Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11152 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11152 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME nato a UDINE il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 20/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del PG AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 20 ottobre 2023, ha dichiarato inammissibile, in difetto dello specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la decisione gravata, l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio in data 19 gennaio 2023.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si sollecita preliminarmente questa Corte a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc.
pen. (nonché, in via subordinata della norma transitoria di cui all’art. 89, comma 3, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), in relazione agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost., perché risulterebbe violato il diritto all’impugnazione e alla difesa tecnica, peraltro con disparità di trattamento tra imputato assente e imputato presente.
2.2. Con il secondo motivo, si censura l’erronea applicazione dell’art. 420-bis cod. proc. pen., poiché la ricorrente non avrebbe mai avuto effettiva contezza della pendenza del processo.
2.3. Con il terzo motivo, la difesa reitera le doglianze relative alla disposizione di cui all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., in quanto ancorano l’inammissibilità, senza possibilità di deroghe, alla mancata allegazione del mandato ad impugnare, anche quando – come nel caso di specie – il difensore non abbia mai avuto alcun contatto con il proprio assistito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché proposto con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti.
La prospettata questione di legittimità è manifestamente infondata. Come condivisibilmente già osservato da questa Corte, con ampia motivazione che il Collegio condivide appieno e a cui intende dare seguito, «come chiarito nella relazione della Commissione AVV_NOTAIO, che ha preceduto il progetto riformatore culminato con l’adozione del d.lgs. n. 150 del 2022, l’onere imposto per la proposizione dell’appello, nel caso che il giudizio di primo grado si sia svolto in assenza, si spiega in vista della necessità che l’imputato assente abbia contezza dell’impugnazione.
Si è infatti chiarito che, nel contesto delle innovazioni proposte, l’intervento sulla legittimazione del difensore ad impugnare costituisce uno snodo essenziale, sia in chiave di effettiva garanzia dell’imputato, sia in chiave di razionale e util impiego delle risorse giudiziarie: la misura, invero, è volta ad assicurare la celebrazione delle impugnazioni solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato giudicato in assenza e a evitare – senza alcun pregiudizio del diritto di difesa dell’interessato, tutelato da rimedi “restitutori” contestualmente assicurati – l’inutile celebrazione di gradi d giudizio destinati ad essere travolti dalla rescissione del giudicato.
A tutela delle esigenze di pieno e impregiudicato esercizio del diritto di difesa, la modifica è accompagnata dall’allungamento dei termini per impugnare a favore del difensore e dalla rivisitazione dell’istituto di cui all’art. 629 bis cod. proc. pen. In definitiva, la previsione del mandato specifico attesta l’effettiva conoscenza del processo e, dunque, elimina, in linea generale, il presupposto del rimedio restitutorio per la mancata conoscenza.
Ne discende che la diversa disciplina del regime delle impugnazioni proponibili dall’imputato che non sia stato assente non può essere invocata come tertium comparationis, in riferimento all’art. 3, Cost. , per trarne la conclusione di una irragionevole differenziazione regolamentare: e ciò proprio perché distinte sono le situazioni normate e diverse sono le esigenze di protezione delle ragioni del destinatario della pretesa punitiva dello Stato.
Anche la prospettiva della lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) non coglie nel segno, dal momento che l’equilibrio raggiunto dal legislatore tra esigenze di protezione dell’imputato e razionale impiego delle risorse giudiziarie consente l’applicazione di rimedi restitutori che, nel momento in cui l’imputato avrà certa conoscenza del processo, consentiranno un consapevole e pieno dispiegarsi del contraddittorio processuale.
A ciò deve aggiungersi – e ciò anche nella prospettiva dell’art. 111 Cost., che, peraltro, riguarda il ricorso in cassazione, non essendo in discussione la possibilità di proporre impugnazione, bensì i modi del suo esercizio – che “nel sistema del diritto processuale penale italiano, il legislatore ha delineato un modello di realizzazione del diritto di difesa (e, conseguentemente, anche del diritto alla impugnazione) differenziato in relazione alle varie fasi e tipologie di processo” (Sez. U, 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272011 – 01, che richiama Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006, COGNOME, n.m. sul punto, e Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, Rv. 257072); difatti, “l’effettività del diritto di difesa richiede necessariamente che le medesime modalità di esercizio e le correlative facoltà siano uniformemente assicurate in ogni grado del giudizio, poiché tale diritto può conformarsi secondo schemi normativi diversi a seconda delle caratteristiche proprie della fase di giudizio nella quale deve essere esercitato. Ne discende che al legislatore va riconosciuta ampia discrezionalità nel graduare diversamente le forme e le modalità mediante le quali la difesa tecnica e personale viene garantita all’imputato” (Sez. U, n. 8914/2017 – dep. 2018, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto che (richiamando la giurisprudenza della Consulta, in particolare, Corte cost., n. 188 del 16/12/1980 e n. 395 del 13/07/2000, e della Corte EDU, relativa in particolare all’art. 6, par. 3, lett. c, Carta EDU: cfr. Corte EDU, 27/4/2006, COGNOME c. Italia; Corte EDU, 21/09/1993, COGNOME c. Austria; Corte EDU, 24/05/1991, Quaranta c. Svizzera) è stata espressamente rimarcata per l’appunto la conformità alla Carta fondamentale e alla Carta EDU della vigente disciplina processuale penale, sia nella parte in cui non consente la difesa personale, sia nella parte in cui non permette la proposizione personalmente, da parte dell’imputato, del ricorso per cassazione (v. anche Sez. 6, n. 7472 del 26/01/2017, COGNOME, Rv. 269739 – 01; Sez. 5, n. 49551 del 03/10/2016, COGNOME, Rv. 26874401; cfr. pure Sez. 2, n. 35651 del 26/07/2018, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 14411
del 14/01/2020, C., Rv. 278846-01)» (Sez. 5, n. 41763 del 12/07/2023, NOME, non massimata; cfr. anche Sez. 2, n. 47327 del 03/11/2023, NOME, Rv. 285444).
Risulta, d’altronde, parimenti privo di pregio anche il richiamo all’art. 27 Cost, peraltro in difetto di qualsiasi esplicazione illustrativa, esulando da quanto conferente in questa sede, alla luce delle considerazioni sinora espresse, i principi di personalità della responsabilità penale e di presunzione di innocenza.
3.2. Una compiuta disamina del secondo motivo – che lamenta la ritenuta sussistenza dei presupposti per la declaratoria di assenza, in termini peraltro del tutto generici e tali da non consentire al Collegio di cogliere, in difetto di un compiuta ricostruzione della vicenda processuale, l’effettiva portata censoria della doglianza – resta preclusa dalla declaratoria di inammissibilità.
3.3. L’ultimo motivo, infine, non contesta una violazione o un’erronea applicazione della legge processuale, ma si pone soltanto in una posizione critica di fronte alle scelte del legislatore e risulta pertanto non consentito, in quanto ultroneo rispetto al perimetro delineato dall’art. 606 cod. proc. pen.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2024
Il onsigl re estensore
La Presidente