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Mandato di arresto europeo: stop alla consegna

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza che autorizzava la consegna di un cittadino rumeno al Belgio, in esecuzione di un mandato di arresto europeo. La decisione si fonda sulla mancata verifica d’ufficio, da parte della Corte d’Appello, delle effettive condizioni delle carceri belghe, nonostante fossero già note criticità sistemiche. La Suprema Corte ha stabilito che la mera diversità formale del mandato non esime il giudice dal dovere di accertare il rispetto dei diritti fondamentali del detenuto.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato di Arresto Europeo: Quando le Condizioni Carcerarie Bloccano la Consegna

La cooperazione giudiziaria in Europa, pilastro fondamentale dell’Unione, trova nel mandato di arresto europeo (MAE) uno dei suoi strumenti più efficaci. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e deve sempre bilanciarsi con la tutela dei diritti fondamentali della persona. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18600/2024) ribadisce questo principio, sottolineando come il giudice italiano abbia il dovere di verificare le condizioni detentive dello Stato richiedente prima di autorizzare la consegna.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda la richiesta di consegna, avanzata dalle autorità giudiziarie del Belgio, di un cittadino rumeno condannato a una pena di otto anni di reclusione per tentato omicidio e lesioni personali. La Corte di Appello di Roma aveva inizialmente dato il via libera alla consegna.

Tuttavia, non era la prima volta che il caso giungeva all’attenzione delle corti italiane. Già in passato, durante la fase delle indagini preliminari, per gli stessi fatti erano stati emessi altri mandati di arresto europeo. In quelle occasioni, la Corte di Cassazione aveva annullato per ben due volte le decisioni favorevoli alla consegna, proprio a causa della mancata acquisizione di informazioni specifiche e individualizzate sulle condizioni delle carceri belghe, note per problemi di sovraffollamento e criticità già sanzionate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU).

Nel giudizio più recente, la Corte di Appello ha ritenuto di poter superare questo ostacolo, sostenendo che, trattandosi di un nuovo MAE (emesso per l’esecuzione della pena e non più per le indagini) e in assenza di nuove prove fornite dalla difesa, non fosse più necessario procedere a tali verifiche.

La Decisione della Cassazione sul mandato di arresto europeo

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, annullando la sentenza della Corte di Appello e rinviando il caso per un nuovo giudizio. La Suprema Corte ha ritenuto il ragionamento dei giudici di merito ‘non condivisibile’, riaffermando la centralità della tutela dei diritti umani nel procedimento di consegna.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nel concetto di ‘sostanziale unitarietà della vicenda’. I giudici hanno chiarito che il mutamento formale del titolo – da un mandato di arresto per le indagini a uno per l’esecuzione della pena – è irrilevante quando il problema di fondo rimane lo stesso: il rischio di una detenzione in condizioni inumane e degradanti, in violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Corte ha specificato che, una volta sollevato il dubbio sulla criticità del sistema carcerario di uno Stato membro (supportato, come in questo caso, da precedenti pronunce della Corte EDU), scatta per il giudice nazionale un preciso obbligo di agire ‘d’ufficio’. Questo significa che il tribunale deve attivarsi autonomamente per acquisire le informazioni necessarie a escludere ogni rischio concreto e individuale per la persona richiesta. Non può, quindi, rimanere inerte o scaricare l’onere della prova interamente sulla difesa.

Conclusioni: L’Obbligo di Verifica sulle Condizioni Carcerarie

Questa sentenza consolida un principio fondamentale nella procedura del mandato di arresto europeo: la fiducia reciproca tra Stati membri non può mai tradursi in una cieca esecuzione delle richieste di consegna. Il giudice dell’esecuzione ha il potere e il dovere di sospendere la procedura quando esistono prove oggettive e attendibili di carenze sistemiche che potrebbero esporre l’individuo a trattamenti contrari ai diritti fondamentali. L’annullamento con rinvio impone alla Corte d’Appello di fare ciò che avrebbe dovuto fare sin dall’inizio: chiedere al Belgio garanzie concrete e specifiche sulle condizioni di detenzione che verranno riservate alla persona richiesta, prima di poter decidere sulla sua consegna.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza che autorizzava la consegna?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza perché la Corte d’Appello non ha verificato d’ufficio le condizioni delle carceri belghe, nonostante fossero già emerse in passato criticità sistemiche documentate anche da pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il fatto che si trattasse di un nuovo mandato di arresto europeo cambiava la situazione?
No. Secondo la Suprema Corte, il cambiamento formale del mandato (da processuale a esecutivo) è irrilevante, data la ‘sostanziale unitarietà della vicenda’. Le preoccupazioni per le condizioni detentive restavano le stesse e andavano verificate.

A chi spetta l’onere di provare che le condizioni carcerarie sono inadeguate?
La sentenza chiarisce che, in presenza di elementi noti e comprovati che indicano una situazione di criticità generale (come le sentenze della Corte EDU sul sovraffollamento), spetta al giudice attivarsi ‘d’ufficio’ per acquisire informazioni specifiche, senza attendere che sia la difesa a fornire nuove prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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