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Mandato di Arresto Europeo: quando si nega la consegna

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un cittadino rumeno contro la sua consegna alla Romania in base a un Mandato di Arresto Europeo. L’uomo sosteneva di risiedere in Italia da oltre cinque anni, condizione che permette di scontare la pena in Italia. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che prove frammentarie come contributi INPS discontinui e contratti di affitto non registrati non sono sufficienti a dimostrare un radicamento stabile e continuativo. La commissione di reati in Romania durante il presunto periodo di residenza in Italia è stata un fattore decisivo contro la sua tesi.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato di Arresto Europeo e Residenza: La Cassazione Chiarisce i Criteri

Il Mandato di Arresto Europeo (MAE) rappresenta uno strumento fondamentale di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, la sua applicazione può essere rifiutata in specifiche circostanze, come nel caso in cui la persona richiesta abbia un solido legame con il territorio italiano. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4818/2025) ha fornito importanti chiarimenti sui criteri necessari per dimostrare tale legame, sottolineando che non bastano prove frammentarie per evitare la consegna.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Consegna dalla Romania

Il caso riguarda un cittadino di nazionalità rumena, condannato nel suo paese d’origine per due reati di guida senza patente, di cui uno in stato di ebbrezza, commessi nel 2019 e nel 2020. Le autorità rumene avevano emesso un Mandato di Arresto Europeo per l’esecuzione della pena detentiva.

L’interessato si è opposto alla consegna, sostenendo di risiedere in Italia da oltre dieci anni e chiedendo quindi di poter scontare la pena nel nostro Paese. La legge italiana, infatti, prevede la possibilità di rifiutare la consegna se la persona richiesta risiede o dimora in via continuativa sul territorio nazionale da almeno cinque anni.

Il Nodo della Questione sul Mandato di Arresto Europeo e la Residenza

La questione centrale ruotava attorno alla prova del cosiddetto “radicamento” del cittadino straniero in Italia. La difesa aveva presentato diversi documenti a sostegno della sua tesi:

* Una certificazione INPS che attestava contributi lavorativi, seppur discontinui, a partire dal 2011.
* Contratti di affitto.
* Un CUD relativo all’anno 2019.

In un primo momento, la Corte di Cassazione aveva annullato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che quest’ultima non avesse adeguatamente valutato tutta la documentazione prodotta. Il caso è stato quindi rinviato per un nuovo esame.

La Decisione della Cassazione: Quando le Prove Non Bastano

Dopo il nuovo giudizio, la Corte d’Appello ha nuovamente dato il via libera alla consegna, ritenendo le prove fornite non idonee a dimostrare una residenza quinquennale stabile e continuativa. La questione è giunta di nuovo dinanzi alla Suprema Corte, che questa volta ha confermato la decisione, rigettando il ricorso.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello ha agito correttamente, esaminando in modo approfondito tutti gli elementi. Le motivazioni principali si basano sui seguenti punti:

1. Frammentarietà delle Prove: Le certificazioni INPS dimostravano una presenza lavorativa estremamente limitata e discontinua, con periodi di assenza totale di contributi. I contratti di locazione erano parziali o non registrati, e quindi di valore probatorio incerto.

2. Contraddittorietà dei Fatti: Un elemento decisivo è stato il fatto che i reati per cui era stato condannato sono stati commessi in Romania nel 2019 e 2020. Inoltre, durante il processo rumeno, un testimone aveva dichiarato di conoscerlo come suo vicino di casa in Romania. Questi elementi contraddicevano palesemente la tesi di una dimora stabile e ininterrotta in Italia.

3. Nozione di “Residenza” ai Fini del MAE: La Corte ha ribadito che la nozione di “residenza” o “dimora” che giustifica il rifiuto della consegna presuppone un “radicamento reale e non estemporaneo”. Questo significa che la persona deve avere in Italia la sede principale e consolidata dei propri interessi lavorativi, familiari e affettivi, una condizione che non è stata dimostrata nel caso di specie.

Le Conclusioni

La sentenza chiarisce che per bloccare un Mandato di Arresto Europeo sulla base della residenza in Italia, non è sufficiente presentare documenti sporadici. È necessario fornire un quadro probatorio solido, coerente e privo di contraddizioni, capace di dimostrare un legame effettivo e continuativo con il territorio italiano per almeno cinque anni. La commissione di reati nel Paese d’origine durante il periodo di presunta residenza in Italia costituisce una forte prova contraria, difficile da superare. Questa decisione rafforza il principio secondo cui il rifiuto della consegna è un’eccezione che richiede una prova rigorosa del radicamento sociale ed economico della persona richiesta.

Quando può essere rifiutata la consegna di una persona richiesta con Mandato di Arresto Europeo?
La consegna può essere rifiutata, tra le altre ipotesi, quando la persona richiesta è un cittadino italiano o una persona che risiede o dimora legittimamente ed effettivamente in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, a condizione che la Corte disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia.

Quali prove sono necessarie per dimostrare la residenza continuativa in Italia?
La sentenza stabilisce che non sono sufficienti prove frammentarie, come contributi lavorativi discontinui o contratti di locazione non continuativi. È necessario dimostrare un “radicamento reale e non estemporaneo”, ossia un legame stabile, consolidato e continuativo con il territorio, che coinvolga interessi lavorativi, familiari e affettivi.

Commettere un reato nel proprio Paese d’origine può influire sulla valutazione della residenza in Italia?
Sì, in modo significativo. La Corte ha ritenuto che il fatto di aver commesso i reati nello Stato di provenienza (in questo caso, la Romania) durante il periodo in cui si sosteneva di risiedere in Italia contraddice la continuità della residenza e indebolisce la prova del radicamento sul territorio italiano.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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