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Mandato di arresto europeo e vita familiare: la guida

Un cittadino straniero, colpito da mandato di arresto europeo emesso dalla Germania, ricorre in Cassazione lamentando la violazione del suo diritto alla vita familiare in Italia. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando la consegna per il processo ma stabilendo che l’eventuale pena sia scontata in Italia. La decisione applica le nuove tutele per gli stranieri radicati nel territorio, bilanciando cooperazione giudiziaria e diritti fondamentali.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato di Arresto Europeo: Vita Familiare e Radicamento in Italia

La cooperazione giudiziaria tra Stati membri dell’Unione Europea è un pilastro fondamentale dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Lo strumento principale di questa collaborazione è il mandato di arresto europeo (M.A.E.), che consente una procedura rapida per la consegna di persone ricercate. Tuttavia, la sua applicazione deve sempre bilanciarsi con la tutela dei diritti fondamentali, come quello al rispetto della vita privata e familiare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce proprio su questo delicato equilibrio, specialmente quando la persona richiesta è un cittadino di un paese terzo stabilmente radicato in Italia.

Il Caso: Consegna alla Germania e Tutela dei Legami Familiari

Un cittadino albanese, residente in Italia da oltre cinque anni, con una compagna convivente e un lavoro stabile, veniva raggiunto da un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria tedesca per un reato di tentate lesioni personali. La Corte di Appello di Perugia disponeva la sua consegna alla Germania per la celebrazione del processo.

Tuttavia, riconoscendo il forte radicamento dell’uomo in Italia, la stessa Corte stabiliva una condizione cruciale: al termine del procedimento penale, l’uomo avrebbe dovuto essere rinviato in Italia per scontare l’eventuale pena detentiva. Nonostante questa cautela, l’interessato presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che la sola consegna avrebbe violato il suo diritto alla vita familiare, garantito sia dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 8) sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 7).

L’Evoluzione Normativa sul Mandato di Arresto Europeo

Il cuore della questione risiede nelle recenti modifiche legislative introdotte in Italia con la legge 103/2023. Questa normativa ha recepito importanti principi enunciati sia dalla Corte Costituzionale italiana che dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La novità più significativa è l’estensione ai cittadini di Stati terzi delle tutele originariamente previste per i cittadini italiani e comunitari.

In particolare, la legge ora prevede che, in presenza di un M.A.E. processuale (cioè emesso per un processo e non per eseguire una pena già definitiva), la consegna di un cittadino di uno Stato terzo – che sia dimorante e radicato in Italia da almeno cinque anni – possa essere subordinata alla condizione che venga poi rinviato in Italia per l’esecuzione della pena. Questa modifica mira a non sradicare completamente una persona dal suo contesto sociale e familiare, bilanciando le esigenze di giustizia dello Stato richiedente con i diritti dell’individuo.

La Decisione della Cassazione: Un Equilibrio tra Cooperazione e Diritti

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo aspecifico e manifestamente infondato. La decisione si basa su un’argomentazione chiara e lineare, che merita di essere analizzata nel dettaglio.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno osservato che la Corte di Appello aveva già correttamente applicato la nuova disciplina. Prendendo atto del radicamento ultraquinquennale del ricorrente in Italia, aveva disposto la consegna per il processo, ma al contempo aveva attivato il meccanismo di salvaguardia, prevedendo il suo ritorno per l’esecuzione della pena. In questo modo, il diritto alla vita familiare del ricorrente non è stato violato, ma tutelato nel modo più efficace consentito dalla legge.

La Corte di Cassazione ha sottolineato che il ricorso si limitava a lamentare una generica lesione dei diritti fondamentali, senza confrontarsi con la specifica soluzione adottata dalla Corte di Appello, che di fatto neutralizzava il rischio di uno sradicamento permanente. Pertanto, non sussisteva alcuna violazione dei principi costituzionali o europei.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza: il radicamento sociale e familiare in Italia costituisce un elemento che il giudice deve considerare attentamente nella procedura di un mandato di arresto europeo. Anche un cittadino di uno Stato terzo, se ha costruito in Italia il centro dei propri affetti e interessi per un periodo significativo (almeno cinque anni), gode di una tutela rafforzata. Sebbene non possa sottrarsi al processo nello Stato che lo richiede, ha il diritto di scontare l’eventuale pena nel Paese in cui è integrato, preservando così i legami costruiti e favorendo il percorso rieducativo previsto dalla Costituzione.

Un cittadino non-UE può opporsi alla consegna basata su un mandato di arresto europeo invocando il suo diritto alla vita familiare in Italia?
Sì, può farlo. Tuttavia, la tutela non comporta un rifiuto automatico della consegna. Se la persona è radicata in Italia da almeno cinque anni, la Corte può disporre la consegna per il processo, ma stabilire la condizione che l’eventuale pena sia scontata in Italia, salvaguardando così i legami familiari.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che la Corte non esamina il merito della questione perché il ricorso è privo dei requisiti di legge. In questo caso, è stato ritenuto aspecifico e manifestamente infondato, poiché le lamentele del ricorrente erano già state risolte dalla decisione della Corte di Appello, che aveva correttamente applicato le norme a tutela della vita familiare.

Qual è il principale effetto della nuova normativa (legge 103/2023) sui cittadini di Stati terzi?
L’effetto principale è estendere anche a loro le tutele prima previste per i cittadini italiani o UE. In particolare, permette di condizionare la consegna per un processo (mandato processuale) al rientro in Italia per scontare la pena, a condizione che dimostrino un radicamento effettivo e continuativo nel territorio italiano da almeno cinque anni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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