Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8957 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 8957  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA in CINA avverso la sentenza in data 17/04/2023 del TRIBUNALE DI LECCO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore nominato d’ufficio di COGNOME impugna con ricorso immediato per cassazione la sentenza del Tribunale di Lecco, che ha condannato l’imputata per il reato di ricettazione.
Deduce:
Nullità assoluta e insanabile della notifica del decreto di citazione a giudizio presso il difensore ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., senza previa verifica dell’inidoneità dell’elezione di domicilio dell’imputata, per mancata traduzione nella lingua dell’imputata. Mancata sospensione ai sensi dell’art. 420quater cod. proc. pen..
Il difensore ricorrente premette che all’imputata era stato fatto sottoscrivere in data 03/02/2015 un verbale di elezione di domicilio presso lo studio del difensore; che il 26/10/2015 era stato notificato a Xu un primo avviso di conclusione delle indagini preliminari in lingua italiana; che in data 21/11/2021 veniva notificato al
difensore un secondo avviso di conclusione delle indagini preliminari destinato a Xu, questa volto tradotto in lingua cinese a differenza del primo, che era in lingua italiana nonostante la donna fosse chiaramente alloglotta; che «in data 03/10/2022 il Giudice di primo grado, non avvedendosi della mancata traduzione della risalente dichiarazione di domicilio (peraltro sottoscritta in fase procedimentale e non processuale), considerava la medesima idonea a provare la conoscibilità del processo da parte dell’imputata e quindi valido il relativo decreto di citazione a giudizio».
Sulla base di tali premessa osserva che la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. è nulla quando sia stata effettuata sulla base di un’elezione di domicilio inidonea in quanto incapace di informare correttamente circa gli effetti giuridici da essa prodotti per non essere stata tradotta nella lingua del destinatario.
Secondo il difensore, il Tribunale -a fronte di tali condizioni e considerando la fase embrionale in cui veniva resa l’elezione di domicilio- avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. e sospendere il processo nei confronti dell’imputata assente, non potendosi desumere la conoscenza o la conoscibilità del giudizio.
Richiama anche i principi della sentenza c.d. Darwish (Sez. U – , Sentenza n. 23948 del 28/11/2019 Ud., dep. il 2020, Rv. 279420 – 01).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il difensore, con l’unico motivo di ricorso, si duole dell’invalidità della notificazione all’imputata del decreto di citazione a giudizio, nel quale rimaneva e veniva dichiarata assente, in violazione dell’art. 420-bis cod. proc. pen…
Tanto premesso osserva il collegio che il ricorso è comunque inammissibile perché proposto da difensore non munito di specifico mandato ad impugnare ai sensi dell’art. 581, comma 1-quater, cod.proc.pen., introdotto dall’art. 33, co. 1, lett. d) D.Lgs. 150/2022, secondo cui “Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio” 2.1. Il tema dell’applicabilità di tale norma anche all’ipotesi in cui si denunci l violazione dell’art. 420-bis e ss. cod. proc. pen. e con riguardo al ricorso per cassazione è già stato affrontato da questa Corte che, a tale proposito, ha osservato che «avendo riguardo sia al tenore letterale della norma, sia ai principi ispiratori della Riforma Cartabia in tema di impugnazioni, deve ritenersi che l’art. 581 comma 1-quater cod. proc. pen., laddove impone al difensore di munirsi di uno specifico
mandato ad impugnare successivo alla sentenza, a pena di inammissibilità, sia applicabile anche al giudizio di cassazione.
Va osservato che l’intero sistema processuale introdotto dalla Riforma Cartabia (tanto le norme di cui all’art. 420 bis c.p.p. sull’assenza, quanto quelle in tema di impugnazioni e restituzione nel termine), è permeato dall’esigenza di garantire una partecipazione consapevole e volontaria dell’imputato al processo, ne discende che anche l’impugnazione deve costituire espressione del personale interesse dell’imputato a coltivare il gravame piuttosto che una scelta del difensore, quasi automatica. Questa Corte in tema di applicabilità della disciplina di cui all’art. 581, comma 1-quater, c.p.p. al giudizio di cassazione, ha affermato la piena compatibilità della sua ratio con il meccanismo degli avvisi dovuti alle parti al fine di garantirne la conoscenza e, entro certi limiti e per lo più attraverso il patrocinio defensionale, la partecipazione al giudizio di legittimità, a prescindere dal dato testuale della previsione, che fa menzione della “citazione a giudizio”, formalmente propria della regolamentazione del processo di merito (sez.5, 39166 del 2023, del 4/7/2023, Nappi, n.m). A tale indirizzo intende aderire il collegio evidenziando come l’intenzione del legislatore nel prevedere uno specifico mandato ad impugnare, deve ritenersi senz’altro applicabile al giudizio di cassazione non solo in ragione della collocazione sistematica della norma “Forme dell’impugnazione,” nell’ambito del libro IX dedicato in AVV_NOTAIO alle impugnazioni, ma anche in considerazione della ratio sottesa alla Riforma che è quella di selezionare le impugnazioni, anche per il giudizio di cassazione, avendo comunque attenzione alla salvaguardia dei diritti delle parti e delle garanzie del giusto processo (in tal senso si muove la radicale rivisitazione del processo in absentia).
Venendo al caso in esame rileva il collegio come esso sia esemplificativo dell’eventualità che la Riforma ha inteso evitare quella cioè di vedere instaurato un giudizio di impugnazione su impulso del difensore, a prescindere dalla volontà dell’interessato il quale senza un previo contatto con il difensore, si trovi giudicato, in via definitiva, inconsapevolmente. Né può ritenersi che tale interpretazione vulneri i principi costituzionali e convenzionali in tema di giusto processo . La questione di legittimità costituzionale del sistema impugnatorio delineato dalla Riforma Cartabia, è stata già vagliata da questa Corte con sentenza della Sez. 5, n. 42414 del 17/10/2023 che ha definito la questione irrilevante, non avendo la difesa chiarito cosa avrebbe impedito o ostacolato il contatto con l’assistito ai fini del conferimento del mandato specifico. Ed anche nel caso in esame la difesa non ha chiarito gli antecedenti fattuali che avrebbero impedito od ostacolato un “contatto” con l’assistito, ai fini della dichiarazione od elezione di domicilio e dell formalizzazione del mandato ad impugnare, di tal che, allo stesso modo, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Va poi ribadito che attraverso la riforma del
sistema impugnatorio il d.lgs. 150/2022, ha operato una scelta tutt’altro che irragionevole ed anzi ha inteso realizzare un equo contemperamento tra il diritto di difesa dell’imputato di cui agli artt. 24, co 2, 27, co. 2, 111, co. 1 e co. 2 primo alinea e 117, co. 1, Cost., e l’esigenza, fondata precipuamente sul rispetto del principio di ragionevole durata del processo, che rinviene tutela nell’art. 111, co. 2 secondo alinea Cost., di una più celere ed efficiente organizzazione dello sviluppo del procedimento penale e degli strumenti dell’attività giurisdizionale propriamente detta, anche nella prospettiva di allontanare il pericolo della patologia dell’abuso del diritto. Le Sezioni Unite di questa Corte, a proposito della eliminazione della facoltà dell’imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione, hanno affermato che il legislatore ha delineato un modello di esercizio del diritto di difesa (e conseguentemente anche del diritto alla impugnazione) differenziato, a seconda della varie fasi e tipologie di processo (S.U. 8914/2017; Sez. 2, 16/7/2013, Stara , Rv. 257072) precisando che “l’effettività del diritto di difesa non richiede necessariamente che le medesime modalità di esercizio e le correlative facoltà siano uniformemente assicurate in ogni stato e grado del giudizio, perché tale diritto può conformarsi secondo schemi normativi diversi a seconda delle caratteristiche proprie della fase di giudizio nella quale deve essere esercitato. Ne discende anche al legislatore deve essere assicurata ampia discrezionalità nel graduare diversamente le forme e le modalità mediante le quali la difesa tecnica e personale viene garantita all’imputato” (Sez.U. n. 8914/2017). Richiamando la giurisprudenza della Corte cost. (sent. n. 188/1980 e n. 395/2000) e della Corte EDU relativa, in particolare all’art. 6 della Carta EDU, (sent. 27/4/2006, COGNOME c/ Italia; Corte EDU 21/9/1993, COGNOME c/ Austria e Corte EDU 24/5/1991, Quaranta c/ Svizzera), è stata espressamente rimarcata la conformità alla Carta fondamentale e alla Carta EDU, della vigente disciplina processuale penale, nella parte in cui non permette la proposizione del ricorso per cassazione, personalmente da parte dell’imputato (cfr. anche Sez. 6, n. n. 7472/2017, Rv. 269739; Sez. 2, n, 35651/2018, Rv, Antonucci , n.m.). Alle medesime conclusioni deve pervenirsi anche per l’esegesi relativa alla sfera di applicabilità dell’art. 581, co. 1 quater c.p.p. , se solo si pone mente allo scopo perseguito dal legislatore che è quello di consentire la proposizione di impugnazioni consapevoli da parte dell’imputato nell’ottica di semplificare (anche) l’attività della Corte di cassazione e garantire la corretta amministrazione della giustizia senza che dai più stringenti requisiti posti dalla norma a pena di inammissibilità, derivi un pregiudizio per lo stesso imputato dato che qualora sia stato dichiarato assente in difetto dei relativi presupposti, fornisca la prova di non avere avuto effettiva conoscenza del processo, o di non esservi potuto intervenire senza sua colpa, potrà essere rimesso in termini per impugnare. Nemmeno si ravvisa un contrasto con le pronunce di questa Corte che, all’indomani dell’entrata Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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in vigore del d.lgs. 150/2022, hanno escluso l’applicabilità degli specifici oneri formali previsti dall’art. 581, commi 1 ter e 1 quater, cod. proc. pen., come novellato, all’appello cautelare sul rilievo che si tratterebbe di adempimenti specificamente riferiti alla celebrazione della fase processuale del giudizio di merito di secondo grado e, pertanto, non astrattamente inquadrabili nel novero dei principi generali che regolano il sistema impugnatorio (Sez. 4, n. 22140 del 03/05/2023, Rv. 284645; Sez. 1 , n. 29321 del 07/06/2023, Rv. 284996). Invero dette pronunzie affrontano il problema con riguardo specifico alli appello cautelare e poggiano l’esegesi sul dato inequivoco del richiamo della norma a “sentenze”, ma non esaminano il problema delle caratteristiche formali che deve presentare l’atto impugnatorio. In altra recente pronunzia di questa Sezione si è invece affermato che, in tema di rescissione del giudicato, il difensore che abbia depositato specifico mandato a impugnare, ex art. 581 comma 1 quater, cod. proc. pen., rilasciato dopo la sentenza di primo grado pronunziata in assenza dell’imputato, non è tenuto, nel proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che abbia rigettato la richiesta di rescissione, a depositare un ulteriore mandato rilasciato dopo la pronuncia del giudice di secondo grado, posto che la finalità della citata disposizione, è realizzata con il deposito del solo specifico mandato a impugnare la sentenza pronunciata in assenza. In motivazione la Corte ha condivisibilmente affermato, quanto alla questione di legittimità costituzionale del comma 1 quater dell’art. 581 cod. proc. pen., che tale disposizione è astrattamente applicabile anche al ricorso per cassazione, perché risponde” all’evidente ratio – ispirata a esigenze sia di garanzia dell’imputato sia di razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie – di assicurare che la celebrazione delle impugnazioni abbia luogo solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza, da parte dell’imputato, della sentenza pronunciata in sua assenza,nonché della volontà dello stesso imputato di impugnarla”(Sez. 2, n. 40824 del 13/09/2023, Rv. 285256). Contrariamente a quanto sostenuto , tale interpretazione non vulnera i principi costituzionali e convenzionali in tema di giusto processo poiché il legislatore della Riforma, a chiusura del cerchio, ha approntato una serie di rimedi restitutori che possono reintegrare l’imputato nelle opzioni processuali che non è stato in grado di esercitare, quando prova che l’assenza è dovuta alla mancata conoscenza incolpevole del processo. Tra queste, in materia di impugnazione una nuova previsione di nullità da far valere in appello (art. 604, Ì co. 5 bis cod. proc. pen.) e nel giudizio di legittimità (ai sensi dell’art. 623, co. lett. b-bis cod. proc. pen. ), oltre all’ampliamento dell’istituto della restituzione i termini di cui all’art. 175 c.p.p., prevedendosi una nuova ipotesi (comma 2.1.) di restituzione per l’imputato giudicato in assenza, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell’art. 420 bis c.p.p., fornisce la prova di non avere avuto conoscenza della pendenza del processo e di non aver Corte di Cassazione – copia non ufficiale
potuto proporre impugnazione senza sua colpa, oltre all’istituto della rescissione del giudicato che riguarda appunto l’ipotesi della erronea dichiarazione di assenza (S.U. 23948/2019, Rv. 279420; Sez. U. 15498/2020 Lovric)».
Tanto è stato esposto nella Sentenza n. 47327 del 03/11/2023, insieme alla quale si ribadisce il seguente principio di diritto: «In tema di impugnazioni, la causa di inammissibilità di cui all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce alla necessità di depositare lo specifico mandato a impugnare, si applica anche al ricorso per cassazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che dalla sussistenza di tale onere anche nel giudizio di legittimità non consegue alcuna lesione ai principi costituzionali e convenzionali del giusto processo, ben potendo l’imputato, che provi che la propria assenza è dovuta alla mancata conoscenza incolpevole del processo, far ricorso ai plurimi rimedi restitutori suscettibili di reintegrarlo nelle opzioni processuali che non è stato in grado di esercitare)», (Sez. 2, Sentenza n. 47327 del 03/11/2023, COGNOME, Rv. 285444 – 01).
Alla luce di quanto complessivamente detto deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 30/01/2024
Il Consigliere est.
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