Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4818 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4818 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 30/07/1993 a Pietra Neamt (Romania) avverso la sentenza del 10/01/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
nessuno è comparso per la difesa, nonostante la regolare e tempestiva notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, perfezionatasi in data 28/01/2025, con la sua consegna a mezzo PEC agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza in data 10/01/2025 della Corte di appello di Roma che -a seguito di annullamento con rinvio della Corte di cassazione- ha disposto la sua consegna all’Autorità giudiziaria dello Stato della Romania, in quanto colpito da mandato di arresto europeo emesso in data 27.9.2023 dalla A.G. romena in esecuzione della sentenza 18.11.2022 esecutiva il 19.9.2023 – dalla Corte di COGNOME (Romania), con la quale è stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 3 per la commissione di due reati di
guida senza patente di cui uno commesso in stato di ebbrezza alcolica, commessi rispettivamente in data 2.7.2019 e 9.1.2020, detenuto agli arresti domiciliari per questo MAE.
Deduce:
1.1. “Nullità dell’impugnata sentenza per violazione art. 125 e 606 lett. b) c) ed e) C.P.P. per erronea e mancata applicazione della norma e per motivazione illogica contraddittoria e apparente in relazione all’alt. I 8 bis, comma 2 bis, Legge 22 aprile 2005 n. 69”.
Secondo il ricorrente, la corte di appello, investita a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione, ha escluso nuovamente il radicamento sulla base di un apprezzamento frammentario di alcuni degli indici offerti dalla difesa a dimostrazione della permanenza in Italia del prevenuto da oltre dieci anni.
Si assume che i Giudici non hanno valutato in maniera corretta la certificazione INPS attestante la contribuzione sin dall’anno 2011, così non seguendo le indicazioni contenute nella sentenza rescindente (n. 47702 del 30/12/2024), là dove annullava la sentenza precedente rilevando che «la decisione impugnata non ha fatto buon governo di tali principi, in quanto ha escluso la residenza quinquennale del ricorrente in Italia solo sulla base delle dichiarazioni rese in sede di convalida, ma ha omesso completamente di valutare la documentazione prodotta dalla difesa, tra cui in particolare un certificato INPS che attesta il versamento, seppur discontinuo, di contributi fin dal 2011, i contratti di affitto dell’anno 2022 e un cud relativo all’anno 2019».
Sostiene che la corte di appello ha nuovamente esaminato in maniera scorretta l’estratto conto previdenziale rilasciato dall’INPS da dove si evince la contribuzione a carico dello stesso per gli anni 2011, 2017, 2018, 2020, 2021, 2022 e 2023; che ha altresì omesso di considerare il cud dell’anno 2019 facendo riferimento solo agli anni 2023 e 2024; che non ha fatto alcun accenno al contratto di affitto dell’anno 2021 e al contratto di lavoro della propria compagna NOMECOGNOME nata in Romania il 29.05.2002, intestataria con il Luchian del contratto di affitto dell’anno 2021.
Si assume, dunque, che la documentazione lavorativa depositata costituisce prova dell’effettivo radicamento del ricorrente nel territorio italiano e della stabilità delle sue attuali condizioni personali e reddituali, seppur modeste, atteso inoltre, che un rimpatrio forzato costituirebbe una violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare e privata.
Lamenta che la Corte territoriale non ha motivato in alcun modo in ordine a tali elementi, con conseguente vizio di motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il precedente annullamento è stato disposto in quanto si rilevava che la decisione impugnata aveva escluso la residenza quinquennale del ricorrente in Italia sulla sola base delle dichiarazioni rese in sede di udienza di convalida, omettendo completamente di valutare la documentazione prodotta dalla difesa, tra cui, in particolare, un certificato INPS che attesta il versamento, seppur discontinuo, di contributi fin dal 2011, i contratti di affitto dell’anno 2022 e un CUD relativo all’anno 2019.
1.2. Tali documenti sono stati ora considerati dalla corte di appello, che li ha ritenuti probatoriamente inidonei, osservando che le certificazioni INPS attestano una presenza lavorativa del Luchian in Italia fino al 2021 per periodi estremamente limitati, anche solo di pochi giorni, con una discontinuità nel tempo (ad. es., nulla viene certificato in relazione all’anno 2019); quanto poi alle dichiarazioni e alla documentazione concernenti la dimora in Italia del Luchian, esse sono state considerate univoche a far data dal novembre 2023 (contratto di locazione); discontinue quanto al periodo precedente (contratto di locazione non registrato relativo al periodo agosto 2021- agosto 2022 con alcune ricevute di pagamento) e di contenuto incerto né verificabile quanto al periodo ancora precedente (dichiarazioni estremamente generiche che fanno riferimento ad un rapporto di ospitalità non definito né nel tempo né nelle modalità in cui si sarebbe realizzato).
La corte di appello ha altresì osservato che le violazioni per le quali il Luchian ha riportato condanna sono state commesse rispettivamente nel luglio del 2019 e nel gennaio del 2020, in territorio romeno, alla guida di un veicolo con targa romena; che dagli atti risulta che una teste (NOMECOGNOME, nel corso del processo in Romania, aveva dichiarato di riconoscere l’imputato perché suo vicino e che in altre circostanze lo aveva visto guidare a velocità eccessiva nel centro abitato della località romena; che, inoltre, sempre dagli atti risultava che il COGNOME aveva riportato altre condanne in Romania per fatti commessi in epoca di poco anteriore a quelli in oggetto.
1.3. Va, dunque, osservato che l’art. 18 -bis, comma 2, della L. n. 69 del 2005 prevede che «quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna del cittadino italiano o di persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa
da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».
E’ stato, quindi, precisato che «in tema di mandato di arresto europeo, a seguito delle modifiche apportate all’art. 18-bis legge 22 aprile 2005, n. 69, dall’art. 18-bis dl. 13 giugno 2023, n. 69, introdotto dalla legge di conversione 10 agosto 2023, n. 103, la Corte di appello, al fine di verificare lo stabile radicamento nel territorio nazionale della persona richiesta, quale motivo di rifiuto della consegna, è tenuta, a pena di nullità, ad indicare gli specifici indici rivelatori previsti dalla norma cit. ed i relativi criteri di valutazione, sicché i mancato apprezzamento di uno di tali indici rileva come violazione di legge, soggetta al sindacato della Corte di cassazione (Sez. 6, n. 41 del 28/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285601 – 01).
Avendo riguardo a tali parametri legislativi ed ermeneutici, va osservato che la corte di appello non è incorsa in alcun vizio, in quanto ha esaminato tutte le condizioni emerse nel procedimento e, all’esito, ha ritenuto che non vi fossero elementi significativi del radicamento nel territorio italiano, mancando il requisito della residenza o dimora continuativa per un periodo di cinque anni, rilevando per un verso- la frammentarietà dei periodi attestati dalla documentazione versata dal ricorrente, oltre che la loro idoneità dimostrativa; per altro verso, ha osservato come dalla testimonianza raccolta nel processo in Romania il ricorrente fosse risultato dimorante in quello Stato al tempo di commissione dei reati, ossia 2019 e 2020.
Ne consegue che la corte di appello di Roma ha adeguatamente assolto al compito demandatole dalla sentenza rescindente, ossia quello di ovviare al vizio di omessa valutazione della documentazione prodotta dalla difesa, così che le criticità rilevate con la sentenza di annullamento sono state superate con motivazione che non merita censura, risultando una plausibile valutazione degli elementi sottoposti alla sua valutazione.
A fronte di ciò, la sentenza appare incensurabile in questa sede, atteso che non emerge alcuno dei vizi per cui è consentito il sindacato della corte di cassazione, ossia quelli dell’art. 606, comma 1, lett. A), B) e C), cod. proc. pen., per come richiamati dall’art. 22, comma 1, Legge 22 aprile 2005, n. 69.
La sentenza, peraltro, nella parte in cui valorizza la commissione dei reati nello Stato di provenienza al fine di escludere la continuità della residenza o della dimora in Italia.
A tale proposito questa Corte ha già avuto modo di affermare che «in tema di mandato di arresto europeo, la nozione di “residenza”, rilevante ai fini del rifiuto della consegna, presuppone un radicamento reale e non estemporaneo
A c9L”,,j.
della persona nello Stato, desumibile da una serie di indici rivelatori, quali la legalità della presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, e il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. (Fattispecie relativa a ricorso proposto da cittadina extracomunitaria, in cui la Corte, pur avendo in separato procedimento già sollevato questione di legittimità costituzionale con riferimento alla mancata estensione del motivo di rifiuto ai cittadini non appartenenti alla UE, non ha ritenuto rilevante la questione difettando i presupposti della continuativa presenza della ricorrente sul territorio)» (Sez. 6, n. 19389 del 25/06/2020, D., Rv. 279419 – 01).
Il ricorso va, dunque, rigettato, in quanto le doglianze difensive impingono soprattutto la motivazione, senza che siano prefigurate mancanze riconducibili al vizio di violazione di legge e/o di inosservanza di norma processuale denunciabili in questa sede avverso una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 17 Legge 22 aprile 2005, n. 69.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, Legge n. 69/2005.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, Legge n. 69/2005.
Così deciso, 5 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
COGNOMELa Presidente