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Mandato di arresto europeo: residenza e consegna

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un cittadino straniero contro la consegna basata su un mandato di arresto europeo. La Corte ha ribadito che, per rifiutare la consegna, è necessaria una residenza continuativa in Italia per almeno cinque anni, un requisito non soddisfatto dal ricorrente nonostante il suo radicamento sociale e familiare nel Paese.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato di Arresto Europeo: Quando la Residenza Non Basta

Il mandato di arresto europeo (MAE) è uno strumento fondamentale di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea, ma la sua applicazione solleva questioni complesse, specialmente quando la persona richiesta risiede stabilmente in Italia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: la semplice presenza, anche per molti anni, e il radicamento sociale non sono sufficienti per rifiutare la consegna. È necessario il requisito formale della residenza continuativa per almeno cinque anni. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un cittadino rumeno, residente in Italia da molti anni, veniva raggiunto da un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità del suo Paese d’origine per un reato di furto aggravato. La Corte d’Appello dell’Aquila disponeva la sua consegna alla Romania. L’uomo, tuttavia, si opponeva a questa decisione, presentando ricorso in Cassazione. A sostegno della sua richiesta, evidenziava il suo forte radicamento nel territorio italiano: viveva a Sulmona dal 2007, era sposato dal 2019, padre di cinque figli ben inseriti nel contesto scolastico e sociale, e aveva recentemente ottenuto la trasformazione del suo contratto di lavoro a tempo indeterminato. Pur ammettendo di non aver avuto una residenza o un lavoro continuativo negli ultimi cinque anni, sosteneva che la sua lunga permanenza e i suoi legami familiari dovessero prevalere.

La Decisione della Corte di Cassazione e il mandato di arresto europeo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello e quindi la consegna del ricorrente alle autorità rumene. I giudici hanno respinto le argomentazioni della difesa, ritenendole in parte non specifiche e in parte manifestamente infondate. La Corte ha sottolineato che la normativa italiana, in particolare l’art. 19 della legge n. 69 del 2005, è chiara nel richiedere un presupposto specifico e non derogabile per poter subordinare la consegna all’esecuzione della pena in Italia.

Le Motivazioni: La Continuità della Residenza come Requisito Essenziale

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nell’interpretazione della legge sul mandato di arresto europeo. La norma (art. 19, comma 2, legge n. 69/2005, come recentemente modificato) stabilisce che la consegna può essere rifiutata se la persona richiesta è cittadino italiano o persona che risiede legittimamente ed effettivamente in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano.

I giudici hanno chiarito che il legislatore ha volutamente utilizzato il termine “continuativa” per escludere valutazioni discrezionali basate su un generico “radicamento”. Anche se il ricorrente viveva in Italia da molto tempo, con famiglia e lavoro, la sua stessa ammissione di non aver mantenuto una residenza continuativa per l’ultimo quinquennio ha reso la sua posizione insostenibile. La legge, infatti, ha codificato una serie di indici sintomatici per verificare l’effettivo radicamento (stabilità della dimora, regolarità contributiva, legami familiari, etc.), ma il presupposto della continuità temporale rimane un pilastro fondamentale e imprescindibile. La doglianza relativa alla presunta indeterminatezza del mandato (se per custodia in carcere o ai domiciliari) è stata inoltre giudicata meramente esplorativa e, quindi, inammissibile.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio di stretta legalità nell’applicazione del mandato di arresto europeo. Per chi non è cittadino italiano, la possibilità di scontare in Italia una pena comminata all’estero non dipende da una valutazione complessiva dell’integrazione sociale, ma dal rispetto di un requisito oggettivo e temporale ben preciso: cinque anni di residenza ininterrotta. La decisione serve da monito: la stabilità e la regolarità della propria posizione sul territorio nazionale sono elementi cruciali che possono determinare l’esito di una procedura di consegna. Il semplice fatto di aver costruito una vita in Italia, con affetti e lavoro, non è sufficiente a superare il chiaro dettato normativo che privilegia la certezza del diritto e la cooperazione giudiziaria europea.

È sufficiente avere famiglia e lavoro stabili in Italia per evitare la consegna basata su un mandato di arresto europeo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, anche in presenza di un forte radicamento sociale e familiare, il requisito fondamentale per poter valutare un’alternativa alla consegna è la residenza legittima ed effettiva in via continuativa in Italia per almeno cinque anni.

Cosa intende la legge per “residenza continuativa” ai fini del mandato di arresto europeo?
La legge richiede che la residenza o la dimora sul territorio italiano sia stata ininterrotta per un periodo di almeno cinque anni. Interruzioni o periodi di lavoro non regolare possono invalidare questo requisito, come avvenuto nel caso di specie.

Un mandato di arresto europeo può essere considerato nullo se non specifica il tipo esatto di misura cautelare (carcere o domiciliari)?
No, la Corte ha ritenuto tale doglianza inammissibile perché “meramente esplorativa”. L’indicazione generica di “arresto preventivo” è stata considerata sufficiente ai fini della validità del mandato nel contesto della procedura di consegna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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