Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10856 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10856 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Cile il 27 agosto 1983 avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 20 febbraio 2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME NOMECOGNOME tramite il difensore di fiducia )impugna la sentenza descritta in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma ne ha disposto la consegna all’Autorità Giudiziaria dello Stato della Repubblica Federale di Germania in forza del mandato di arresto processuale emesso il 7 gennaio 2025 dalla Pretura di Kiel in relazione al reato di furto aggravato ascritto a
consegnando; consegna rinviata al momento di avvenuta cessazione della carcerazione che attualmente riguarda il consegnando per i titoli di pertinenza della giustizia italiana.
Si lamenta, con il ricorso, violazione di legge in relazione all’art. 2 del legge n. 69 del 2005 nonché degli artt. 2 e 3 CEDU e vizio di motivazione in relazione alla omessa richiesta di informazioni circa il rischio che, dando esecuzione al mandato, il consegnando p sykessere sottoposto a trattamenti detentivi disumani. La Corte di appello, in particolare, a fronte di una richiesta del tutto generica, avrebbe trascurato di acquisire, dallo Stato richiedente, le necessarie informazioni in ordine alle condizioni degli istituti penitenziari nonché al regime detentivo riservato al ricorrente una volta disposta la consegna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Giova ribadire che con le modifiche apportate alla legge n. 69 del 2005 dall’art. 18, comma 1, lett. a), d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, la possibilità ricorrere in Cassazione avverso il provvedimento che decide sulla consegna è stata limitata ai soli casi di difetto di giurisdizione e di violazione di legge, di cui al 606, comma 1, lett. a), b), e c), cod. proc. pen., escludendo la possibilità di dedurre il vizio di motivazione; al contempo, è stata eliminata la possibilità di impugnare “anche per il merito” la decisione della Corte di appello sulla consegna dell’interessato, il che preclude al ricorrente di domandare al Supremo Collegio di sostituirsi nel compimento di quelle verifiche che restano riservate alla Corte distrettuale (così, tra le molte, da ultimo, sez. Sez. 6, n. 29008 del 20/07/2022, n.rn., Sez. 6, n. 26318 del 08/07/2021, n.m.; Sez. 6, n. 18126 del 06/05/2021, Scutari, Rv. 281305).
Va parimenti ribadito che ;sempre per effetto delle modifiche introdotte dal citato d.lgs. n. 10/21, il pericolo di trattamenti inumani o degradanti, prima previsto dall’art. 18, lett. h), legge n. 69 del 2005, oggi non risulta contemplato tra i motivi di rifiuto obbligatorio della consegna.
Ciò malgrado, questa Corte ha condivisibilmente affermato che tale motivo di rifiuto trova oggi un referente normativo nella clausola generale contenuta nel novellato art. 2 legge n. 69 del 2005, in base al quale «L’esecuzione del mandato di arresto europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della person
riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea o dei dir fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dai Protocolli addizionali alla stessa».
Per tale ragione, si è affermato che sussiste una continuità normativa tra l’abrogato art.18, lett. h), legge n. 69 del 2005 ed il novellato art.2 della medesima legge (Sez. 6, n. 14220 del 14/04/2021, Zlotea, Rv. 280878).
In siffatta cornice di riferimento, questa Corte ha avuto modo di affermare che è onere del ricorrente che voglia ottenere un provvedimento di rifiuto della consegna, ex art. 18, comma primo, lett. h), L. n. 69 del 2005, allegare fonti attendibili, specifiche ed aggiornate su cui poter fondare la ragionevole affermazione dell’esistenza di un concreto pericolo di trattamento inumano e
degradante determinato dalle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente (cfr., da ultimo, Sezione 6, n. 41075 del 10/11/2021 Rv. 282120; Sez. 6, n. 18352 del 11/06/2020, M., Rv. 279301). L’acquisizione, da parte dell’autorità giudiziaria di esecuzione, di informazioni “individualizzate” sul regime di detenzione non può infatti assumere carattere esplorativo, rendendosi di converso necessaria solo nell’ipotesi in cui siano stati acquisiti elementi che permettano di dubitare che negli istituti penitenziari dello Stato emittente vi sia effettivamente una situazione tale da rendere concreto il rischio che le condizioni di detenzione siano contrarie all’art. 3 CEDU ovvero all’art. 4 CDFUE ( Sez. 6, n. 23253 del 13 giugno 2022, n.m. Sez. 6, n. 9391 del 28/02/2018,Rv. 272341). Onere questo cui il consegnando può provvedere anche per il tramite delle allegazioni dirette a sostenere l’apposito motivo di ricorso prospettato in sede di legittimità (Sez. 6, Sentenza n. 18126 del 06/05/2021, Rv. 281305).
Nel caso, va invece rimarcato come la difesa, del tutto inadeguatamente, i si sia limitata Adedurre tet mancata verifica d’ufficio operata dalla Corte del merito, che avrebbe trascurato di acquisire, ex art 16 della legge n. 69 del 2005, le necessarie informazioni integrative sul tema, senza che la stessa Corte territoriale sia mai stata sollecitata sul punto; di più, anche in questa sede ha integralmente omesso di dedurre e quindi allegare qualsivoglia elemento destinato a supportare una ragionevole affermazione dell’esistenza di un concreto pericolo di trattamento inumano e degradante del consegnando in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente, tale da poter rendere dubbia la situazione strutturale delle carceri tedesche e rendere legittima l’integrazione istruttoria sollecitata con il ricorso.
Alla inammissibilità del ricorso seguono le pronunce di cui all’art. 616, comma 1, cod. proc. pen. definite nei termini di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.
Così deciso il 17/3/2025.