venendo alle doglianze articolate con il primo motivo in relazione all’imputazione di manipolazione operativa ad oggetto la vendita da parte di Franchi Fernando delle obbligazioni CHL detenute dalla controllata RAGIONE_SOCIALE, deve rilevarsene parimenti la complessiva infondatezza.
6.1 In tal senso va anzitutto evidenziato come le censure della difesa non tengono conto del riconoscimento della continuazione tra il reato di cui si tratta e quelli relativ alla vendita delle azioni CHL. Il riconoscimento di un unitario disegno criminoso alla base delle due vicende ha comportato dunque una valutazione complessiva dei diversi fatti oggetto di contestazione da parte della Corte territoriale e del comune contesto in cui le diverse condotte sono state realizzate. Valutazione più che giustificata sul piano logico dalle significative anomalie che hanno caratterizzato la dismissione delle azioni e quella delle obbligazioni di cui ora si tratta.
6.2 Sotto altro profilo va osservato come si riveli un mero paralogismo quello proposto dal ricorrente in merito alla valutazione tra la superiore quotazione raggiunta dal titolo nelle giornate in cui l’imputato ha proceduto a offrire in vendita pacchetti di obbligazioni, salvo poi revocare i relativi ordini, rispetto al prezzo raggiunto dal medesimo titolo in quelle in cui ha replicato il medesimo schema procedendo però alla presentazione anche di contenuti ordini di acquisto. Proprio la sopravvenuta diminuzione del valore di contrattazione del titolo costituisce, infatti, logico motivo per sostenere artificialmente la sua quotazione. Che l’imputato non abbia costantemente seguito il medesimo schema operativo non impone di per sé, come invece ritenuto dal
ricorrente, di desumere l’assenza di intenti manipolativi quando egli ha invece operato con le modalità giudicate illecite.
In realtà la comparazione tra i due comportamenti è attività irrilevante e fuorviante, atteso che oggetto di rimprovero è la condotta tenuta nel “periodo” considerato illecito, la quale risulta oggettivamente differente da quella dispiegata in altre occasioni e, per l’appunto, realizzata in presenza delle mutate condizioni di mercato. In breve, in alcun modo al Franchi è stato contestato di aver cercato di massimizzare in termini assoluti il valore delle obbligazioni, ma, più semplicemente, di aver reagito alla sopravvenuta contingenza di mercato in maniera fraudolenta per sostenere il prezzo del titolo e non dover registrare una maggior perdita al momento della effettiva vendita. Né è in discussione il motivo ultimo per cui il Franchi ha proceduto a vendere le obbligazioni, ossia se egli l’abbia fatto per prevenire la svalutazione di quelle detenute da RAGIONE_SOCIALE ovvero perché questa – come sostenuto dalla difesa – necessitava di liquidità per finanziare un progetto di sviluppo. Ciò che rileva è soltanto la modalità con le quali la vendita, nelle giornate considerate, è avvenuta. Modalità che i giudici del merito in maniera non manifestamente illogica hanno ritenuto volutamente manipolativa del mercato.
6.3 Né coglie nel segno la censura per cui la Corte territoriale avrebbe in maniera inedita incentrato sul meccanismo della revoca degli ordini di vendita il giudizio sulla natura artificiosa dell’operazione. La sentenza impugnata ha più semplicemente sottolineato come lo schema d’azione cui l’imputato era già ricorso in precedenza ha assunto carattere fraudolento proprio perché integrato dall’inserimento non casuale, né occasionale, degli ordini d’acquisto, idonei ad influire sulla determinazione del prezzo del titolo, che infatti raggiungeva, nelle diverse giornate di contrattazione, un incremento rilevante della sua quotazione. Ed in proposito già si è ricordato come il ricorso a mezzi astrattamente leciti con l’intenzione di perseguire il turbamento del mercato sia fatto tipico ai sensi dell’art. 185 T.U.F.
6.4 Il ricorrente ha poi reiterato in maniera pedissequa l’obiezione per cui il Franchi avrebbe agito in tale maniera al fine di far emergere l’eventuale esistenza nel book di contrattazione di ordini occulti sequenziati o c.d. ordini “iceberg”. La doglianza è innanzi tutto inammissibile perché non si confronta con quella che è la principale ragione per cui i giudici del merito l’hanno respinta, ossia il fatto che la prova della volontà dell’imputato di “snidare” eventuali ordini “iceberg” è fondata esclusivamente su quanto affermato dallo stesso COGNOME senza che sia stato indicato alcun riscontro oggettivo in grado di sostenere la concreta fondatezza del timore asseritamente vantato dal medesimo circa la loro esistenza. Né vale l’obiezione difensiva per cui il comportamento tenuto dall’imputato sarebbe quello ordinariamente tenuto da chi opera
sul mercato telematico. Infatti, la fragilità della giustificazione fornita dal Franchi è re evidente dal fatto che analogo timore egli non ha dimostrato di nutrire nelle giornate di operatività diverse da quelle oggetto di contestazione, nel corso delle quali ha proceduto esclusivamente in posizione di vendita. In tal senso è dunque tutt’altro che illogica la conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata, ossia che l’esigenza di saggiare la presenza di ordini “iceberg” sia una spiegazione fittizia fornita dall’imputato per giustificare a posteriori il proprio operato.
Né comunque è illogica l’ulteriore annotazione della Corte territoriale circa l’incoerenza e artificiosità della scelta di saggiare il mercato inserendo ordini d’acquisto “spia” anziché di vendita, atteso l’obiettivo perseguito, ossia quello di alienare le obbligazioni. Ed in tal senso l’alternativa interpretazione delle azioni descritte proposta dalla difesa si traduce in definitiva in una inammissibile sollecitazione rivolta al giudice di legittimit alla rivalutazione del compendio probatorio, senza per l’appunto evidenziare effettivi tratti di manifesta illogicità del tessuto argomentativo del discorso giustificativo dell sentenza impugnata fondata sulla valutazione complessiva dei fatti imputati.
Priva di pregio è altresì l’ulteriore censura per cui il giudice dell’appello avrebb erroneamente considerato che l’operatività illecita di cui l’imputato è accusato si sarebbe protratta per quarantaquattro giorni. In realtà la sentenza impugnata ha dato conto di come l’attività illecita sia stata registrata nel corso di venti giornate contrattazione, distribuite però nel più ampio arco temporale di operatività effettiva indicato in precedenza (ed a sua volta ricompreso nell’arco complessivo di sessantadue giorni).
6.5 Inconsistente è anche l’obiezione difensiva per cui l’imputato in una sola occasione avrebbe proceduto agli acquisti di obbligazioni con le modalità ritenute artificiose nel corso della fase di chiusura del mercato. A prescindere dalla ovvia considerazione che anche una sola operazione manipolativa è idonea ad integrare il reato contestato (ed in tal senso priva di fondamento è l’affermazione difensiva per cui, ai sensi dell’art. 185 T.U.F., la condotta tipica è solo quella che assume il carattere della sistematicità, atteso che in alcun modo la norma incriminatrice richiede la reiterazione degli artifici e che quello di cui si tratta non è un reato abituale), è appena il caso di ricordare come al Franchi non sia stato contestato di aver sistematicamente operato al fine di fissare nel corso dell’asta di chiusura delle contrattazioni l’ultimo prezzo della giornata borsistica del titolo di riferimento (c.d. marking the dose), costituendo per i giudici del merito tale modalità solo una di quelle alle quali l’imputato sarebbe ricorso nel tentativo di sostenere il prezzo delle obbligazioni prima di procedere alla vendita dei quantitativi di cui intendeva liberarsi. Ed in tal senso va all’evidenza interpretato, alla luce del
complessivo tenore del discorso giustificativo della sentenza, il riferimento anche alla
tempistica dell’operatività effettuato nel passaggio della motivazione additato dal ricorrente come contraddittorio perché asseritamente proteso ad avvalorare la tesi di un sistematico ricorso alla pratica sopra ricordata.
Né corrisponde al vero che il ricorso a pratiche artificiose in chiusura o in apertura d’asta costituisca, come sostanzialmente sostenuto dal ricorrente, indice ineludibile dell’action o del trade based manipulation. È sì vero che il già citato Regolamento UE 2014/596 (art. 12 comma 1, lett. a, n. li) e comma 2 lett. b) annovera tale condotta tra le ipotesi tipiche di manipolazione del mercato e che, dunque, la tempistica in cui l’agente ha operato sul mercato può rappresentare un rilevante sintomo della fraudolenza del suo comportamento (che comunque deve presentare, come già ricordato, autonomi indici di artificiosità). Ma, per l’appunto, la norma sovranazionale la evoca come una delle condotte idonee ad integrare tale tipo di illecito, senza escludere la rilevanza di altre forme di operatività fraudolenta realizzate anche nelle fasi di contrattazione continua’ e puntualmente descritte dalla stessa disposizione. È dunque irrilevante, ai fini della qualificazione della complessiva operatività imputatagli, che i Franchi solo in una occasione abbia applicato lo schema artificioso illecito accertando nel corso dell’asta di chiusura determinando nell’occasione la quotazione finale del titolo, ma semmai la circostanza, come condivisibilmente ritenuto dai giudici del merito, evidenzia ulteriormente la sua volontà di turbare il mercato.
Manifestamente infondata in proposito è poi l’obiezione per cui la Corte territoriale si sarebbe contraddetta, atteso che, pur riconoscendo come solo in una occasione il Franchi abbia operato in asta di chiusura, avrebbe poi affermato, invece, che gli ordini di acquisti «erano concentrati» in tale fase di mercato. In realtà il passaggio motivazionale isolato dal ricorrente è contenuto a p. 6 della sentenza (e considerazioni analoghe vanno per l’ulteriore evocazione del brano contenuto a p. 4 del provvedimento impugnato), nel paragrafo dedicato alla illustrazione della motivazione di quella di primo grado e non costituisce dunque la giustificazione della decisione assunta dal giudice dell’appello, il quale, per l’appunto, ha invece ritenuto il ricorso a marking the dose (in acquisto) occasionale, ancorché parte di una articolata condotta manipolativa protrattasi in più giornate anche in fase di contrattazione continua.
6.6 Generica è l’obiezione relativa alla mancata confutazione alla doglianza proposta con i motivi d’appello relativamente al presunto errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nell’individuare nella giornata del 23 gennaio 2015 quella in cui l’imputato avrebbe effettuato il maggior numero di operazioni fraudolente. Il ricorrente per un verso non precisa la decisività né dell’errore, né della mancata risposta da parte della Corte territoriale al rilievo difensivo. Infatti anche qualora, effettivamente, Tribunale avesse erroneamente identificato nella suddetta data quella di massima
operatività illecita non viene spiegato perché ciò influirebbe sulla tenuta della valutazione complessiva della natura illecita dell’operatività relativa al periodo
considerato effettuata dalla Corte territoriale. Non di meno, nel suo sviluppo argomentativo, la sentenza d’appello non riproduce il presunto errore e dunque non
fonda il discorso giustificativo sull’individuazione di alcuna giornata di massima operatività, ma più semplicemente registra che in ognuno dei venti giorni considerati
l’imputato è ricorso allo schema operativo ritenuto artificioso, talché rimane ininfluente che egli abbia eventualmente inserito ordini di vendita in momento in cui il prezzo era
in ribasso ovvero non abbia venduto in momenti in cui il prezzo del titolo era superiore alla pari, tanto più che il ricorso non precisa, nel primo caso, se i menzionati ordini
siano stati poi revocati. Ma più in generale i rilievi difensivi sul punto si risolvono mere censure di fatto, per di più fondate sull’assertiva prospettazione di risultanze
fattuali di cui non viene precisata (né tanto meno riportata o allegata) la fonte probatoria.
Quanto, infine, ai presunti errori della relazione CONSOB di cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, va evidenziato come ancora una volta il ricorrente non precisi la decisività dei rilievi sollevati, per di più in maniera generica. Ad esempio viene prospettata la presunta contraddittorietà tra due tabelle asseritamente contenute nella relazione dell’autorità di vigilanza, senza precisarne l’oggetto e il contesto espositivo, finendo per sollecitare il giudice di legittimità ad un dialogo diretto con il compendio probatorio che non gli compete.
In definitiva i ricorsi degli imputati devono essere rigettati e gli stessi condannati pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile CONSOB, che si liquidano in complessivi euro 4.000, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 4.000 oltre accessori di legge.
19
Il Presidente
Vessichelli
–
Così deciso il 12/2/2025
#Consigliere estensore
COGNOME