Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9171 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9171 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a Milano il 12/06/1981
avverso la sentenza del 05/02/2025 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME il quale, dopo la discussione, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/11/2024, la Corte d’appello di Milano disponeva la consegna di NOME all’autorità giudiziaria del Regno del Belgio sulla base di un mandato di arresto europeo che era stato emesso il 04/06/2024 dal Pubblico ministero di Limburg a seguito della sentenza di condanna alla pena di tre anni e un mese di reclusione che era stata pronunciata nei confronti del Leone il 15/10/2018 dal Tribunale di primo grado di Limburg per i reati di truffa continuata e di vendita di prodotti contraffatti commessi, in concorso con altri, in Belgio dal 02/10/2014 al 29/04/2019.
Avverso tale sentenza del 14/11/2024 della Corte d’appello di Milano, il COGNOME proponeva ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69.
Con la sentenza n. 46360 del 12/12/2024, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione, in accoglimento del terzo motivo del ricorso del Leone – con il quale il ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, con riguardo al rigetto della sua richiesta che la pena fosse eseguita in Italia – annullava la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano per un nuovo giudizio.
Con sentenza del 05/02/2025, la Corte d’appello di Milano, nel giudizio di rinvio dopo tale annullamento, in riforma della sentenza del 14/11/2024 della stessa Corte d’appello: a) rifiutava la consegna di Sergio Leone; b) disponeva che egli scontasse in Italia la pena di 37 mesi di reclusione che gli era stata inflitta d Tribunale di primo grado di Limburg con la sentenza del 15/10/2018, della quale veniva a tale fine disposto il riconoscimento.
Avverso tale sentenza del 05/02/2025 della Corte d’appello di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a un unico articolato motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 2, 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005 e degli artt. 11, 24 e 111 Cost.
2.1. In via principale, il ricorrente chiede alla Corte di cassazione di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge n. 69 del 2005, con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., «nella parte in cui non prevede, tra i motiv di rifiuto obbligatorio, che la consegna debba essere rifiutata nel caso in cui il mandato di arresto europeo sia stato emesso per l’esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata in contumacia senza l’assistenza di un difensore, né di fiducia né di ufficio», così consentendosi l’esecuzione di un mandato di arresto europeo che conduce a un risultato in contrasto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale o con i diritti inviolabili della persona.
Il Leone premette che è pacifico che la sentenza del 15/10/2018 del Tribunale di primo grado di Limburg è stata pronunciata all’esito di un procedimento penale che si era svolto in contumacia e senza l’assistenza di alcun difensore, né di fiducia né di ufficio.
Ciò premesso, il ricorrente, dopo avere argomentato la sussistenza del suo interesse a ricorrere, deduce che, in mancanza della previsione dell’invocata causa di rifiuto obbligatorio della consegna, la normativa europea in materia di mandato di arresto europeo (decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI) e le norme della legge italiana che l’hanno recepita nel nostro
ordinamento (legge n. 69 del 2005) consentirebbero l’esecuzione – anche in Italia, ai sensi dell’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005 – di una sentenza che, in quanto pronunciata in contumacia e senza l’assistenza di alcun difensore, violerebbe il diritto di difesa dell’imputato e, quindi, secondo quanto è stato più volte affermato dalla Corte costituzionale, un principio supremo dell’ordinamento costituzionale e un diritto inviolabile della persona.
Da ciò la non manifesta infondatezza, oltre che la rilevanza, della prospettata questione di legittimità costituzionale, e la necessità che di essa venga investita la Corte costituzionale, atteso che solo a tale organo compete, secondo quanto è stato più volte affermato dalla stessa Corte, la verifica della compatibilità del dirit dell’Unione europea o del diritto nazionale attuativo del diritto dell’Unione europea con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale e con i diritti inviolabili del persona.
2.2. In via subordinata, il ricorrente chiede alla Corte di cassazione di sollevare questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea con riguardo alla compatibilità del combinato disposto degli artt. 1, par. 3, 4, n. 6), 4-bis, lett. d), della decisione quadro 2002/584/GAI, con l’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, con l’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con l’art. 6, par. 3, lett. c), CEDU, «nella parte in cui consentono, nel caso di un mandato di arresto europeo emesso per l’esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata in contumacia senza l’assistenza di un difensore, né di fiducia né di ufficio, allo Stato richiesto di eseguire la pena oggetto di tale sentenza nel proprio territorio conformemente al proprio diritto interno, così privando la persona richiesta del diritto di poter riaprire il procedimento contumaciale a proprio carico».
Il Leone rammenta che l’ordinanza della Corte di giustizia 20/09/2024, Anacco, causa C-504/24, ha affermato che l’art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI deve essere interpretato nel senso che «non osta a una normativa nazionale che non consente all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna di un interessato, in forza di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà pronunciata nei confronti di tale interessato nello Stato di emissione, se quest’ultimo non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione, senza essere rappresentato da un avvocato da lui incaricato o nominato d’ufficio, e se le condizioni previste in tale articolo 4 bis, paragrafo 1, lettera d), sono soddisfatte».
Pertanto, sulla base di tale pronuncia della Corte di giustizia, la possibilità di dare esecuzione a un mandato di arresto europeo nonostante esso abbia a oggetto l’esecuzione di una sentenza che è stata resa in contumacia e senza l’assistenza di un difensore è fatta salva unicamente se la persona richiesta avrebbe diritto alla
riapertura del processo a suo carico, ai sensi dell’art. 4, par. 1, lett. d), della decisione quadro 2002/584/GAI.
Ciò posto, il Leone rappresenta che tale pronuncia non considererebbe però il caso in cui la sentenza di condanna resa in contumacia senza l’assistenza di un difensore venga eseguita nello Stato di cittadinanza della persona richiesta, caso relativo a un «procedimento che non consente, per sua stessa natura, la riapertura del processo».
Da ciò la necessità, secondo il ricorrente, di investire nuovamente la Corte di giustizia, affinché chiarisca «se il divieto di rifiutare la consegna nel caso di MAE emesso per l’esecuzione di una sentenza resa in contumacia senza l’assistenza di un difensore debba considerarsi ugualmente legittimo nel diverso caso – pure previsto dalla normativa UE, e in particolare dall’art. 4, n. 6) della Decisione Quadro 2002/584/GAI – in cui una siffatta sentenza oggetto del MAE venga eseguita nello stato di cittadinanza della persona richiesta, e pertanto quest’ultima non disponga del diritto di riaprire il processo a suo carico».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in parte perché propone una censura non consentita (quella che è stata prospettata in via principale) e in parte per carenza di interesse (quanto alla censura che è stata prospettata in via subordinata).
La censura che è stata prospettata in via principale non è consentita a norma dell’art. 628, comma 2, cod. proc. pen., secondo cui la sentenza del giudice del rinvio può essere impugnata «soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla Corte di cassazione».
2.1. Questa norma ha l’evidente funzione di impedire che il decisum della Corte suprema venga rimesso in discussione mediante l’impugnazione della sentenza del giudice del rinvio, atteso che, in caso contrario, si consentirebbe in via mediata la proposizione di un gravame contro la stessa decisione del giudice di legittimità.
La Corte di cassazione ha in proposito avuto modo di affermare la piena compatibilità con la Costituzione della medesima norma, tenuto conto non solo di come sia «necessità ineluttabile, connaturale a qualsiasi ordinamento, che ogni procedimento abbia termine», ma anche di come la stessa Corte costituzionale avesse più volte statuito come il principio della tendenziale irrevocabilità e incensurabilità delle decisioni della Corte di cassazione – oltre a rispondere alla finalità di evitare la perpetuazione dei giudizi e di consentire quell’accertamento definitivo che, realizzando l’interesse fondamentale dell’ordinamento alla certezza delle situazioni giuridiche, costituisce lo scopo stesso dell’attività giurisdizionale
si mostri pienamente conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità affidato alla medesima Corte di cassazione dell’art. 111 Cost. (Sez. 2, n. 41461 del 06/10/2004, COGNOME, Rv. 230578-01).
Pertanto, a norma del comma 2 dell’art. 628 cod. proc. pen., la decisione del giudice del rinvio non può essere impugnata in ordine a punti che siano già stati decisi dalla Corte di cassazione con la pronuncia rescindente.
2.2. Nel caso in esame, il punto relativo all’impossibilità, per la Corte di appello, di rifiutare la consegna nell’ipotesi in cui il mandato di arresto europeo sia stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena che è stata irrogata nei confronti dell’interessato all’esito di un processo celebrato in contumacia e senza l’assistenza di un avvocato, quando lo stesso interessato abbia però diritto a un nuovo processo o a un ricorso in appello cui ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove, e può condurre alla riforma della decisione originaria, è già stato deciso dalla Sesta sezione penale con la sentenza rescindente n. 46360 del 12/12/2024.
Tale punto costituiva in particolare l’oggetto del primo motivo del ricorso per cassazione che era stato proposto dal Leone avverso la sentenza del 14/11/2024 della Corte d’appello di Milano, motivo che è stato ritenuto non fondato dalla Sesta sezione penale, la quale ha affrontato anche la questione della legittimità costituzionale della normativa che non consente di rifiutare l’esecuzione di un mandato di arresto europeo nel caso sopra indicato (punto 1 del Considerato in diritto).
Poiché, pertanto, la censura che è stata proposta dal ricorrente in via principale concerne un punto che è stato già deciso dalla Corte di cassazione con tale sentenza rescindente, ne discende che lo stesso punto, a norma del comma 2 dell’art. 628 cod. proc. pen., non può essere rimesso in discussione, con la conseguenza che la suddetta censura si deve ritenere non consentita.
Quanto alla censura che è stata prospettata in via subordinata si deve ritenere la carenza di interesse.
A tale proposito, si deve rilevare che: a) con il terzo motivo del ricorso per cassazione avverso la sentenza del 14/11/2024 della Corte d’appello di Milano, il Leone aveva denunciato la violazione dell’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, con riguardo al rigetto della sua richiesta che la pena che gli era stata irrogata dal Tribunale di primo grado di Limburg fosse eseguita in Italia; b) con la sentenza n. 46360 del 12/12/2024, la Sesta sezione penale ha giudicato tale motivo fondato, reputando che: b.1) posto che tale sentenza belga era sia definitiva sia esecutiva, «il motivo di rifiuto facoltativo previsto dall’art. 18-bis, comma 2, legge n. 69/2005, può essere legittimamente opposto perché la predetta facoltà di rifiuto presuppone, ex art. 2 d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, la definitività dell
sentenza»; b.2) «ai fini della opponibilità del motivo facoltativo di rifiuto de consegna per l’esecuzione in Italia della pena è sufficiente il formale possesso della cittadinanza» da parte del Leone; b.3) nel caso in esame, non «emerge che al primario interesse correlato al perseguimento della finalità rieducativa della pena, connesso alla richiesta di esecuzione della stessa in Italia, si contrapponga uno specifico interesse punitivo dello Stato sul cui territorio il reato è sta commesso»; b.4) «u questa base, la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Milano per un nuovo giudizio nella linea dei principi di diritto richiamati»; c) nel successivo giudizio di rinvio, la Corte d’appello Milano, con l’impugnata sentenza del 05/02/2025, ponendosi in linea con i suddetti principi di diritto, ha rifiutato la consegna del Leone e ha disposto che la pena che gli era stata irrogata dal Tribunale di primo grado di Limburg fosse eseguita in Italia.
Ciò rilevato, risulta di tutta evidenza come l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano abbia in effetti disposto in senso pienamente conforme alla richiesta che era stata avanzata dal NOME (pag. 5 della sentenza rescindente: «deve preliminarmente rilevarsi che NOME, cittadino italiano, ha chiesto che la pena inflittagli sia eseguita in Italia») e che era stata da lui coltivata con il t motivo del suo primo ricorso, motivo accolto con la sentenza del 14/11/2024 della Sesta sezione penale.
Ne discende che, poiché l’interesse che era stato fatto valere dal Leone ha pertanto trovato soddisfacimento nell’impugnata sentenza del 05/02/2025 della Corte d’appello di Milano, lo stesso Leone non può poi fare valere, in termini contraddittori, l’opposto interesse a vedere respinta la richiesta che era stata da lui stesso formulata.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69/2005. 2
Così deciso il 04/03/2025.