Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45842 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45842 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in Argentina il 17/04/1944
avverso la sentenza del 20/12/2023 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
udito il difensore, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 11 febbraio 2021, ha assolto NOME COGNOME in ordine alla partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico contestata al capo 40), per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena in complessivi anni dieci, mesi sei di reclusione ed euro 30.000 di multa in ordine a plurime ipotesi di concorso nella detenzione e cessione di ingenti quantitativi di sostanza
stupefacente del tipo cocaina (capi 5a, 8a, 15a, 34a), fatti commessi dal settembre al dicembre 2004.
NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME quale sostituto dell’avvocata NOME COGNOME difensore d’ufficio, dopo aver premesso l’inapplicabilità al caso in esame dell’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen. quanto a mandato specifico in ragione della dichiarazione di latitanza del ricorrente, osservando, altresì, come non sia applicabile per il ricorso per cassazione la parte della norma che impone l’elezione di domicilio ai fini delle notificazioni, deduce due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 296, comma 4, cod. proc. pen. in relazione al decreto di latitanza emesso il 25 ottobre 2006 e conseguente nullità assoluta ex art. 178, comma 1, lett. c), 179, comma 1, cod. proc. pen. degli atti successivi.
Si osserva come le ricerche effettuate dal personale di polizia fossero state incomplete ed insufficienti, non essendo stato svolto alcun controllo in Argentina ove era nato e, in definitiva, logico ritenere che ivi risiedesse l’indagato; la decisione, si assume, ha omesso di motivare in ordine alla pur rilevata volontà di sottrarsi al procedimento.
La nullità assoluta ed insanabile del decreto di latitanza riverbera i suoi effetti invalidanti sulla citazione a giudizio e su tutti gli atti ad essa successivi.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di norma processuale nella parte in cui il decreto di latitanza emesso nei confronti del ricorrente, pur arrestato in Argentina a seguito di richiesta estradizionale da parte dell’autorità giudiziaria italiana, non veniva revocato, come avrebbe imposto giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è Sez. U, n. 21035 del 26/03/2003, Caridi, Rv. 224134, secondo cui l’arresto dell’imputato all’estero nell’ambito di una procedura estradizionale o per altra causa comporta la cessazione dello stato di latitanza).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Contrariamente a quanto rilevato apoditticamente in premessa dal ricorrente che sostiene che non sarebbe applicabile in ipotesi di latitanza l’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen. che impone che la difesa tecnica si doti di
regolare mandato all’atto della proposizione del ricorso quando l’imputato è dichiarato assente, la stessa trova invece applicazione nel caso di specie.
Dall’esame degli atti del procedimento, sempre consultabili da questa Corte quando occorra – come nel caso sottoposto a scrutinio – decidere su questioni di natura processuale (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092), emerge che nel corso del giudizio di primo grado il Tribunale, anche all’esito di specifica interlocuzione con le parti (udienza del 11 febbraio 2021), ha ritenuto legittima la dichiarata “assenza” nei confronti dell’imputato, rilevando come, anche in ragione dell’intervenuto arresto in Argentina in data 25 febbraio 2010 finalizzato all’estradizione in Italia e il successivo invio degli atti processuali il 20 febbraio 2014 richiesti da quella Autorità giudiziaria in data 8 aprile 2013 a firma del Giudice Federale di NOME NOME COGNOME costui fosse a conoscenza del procedimento che lo riguardava (pagg. 10 e 11 sentenza del Tribunale di Roma) e che si fosse sottratto volontariamente al processo.
Ai fini della dichiarazione di assenza, deve, per inciso, osservarsi come nel caso di specie – sia applicabile la disciplina introdotta dall’art. 420-bis, comma 2, ultima parte, cod. proc. pen., in quanto sussistevano le condizioni prese in esame dall’art. 15-bis della legge del 28 aprile 2014, n. 67, interpolata dalla legge 11 agosto 2014, n. 118, che fissando i termini della disciplina transitoria, anticipava gli effetti della nuova legge nel procedimento in corso se non ancora deciso con sentenza di primo grado antecedentemente alla sua entrata in vigore (in tal senso, ex converso, in quanto afferente ad ipotesi in cui si è precisato l’ambito in cui non poteva ritenersi applicabile la nuova disciplina sull’assenza, cfr. Sez. 1, n. 34911 del 27/06/2017, dep. 2018, Napoli, Rv. 273858; Sez. 1, n. 20810 del 09/01/2017, Hussein, Rv. 270614; Sez. 2, n. 18813 del 10/01/2017, Popa, Rv. 269796).
Poiché nel caso sottoposto a scrutinio il processo celebrato in primo grado è stato definito con la sentenza emessa in data 11 febbraio 2021, data successiva all’entrata in vigore della citata normativa (22 agosto 2014), corretta risulta la dichiarazione di assenza resa dal Tribunale che ha ritenuto, alla luce di concreti elementi acquisiti, che l’imputato, una volta revocato l’arresto per il diniego di estradizione deciso dall’Autorità Giudiziaria argentina, si fosse volontariamente sottratto al processo in corso di celebrazione presso il Tribunale di Roma che, pertanto, proseguiva regolarmente ex art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen.
pur vero che la Corte di appello, allorché ha confutato la dedotta insussistenza dei presupposti per emettere il decreto di latitanza (pag. 3) fa riferimento all’imputato “libero contumace latitante”, ma l’utilizzo di detto
sintagma risulta meramente funzionale alla confutazione delle ragioni del gravame che erano tutte tese a sostenere che le ricerche fossero state condotte in maniera superficiale e che l’imputato non avesse voluto sottrarsi volontariamente al processo, non essendo, invero, tale riferimento idoneo a modificare la posizione giuridico processuale dell’imputato, resa palese dall’espressa dicitura “latitante assente” riportata nell’intestazione della sentenza.
Deve, poi, osservarsi come, ciò che rileva ai fini della sussistenza del presupposto dell’assenza a cui fa riferimento l’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen. allorché prevede l’inammissibilità del ricorso, è la disciplina in concreto applicabile sulla base di quanto in concreto verificatosi nel corso del processo, non certo condizionata dall’eventuale erronea menzione dei presupposti da parte del giudice di merito (in ordine all’irrilevanza sul termine ad impugnare in ipotesi di erronea dichiarazione di contumacia, cfr. Sez. 2, n. 42519 del 26/04/2017, COGNOME, Rv. 271322; Sez. 5, n. 19279 del 27/03/2015, S., Rv. 264849).
5. Fatta tale doverosa premessa in ordine alla disciplina applicabile, si ribadisce come, secondo quanto statuito da questa Corte, la necessità per il difensore di dotarsi, a pena di inammissibilità, dello specifico mandato ad impugnare contenente la dichiarazione o elezione di domicilio, si applica anche all’imputato assente che sia stato dichiarato latitante, non essendo costui giuridicamente impossibilitato a mantenere contatti con il proprio difensore al fine di concordare le strategie difensive (Sez. 1, n. 25935 del 16/04/2024, COGNOME Rv. 286598 – 01).
Si è avuto modo di evidenziare che l’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen. – per come interpolato dall’art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, norma applicabile in ragione della disciplina transitoria dettata dall’art. 89, comma 3, di detta disposizione – mira ad assicurare la celebrazione del giudizio di impugnazione solo quando l’imputato, rimasto assente nei gradi antecedenti, manifesti l’effettiva conoscenza del sopraggiungere di decisione a suo carico, attraverso il conferimento del mandato al difensore; in caso contrario sussisterebbe il serio rischio che la decisione definitiva venga travolta dai rimedi restitutori tesi a scongiurare che l’imputato ignaro subisca l’attività processuale svoltasi a sua insaputa (rescissione del giudicato e l’istituto della restituzione nel termine, delineato nel nuovo art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen.), essendo, pertanto, necessario che il difensore impugnante si doti di uno specifico mandato e dell’elezione di domicilio funzionale ad un utile e razionale impiego delle risorse giudiziarie.
Specie quando è stato necessario vagliare le ipotesi in cui non sussiste un rapporto fiduciario tra imputato e difensore, evenienza certamente ravvisabile allorché la nomina di costui sia avvenuta d’ufficio, questa Corte ha stabilito che la nuova disciplina delle impugnazioni secondo il complessivo paradigma del d.lgs. n. 150 del 2022 è essenzialmente fondata sulla preclusa possibilità di impugnare decisioni senza la certa conoscenza dell’interessato. La disciplina prevista dalla norma in esame ha come obbiettivo proprio quello di «ritenere provato, in modo incontrovertibile, che l’imputato “conosce e vuole”, non solo l’esistenza del processo, ma anche la sua progressione nei gradi successivi» (Sez. 2, n. 47927 del 20/10/2023, COGNOME, Rv. 285525), avendo il mandato la finalità di «assicurare che l’impugnazione sia proposta solo quando l’imputato abbia effettiva conoscenza della sentenza pronunciata in sua assenza e che sussista la volontà di impugnarla» (Sez. 2, n. 40824 del 13/09/2023, COGNOME, Rv. 285256-02).
Seppure la difesa censuri proprio la dichiarazione di latitanza, evenienza che – si assume – non consentirebbe di applicare l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. che fonda la disciplina proprio sull’assenza che è, in definitiva, alla base dal provvedimento di latitanza che si impugna, il chiaro tenore della legge non risulta certo superato da dette apodittiche censure: le ragioni poste alla base dello stesso motivo (l’inadeguata ed incompleta ricerca del ricorrente ai fini della decretata latitanza e la carenza di elementi idonei a dimostrare la volontaria sottrazione al processo) finiscono per confermare tale assunto, tenuto conto della necessità di salvaguardare l’effettiva conoscenza della decisione da parte dell’imputato e, in particolare, l’intenzione di impugnare l’atto (in tal senso anche se riferito alla declaratoria di assenza cfr. Sez. 1, n. 7169 del 12/01/2024, COGNOME, non massimata).
La carenza di mandato ad impugnare la sentenza di appello da parte della difesa tecnica (nominato sostituto dal difensore d’ufficio) e la dichiarata assenza del ricorrente nel corso del giudizio, situazioni corrispondenti alla previsione di cui all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/11/2024.