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Mandato di arresto europeo: onere della prova

Un soggetto richiesto in consegna dalla Germania tramite mandato di arresto europeo si opponeva, lamentando il rischio di trattamenti inumani nelle carceri tedesche. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che, in tema di mandato di arresto europeo, spetta al ricorrente l’onere di fornire prove concrete e specifiche sul rischio sistemico delle condizioni detentive. Una generica doglianza non è sufficiente a obbligare il giudice a richiedere informazioni allo Stato emittente.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato di Arresto Europeo: Chi Deve Provare il Rischio di Trattamenti Inumani?

Il mandato di arresto europeo (MAE) è uno strumento fondamentale di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea, ma la sua esecuzione può essere negata se viola i diritti fondamentali della persona richiesta. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: a chi spetta l’onere di dimostrare il rischio concreto di trattamenti inumani o degradanti nelle carceri dello Stato richiedente? Analizziamo la decisione per capire le implicazioni pratiche per la difesa.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Consegna

Il caso ha origine dalla decisione della Corte di Appello di Roma di disporre la consegna di un cittadino cileno alle autorità giudiziarie della Germania. La richiesta si basava su un mandato di arresto europeo emesso dalla Pretura di Kiel per il reato di furto aggravato. La difesa dell’uomo ha impugnato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, sollevando una questione di primaria importanza legata alla tutela dei diritti umani.

Il Ricorso e la Questione sul Mandato di Arresto Europeo

Il ricorrente lamentava che la Corte di Appello non avesse richiesto informazioni specifiche alla Germania riguardo le condizioni detentive a cui sarebbe stato sottoposto. Secondo la difesa, questa omissione avrebbe violato sia la legge italiana sul MAE sia gli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che proteggono il diritto alla vita e proibiscono la tortura e i trattamenti inumani. In sostanza, si contestava al giudice di non aver verificato d’ufficio il rischio che il proprio assistito subisse un trattamento detentivo contrario ai diritti fondamentali una volta consegnato.

Le Motivazioni della Cassazione: L’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una spiegazione dettagliata e rigorosa dei principi che regolano la materia.

La Nuova Disciplina e i Limiti del Ricorso

In primo luogo, la Corte ha ricordato che, a seguito delle modifiche legislative introdotte nel 2021 (D.Lgs. n. 10/2021), i ricorsi in Cassazione contro le decisioni sul MAE sono limitati a specifici vizi di legge. Non è più possibile contestare la decisione nel merito o per vizi di motivazione. Questo restringe notevolmente il campo d’azione della difesa in sede di legittimità.

Dal Rifiuto Obbligatorio alla Clausola Generale

La sentenza chiarisce un altro punto fondamentale. Sebbene la vecchia norma che prevedeva il rifiuto obbligatorio della consegna in caso di pericolo di trattamenti inumani (art. 18, lett. h, L. 69/2005) sia stata abrogata, il principio di tutela non è scomparso. Esso è ora ricompreso nella clausola generale del nuovo art. 2 della stessa legge. Questa norma vieta l’esecuzione del MAE se comporta una violazione dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale o dei diritti inalienabili della persona. Vi è, quindi, una continuità normativa nella tutela.

L’Onere del Ricorrente di Fornire Prove Concrete

Il cuore della decisione risiede però nell’attribuzione dell’onere della prova. La Cassazione afferma che il giudice italiano non è tenuto a svolgere indagini esplorative sulle condizioni carcerarie di un altro Stato membro. La richiesta di informazioni aggiuntive è una facoltà, non un obbligo. Questo potere discrezionale diventa un dovere solo in una circostanza precisa: quando la difesa fornisce elementi “oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati” che attestino l’esistenza di “carenze sistemiche o generalizzate” nelle condizioni di detenzione dello Stato emittente. Tali prove devono provenire da fonti qualificate, come sentenze della Corte EDU, decisioni di organi del Consiglio d’Europa o delle Nazioni Unite.
Nel caso di specie, la difesa si era limitata a una lamentela generica, senza allegare alcun documento o fonte a supporto della tesi di un rischio concreto nelle carceri tedesche. Questo, secondo la Corte, rende la richiesta di approfondimento istruttorio inammissibile.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un principio fondamentale per chi si occupa di mandato di arresto europeo: la difesa non può limitarsi a evocare un generico rischio di violazione dei diritti umani. Per ottenere il rifiuto della consegna o anche solo per attivare il dovere del giudice di chiedere informazioni, è necessario un lavoro preparatorio rigoroso. L’avvocato ha l’onere di ricercare e produrre in giudizio prove concrete, specifiche e aggiornate che dimostrino l’esistenza di un reale pericolo di trattamento inumano o degradante. In assenza di tale supporto probatorio, il ricorso basato su questa motivazione è destinato all’inammissibilità.

È possibile rifiutare la consegna in base a un mandato di arresto europeo per il rischio di trattamenti inumani?
Sì, la consegna può essere rifiutata se la sua esecuzione comporta una violazione dei principi supremi dell’ordine costituzionale o dei diritti inalienabili della persona, come il divieto di trattamenti inumani e degradanti. Tuttavia, il rischio deve essere concreto e provato.

A chi spetta dimostrare che le condizioni detentive dello Stato richiedente sono inumane?
Secondo la sentenza, l’onere della prova spetta alla persona di cui si chiede la consegna. Non è sufficiente una lamentela generica; la difesa deve fornire elementi oggettivi, attendibili, precisi e aggiornati (come sentenze internazionali o rapporti ufficiali) che dimostrino l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione.

Il giudice italiano è obbligato a chiedere informazioni sulle carceri di un altro Stato UE se viene sollevato questo dubbio?
No, non è un obbligo. La richiesta di informazioni è una facoltà discrezionale del giudice. Diventa una necessità solo se la persona interessata ha già fornito prove serie e concrete che indicano l’esistenza di un rischio sistemico di trattamenti inumani nello Stato richiedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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