Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8229 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8229 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato in Romania il 17/1/1986
avverso la sentenza del 21/1/2025 della Corte di appello di Venezia
Visti gli atti, la pronuncia impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ch concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglime del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia disposto la consegna di NOME COGNOME in esecuzione del mandato di arres europeo, emesso dall’autorità giudiziaria della Romania il 29 marzo 2023 per
reato di riciclaggio in forma continuata, previsto dall’art. 49 par. 1 lett. a) L. 129/2019.
Avverso l’anzidetta sentenza il difensore di fiducia di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato la violazione dell’art. 18-bis L. n. 69/2005 in relazione ai criteri utilizzati dalla Corte di appello di Venezia per la verifica dell’effettiva dimora del ricorrente nel territorio nazionale negli ultimi anni e del suo effettivo reinserimento nel tessuto sociale italiano. Il Collegio territoriale, anziché congruamente motivare, si sarebbe limitato ad affermare che «il certificato di residenza, rilasciato dal Comune di San Donà di Piave, e le dichiarazioni dell’amico e del cognato del ricorrente non appaiono sufficienti a comprovare la sussistenza in capo al prevenuto di un radicamento fondato sull’esistenza di legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di al natura (come richiesto dall’art. 18-bis, comma 2-bis) anche in assenza di documentazione comprovante un impiego lavorativo del Chis a partire dal 2019». In tal modo, la Corte di appello avrebbe trascurato le dichiarazioni, circostanziate e puntuali, rese dal cognato del ricorrente, secondo cui quest’ultimo viveva in Italia dal 2019.
2.2. Violazione dell’art. 18 L. n. 69/2005, per non avere la Corte di appello accertato concretamente in relazione alla persona richiesta in consegna l’esistenza di un rischio collegato al divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti, contenuto nell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nell’art. 3 CEDU.
2.3. Violazione dell’art. 16 L. n. 69/2005 in relazione alla mancata assunzione di prove decisive ai fini della sussistenza del requisito della stabile dimora o permanenza nel territorio nazionale. Il ricorrente avrebbe avuto difficoltà nel reperire tutti i documenti e le dichiarazioni necessarie a corroborare maggiormente la sua difesa. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano (ove inizialmente era stato avviato il procedimento) aveva chiesto in via principale il difetto di competenza della Corte meneghina e, in subordine, il riconoscimento della sentenza di condanna per la sua esecuzione in Italia. Ciò avrebbe indotto il ricorrente ad avere il ragionevole convincimento di aver prodotto tutta la documentazione utile, perché, risolta la questione formale sulla competenza territoriale, si potesse addivenire ad un esito favorevole della questione, così che il medesimo non avrebbe pensato a depositare quanti più documenti possibili, quali quelli indicati nel ricorso. La Corte territoriale, però, ex art. 16 cit. avrebbe potuto richiedere informazioni aggiuntive, ritenute necessarie ai fini del decidere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. A seguito delle modifiche apportate dall’art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, all’art. 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69, non è ammissibile il ricorso per cassazione per vizi di motivazione avverso i provvedimenti che decidono sulla consegna dell’interessato, essendo stato espunto dalla norma il riferimento alla proponibilità del ricorso «anche nel merito» e, al contempo, essendosi circoscritto il potere di sindacato della corte di cassazione ai soli motivi previsti dall’art. 606, lett. a), b) e c).
Riguardo ai procedimenti in tema di mandato di arresto europeo, quindi, questa Corte non è più giudice del merito e il ricorso non può essere proposto per vizi attinenti alla contraddittorietà o illogicità della motivazione (Sez. 6 n. 8299 dell’8/03/2022, PG c/Gheorghe, Rv. 282911 – 01).
In particolare, è stato più volte affermato il principio secondo cui, in tema di mandato di arresto europeo, sono inammissibili le censure che involgono l’accertamento del radicamento del soggetto nel territorio dello Stato, le quali, pur dedotte quale vizio di violazione di legge, attengono in realtà alla motivazione della decisione, atteso che l’art. 22 della legge 22 aprile 2005 n. 69, come modificato dall’art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, non ammette avverso la sentenza resa dalla Corte di appello sulla richiesta di consegna il ricorso per cassazione per vizi di motivazione (Sez. 6, n. 41074 del 10/11/2021, Huzu, Rv. 282260; Sez. 6 n. 8299 del 08/03/2022, PG in proc. Rafa, Rv. 282911).
Nel caso in esame, il primo motivo di ricorso, pur rubricato come erronea applicazione di legge, si risolve essenzialmente nella deduzione di presunti vizi motivazionali della sentenza impugnata. Il ricorrente, infatti, ha censurato aspetti attinenti essenzialmente al merito della valutazione della Corte di appello in ordine al suo radicamento in Italia, ma non spetta a questa Corte verificare la tenuta logica di questa valutazione, né tantomeno riesaminare la documentazione in atti per stabilire se il controllo effettuato in sede di merito possa condurre a differenti esiti.
4. Il secondo motivo non è consentito.
Questa GLYPH Corte GLYPH ha GLYPH già GLYPH affermato GLYPH che, GLYPH in GLYPH tema di mandato di arresto europeo esecutivo, il rischio di sottoposizione del consegnando a trattamenti detentivi inumani o degradanti è deducibile per la
prima volta con il ricorso per cassazione solo nel caso in cui le gravi situazioni sistemiche delle condizioni carcerarie di un determinato Stato membro costituiscano fatto notorio o siano state oggetto di recenti pronunce in sede di legittimità (così, da ultimo: Sez. 6, n. n. 10119 del 07/03/2024, COGNOME NOMECOGNOME Rv. 286166 – 01).
Nel caso in esame, dinanzi alla Corte di appello il ricorrente non ha dedotto alcunché in ordine al rischio di trattamenti inumani o degradanti; né con il presente ricorso ha prospettato il fatto notorio o indicato recenti pronunce di legittimità, che, come richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata, avrebbero consentito di dedurre per la prima volta il menzionato rischio.
5. Anche il terzo motivo non è consentito.
Premesso che, al fine di ritenere sussistente il radicamento in Italia, occorre una situazione fattuale caratterizzata da stabili riferimenti familiari, abitativi lavorativi, va ribadito che è onere del cittadino comunitario, che chiede di scontare in Italia la sanzione applicatagli all’estero, allegare specifici elementi fattuali indici della sua effettiva residenza o stabile dimora, nel significato prima rilevato. Nei soli casi in cui residuino dubbi in ordine alla situazione personale di residente la Corte d’appello ha la facoltà di richiedere alle parti interessate, o eventualmente acquisire d’ufficio, produzioni documentali necessarie alla valutazione (Sez. F, n. 30039 del 27/07/2010, Alecsa, Rv. 247810 – 01 in motivazione).
La valutazione relativa all’idoneità o meno degli elementi fattuali acquisiti costituisce specifico apprezzamento di stretto merito, che trova fisiologica sede innanzitutto davanti alla Corte d’appello, dotata tra l’altro di ogni potere di integrazione probatoria, il cui esercizio si renda eventualmente necessario.
Nel caso in esame, il ricorrente ha omesso di sollecitare la Corte territoriale affinché svolgesse specifiche attività istruttorie ovvero acquisisse documentazione integrativa e, d’altro canto, l’anzidetta Corte – con valutazione insindacabile in questa sede – ha ritenuto sufficienti gli elementi acquisiti.
In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
La Cancelleria è onerata di effettuare gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, L. n. 69/2005.
Dichiara inammissibile il ricorso e condannallíf ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.
Così deciso il 26 febbraio 2025
Il Consigliere estensore