Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 42592 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 42592 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME ‘,nata in Mali il 26/01/1974
avverso la sentenza del 26/09/2024 della Corte d’appello di Roma letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del pubblico ministero in persona del Sostituto Procura generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore Avv. NOME COGNOME che ha chiest
l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 difensore di COGNOME R. T. COGNOME ricorre per l’annullamento della sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma ha disposto la conse all’Autorità giudiziaria del Regno del Belgio della ricorrente, destinata mandato di arresto europeo, emesso il 29 aprile 2024 dalla Procura del Re Bruxelles, per l’esecuzione della sentenza di condanna alla pena di due ann reclusione emessa il 18 ottobre 2023 dal Tribunale penale di primo gra
francofono di Bruxelles per violazione degli artt. 100 ter, 432, commi 1 e 2, 2 e 3 del codice penale belga, corrispondenti al reato di cui all’art. 574 bis cod. pen. perché in qualità di madre della minore NOME COGNOME NOME COGNOME l, nata a omissis COGNOME Lin violazione delle sentenze del 26 giugno e del 24 settembre 2019 del Tribunale della famiglia di Bruxelles, che affidavano la minore al padre NOME non la consegnava al padre, con l’aggravante di aver trattenuto la minore fuori dal territorio belga per più di cinque giorni- fat commessi in Bruxelles e altrove tra il 18 luglio 2019 e il 29 marzo 2022.
1.1. Il difensore premette che: la ricorrente, giunta in Italia per esibirsi un concerto, essendo una cantante discretamente famosa, fu tratta in arresto il 20 giugno 2024 presso l’aeroporto di Fíumícíno; il 22 giugno 2024 nel corso dell’udienza di convalida negò il consenso alla consegna stante la falsità dell’accusa; convalidato l’arresto, all’udienza del 2 luglio 2024 la ricorrente contestò con memoria la ricostruzione dei fatti descritta nel mandato di arresto, precisando che la minore viveva in Mali dal 2015, ove aveva frequentato la scuola elementare; con ordinanza del 3 dicembre 2019 la Corte di appello di Bamako aveva disposto l’affidamento esclusivo della minore alla madre con diritto di vista per il padre; la coppia non aveva mai avuto un domicilio familiare a Bruxelles e prima della separazione, avvenuta nel 2018, la ricorrente si era recata con la minore e il primo figlio a Marsiglia, ove si trovava il compagno durante le vacanze; secondo la Convenzione dell’Aja del 1996, ratificata con legge n. 101 del 2015, la competenza a decidere sull’affidamento della minore è della Repubblica del Mali sicché la ricorrente non ha commesso alcun reato.
Evidenzia che la sentenza di condanna è stata emessa in absentia all’esito di un processo al quale l’imputata non ha partecipato per non essere stata citata personalmente né informata della data e del luogo in cui si sarebbe svolto il processo, nel corso del quale non è stata assistita da un difensore; segnala, infatti, che ai sensi degli artt. 186-187 del codice di rito belga il processo svolge senza che all’imputato sia garantita l’assistenza tecnica con possibilità per il soggetto condannato in assenza di proporre opposizione, ma in tal modo risulta violato l’art. 2 legge n. 69/2005 in riferimento all’art. 6 del Trattato dell’Unio europea o i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, come ha già riconosciuto la Corte di cassazione nell’ordinanza del 19 dicembre 2023, che ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea in relazione ad un mandato di arresto emesso dalla Repubblica francese proprio con riferimento ad un processo celebrato in assenza dell’imputato e in assenza di un difensore di fiducia o nominato dal giudice procedente.
Su sollecitazione della difesa, la Corte di appello aveva chiesto informazioni all’AG belga in ordine al contraddittorio ed al tipo di garanzie del diritto di difes assicurato all’interessata, apprendendo che non vi era prova che l’imputata avesse ricevuto la citazione per il giudizio conclusosi con la sentenza di condanna. Disposta in data 18 luglio 2024 la sospensione del procedimento e dei termini di custodia cautelare con contestuale emissione di ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea sulla questione del diritto di difesa dell’assente, cui non sia garantita la difesa tecnica nel processo conclusosi con la sentenza di condanna da eseguire, con ordinanza del 20 settembre 2024 la CGUE ha dichiarato che “l’art. 4 bis della decisione quadro 2002/504/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, letto alla luce dell’art. 6 TUE nonché dell’art. 47, dell’art. 48, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che non consente all’AG dell’esecuzione di rifiutare la consegna di un interessato, in forza di un mandato di arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena pronunciata nello Stato di emissione, se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione senza essere rappresentato da un avvocato da lui incaricato o nominato d’ufficio, e se le condizioni di cui all’art 4 bis, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584, sono soddisfatte”. E ciò in ragione della prevalenza del principio di riconoscimento reciproco tra Stati, che si fonda sulla fiducia reciproca, rispetto alle normative nazionali che prevedono che l’imputato sia rappresentato in ogni stato e grado del procedimento da un avvocato a tutela dei diritti della difesa: diritto assicurato con l’opposizione alla condanna da esercitare dopo la consegna, che costituisce la regola, mentre il rifiuto costituisce l’eccezione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritenuta la decisione in contrasto con la nostra Costituzione, all’udienza del 26 settembre 2024 la difesa della ricorrente aveva proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 ter, comma 1 I. n. 69/2005 nella parte in cui non prevede che il giudice italiano può rifiutare la consegna dell’arrestato in esecuzione di un mandato di arresto europeo quando il processo nello Stato richiedente si è svolto in assenza dell’imputato e senza la presenza di un difensore che assicuri la difesa tecnica per contrasto con gli artt. 24 e 3 Cost. nonché con l’art. 6, paragrafo 3, lett. c) Cedu, ma la Corte di appello la ha ritenuta non rilevante e manifestamente infondata alla luce della decisione della Corte di giustizia, che ha chiarito che la possibilità di un nuovo giudizio assicurato dal diritto dello Stato richiedente risolve ogni questione sul diritto d difesa e ha disposto la consegna dell’imputata.
1.2. Con un unico, articolato motivo la difesa denuncia la violazione degli artt. 6, paragrafo 3, lett. c) Cedu, 24 e 3 Cost. e 2 legge n. 69 del 2005 per avere la Corte di appello di Roma recepito supinamente la decisione della Corte di giustizia dell’UE e non rispettato il principio dei “controlimiti”, affermato dal Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 24 del 2017 nella quale si riconosce il primato del diritto dell’Unione, ma si precisa che l’osservanza dei principi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della person condizione per l’applicazione del diritto dell’Unione in Italia, sicché laddove se ne riscontrasse l’inosservanza dovrebbe dichiararsi illegittima la norma nazionale che ha autorizzato la ratifica e reso esecutivi i trattati limitatamente alla parte cui la consente.
Nel caso di specie il mandato di arresto di cui è destinataria la ricorrente si fonda su una sentenza di condanna emessa all’esito di un processo svolto in assenza dell’imputata e senza la presenza del suo difensore: ne discende che l’interpretazione degli artt. 18, 18-bis e 18-ter 1.69/2005 come interpretati dalla Corte di appello violano le norme costituzionali e la Carta di Nizza.
In particolare, è violato l’art. 24 della Costituzione, che considera il dirit di difesa un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Tale diritt al contraddittorio e all’assistenza tecnica deve essere assicurato in ogni specie di giudizio e garantito dalla legge in modo effettivo e adeguato alle circostanze; si tratta di un diritto irrinunciabile, sicché l’obbligatoria nomina di un difensor d’ufficio, in mancanza di nomina fiduciaria, è diretta ad assicurare effettività ad un diritto fondamentale dell’individuo nel corso del procedimento e se ciò non vuol dire che il contraddittorio e la presenza del difensore debbano essere garantiti in ogni momento e per ogni atto processuale, sono certamente essenziali nella fase processuale in senso proprio, non essendo altrimenti garantito un equo processo.
In più occasioni la Corte EDU ha affermato la fondamentale importanza per l’equità del sistema di giustizia penale che l’imputato sia adeguatamente difeso in tutti i gradi del processo di merito, precisando che la mancata comparizione in giudizio dell’imputato non giustifica la privazione del diritto all’assistenza di u difensore, ai sensi dell’art. 6, par. 3, lett. c) CEDU.
Anche l’art. 2 legge n. 69/2005, come modificata dalla legge n. 10 del 2021, prevede che l’esecuzione del mandato di arresto europeo non può mai comportare la violazione dei principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato e dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei dir fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 del trattat sull’Unione europea o dei diritti garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sicché per il nostro ordinamento sarebbe viziata in modo assoluto e insanabile la sentenza emessa all’esito di un
processo in cui l’imputato non avesse avuto conoscenza effettiva dell’accusa a suo carico e della data dell’udienza o se un difensore non avesse partecipato alle udienze.
Diversamente, in tali casi, la legge per l’esecuzione del mandato di arresto europeo non prevede che possa essere rifiutata la consegna, limitandosi a prevedere che lo Stato richiedente indichi le modalità attraverso le quali l’imputato ha avuto conoscenza del processo o, nei casi in cui non l’abbia avuta, la possibilità di presentare opposizione o appello contro la sentenza pronunciata in absentia.
Risulta, quindi, evidente che la legge italiana di attuazione della Decisione quadro sul mandato di arresto europeo viola anche l’art. 3 Cost. in ragione del trattamento sfavorevole riservato a chi viene giudicato in Belgio rispetto a chi viene giudicato in Italia, ove un processo senza assistenza difensiva non potrebbe svolgersi; comporta una regressione dei diritti riconosciuti dall’ordinamento italiano agli imputati nel processo penale, che non potrebbero mai essere giudicati e condannati senza conoscere l’accusa e senza la presenza di un difensore, neppure nel caso in cui sia possibile una successiva opposizione o appello.
Per le ragioni esposte la difesa della ricorrente chiede in via principale l’annullamento della sentenza impugnata con conseguente rifiuto della consegna e revoca della misura cautelare applicata; in via subordinata, chiede di sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 18-bis e 18-terl. n. 69 2005, mancando la precisazione che l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi sanciti dall’art. 24 e 3 Cost. e 6 del trattato sull’Unio europea comprende anche il diritto di difesa dell’imputato in ogni stato e grado del procedimento.
Sostiene che per il principio della doppia pregiudizialità il giudice italian deve rinviare alla Corte Costituzionale la questione interpretata dalla CGUE in senso sfavorevole all’arrestato, ritenendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza, affinché sia dichiarata l’incostituzionalità degli artt. 18, 18-bis e 1.69/2005 nella parte in cui non prevedono che il giudice italiano possa rifiutare la consegna dell’arrestato in Italia in forza di un m.a.e. quando il processo nello Stato richiedente si sia svolto in assenza e senza la presenza di un difensore che assicuri la difesa tecnica dell’imputato con le norme costituzionali e sovranazionali indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
1.1. Il tema centrale posto dal ricorso riguarda la compatibilità della normativa interna che dà esecuzione alla Decisione quadro 2002/584/GAI del
Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, con le norme costituzionali, sovranazionali e convenzionali, che riconoscono e tutelano il diritto di partecipazione dell’imputato al processo e il diritto di difesa, atteso che nel caso in esame la consegna della ricorrente è stata disposta in forza di un mandato di arresto, che accede ad una sentenza di condanna emessa all’esito di un giudizio svoltosi senza la partecipazione dell’imputata e senza la presenza di un difensore, nominato fiduciariamente o d’ufficio, dunque, non solo all’esito di un processo in absentia, ma senza assistenza difensiva, che per il diritto interno renderebbe nullo il giudizio, trattandosi di diritto inviolabile e irrinunciab secondo l’art. 24 della Costituzione.
Si tratta in realtà di due profili distinti, ma collegati, in quanto il diri partecipazione al processo, funzionale all’esercizio dell’autodifesa, è distinto dal diritto alla difesa tecnica.
2. Quanto al primo profilo, deve essere preliminarmente rilevato che dal mandato di arresto in atti risulta che l’imputata non è comparsa personalmente al processo terminato con la decisione, ma dalla sentenza del Tribunale di prima istanza francofono di Bruxelles in atti risulta che “l’imputata non si presenta, sebbene la citazione sia stata regolarmente notificata” (pag. 3, allegato 4 al ricorso). Dalle informazioni trasmesse con nota dell’8 luglio 2024 dal Ministero della Giustizia belga alla Corte di appello che aveva richiesto informazioni sui diritti previsti dal codice di procedura penale belga per gli imputati giudicati i assenza risulta, invece, che: a) la ricorrente era stata citata all’udienza del 4 ottobre 2023 davanti al Tribunale di Bruxelles mediante lettera raccomandata inviata al suo indirizzo in Mali, pur non essendovi prova della sua ricezione; b) la sentenza era stata emessa il 18 ottobre successivo all’esito di una procedura non contraddittoria e in contumacia; c) in caso di consegna la ricorrente avrebbe ricevuto la notifica della sentenza e avrebbe potuto presentare opposizione al Tribunale di Bruxelles che, se dichiarata ricevibile, avrebbe determinato l’annullamento della sentenza di condanna e la trattazione di un nuovo processo con i medesimi diritti che ella avrebbe avuto nel primo processo oppure, dopo la consegna, avrebbe potuto potrebbe proporre appello e ottenere la revisione della sentenza di primo grado dinanzi al giudice di appello; d) in entrambi i casi ella sarebbe assistita da un difensore di fiducia o da un difensore d’ufficio del Servizio del gratuito patrocinio, avrebbe un termine congruo per la difesa e potrebbe chiedere di essere rimessa in libertà (informazioni del 5 luglio 2024 e pag. 3 della domanda di pronuncia pregiudiziale formulata dalla Corte di appello di Roma ai sensi dell’art. 267 del TFUE, allegato 5): diritti, questi, ribaditi anche nel mandato di arresto in atti.
3. A fronte di tale situazione processuale e del rilevato stridente contrasto tra la disciplina processuale dello Stato richiedente e il diritto interno, particolare, con l’insopprimibile diritto alla difesa in ogni stato e grado d processo, garantito dalla nostra Costituzione e anche da fonti sovranazionali, la Corte di appello ha posto la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, specificamente chiedendo “se l’art. 6 del TFUE, gli art. 48, paragrafo 2, e 52, paragrafi 3 e 4, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; l’articolo 6 paragrafo 3 lett. c) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; gli art. 1 punto 3, 2, 4 bis della Decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2002/584/GAI del 13 giugno 2002; l’art. 6 della Direttiva 2012/13/UE e l’art. 3 della Direttiva 2013/48/UE debbano essere interpretati nel loro complesso nel senso che essi ostano alla normativa nazionale, prevista dagli artt. 2, 6 e 18-ter I. n. 69 del 2005, che non consente alla Corte di appello di rifiutare la consegna della persona destinataria di un mandato di arresto europeo emesso in base ad una sentenza di condanna a pena detentiva, pronunciata nello Stato richiedente, a seguito di un processo svoltosi in assenza del difensore di fiducia dell’imputato o nominato d’ufficio, quindi, senza una difesa effettiva, anche nei casi in cui dopo l’esecuzione del mandato di arresto europeo il condannato abbia diritto alla notifica della sentenza di condanna e a proporre opposizione o appello contro la sentenza”.
4. L’ordinanza della Corte di giustizia dell’Unione europea in atti ha escluso il potere di rifiuto della consegna nel caso di specie, richiamando, in primo luogo, il principio di fiducia reciproca e di riconoscimento reciproco quale cardine fondamentale del diritto dell’Unione, nella cui attuazione gli Stati membri devono presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati, sicché no possono né esigere da un altro Stato membro un livello di tutela nazionale dei diritti fondamentali più elevato di quello garantito dal diritto dell’Unione n verificare se l’altro Stato abbia effettivamente rispettato in un caso concreto i diritti fondamentali garantiti dall’Unione.
Al principio del reciproco riconoscimento è ispirata la decisione quadro 2002/584 in tema di mandato di arresto europeo diretta a facilitare ed accelerare la cooperazione giudiziaria tra Stati membri, sicché il rifiuto dell’esecuzione di un mandato di arresto europeo costituisce l’eccezione alla regola che impone la consegna della persona ricercata e, pertanto, deve essere interpretata restrittivamente.
L’art. 4 bis di detta Decisione quadro, che prevede la facoltà dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare di eseguire il mandato di arresto emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della
libertà, se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione, a meno che il mandato di arresto indichi che sono soddisfatte le condizioni enunciate dalle lettere da a) a d) di tale disposizione, va, quindi, interpretato restrittivamente, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta ad eseguirlo.
In particolare, alla luce degli elementi prima indicati, la Corte di Lussemburgo ha chiarito che nel caso di specie non è applicabile la lett. a) dell’art. 4 bis della Decisione quadro 2002/584, che si riferisce all’interessato che “a tempo debito è stato citato personalmente ed è quindi stato informato della data e del luogo fissati per il processo terminato con la decisione o è stato di fatto informato ufficialmente con altri mezzi della data e del luogo fissati per il processo in modo tale che si è stabilito inequivocabilmente che era al corrente del processo fissato e è stato informato del fatto che la decisione poteva essere emessa in caso di mancata comparizione in giudizio”, bensì l’art. 4 bis, paragrafo 1, lett. d) della decisione quadro 2002/584 che si riferisce all’interessato che non ha ricevuto personalmente la notifica della decisine, ma:
riceverà personalmente e senza indugio la notifica dopo la consegna e sarà espressamente informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello cui l’interessato ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove e può condurre alla riforma della decisione originaria; e
ii) sarà informato del termine entro cui deve richiedere un nuovo processo o presentare ricorso in appello, come stabilito dal mandato di arresto europeo pertinente, sicché GLYPH risulta GLYPH irrilevante GLYPH che GLYPH l’interessato GLYPH non GLYPH sia stato precedentemente informato ufficialmente del procedimento penale a suo carico, secondo la previsione del comma 2 dell’art. 4 bis cit.
La Corte di giustizia ha, altresì, precisato che la norma applicabile al caso di specie non fa riferimento all’assistenza di un avvocato durante il processo in assenza e, alla luce delle premesse precedenti, ha escluso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa rifiutare la consegna, altrimenti si aggiungerebbe alla decisione quadro una condizione non prevista dal diritto dell’Unione.
Principio questo, già affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza 26 febbraio 2013 in causa C-399/11, COGNOME, con la quale si è escluso che, in forza delle previsioni della Costituzione di uno Stato membro, potessero aggiungersi ulteriori condizioni all’esecuzione di un mandato di arresto europeo, rispetto a quelle pattuite con il «consenso raggiunto dagli Stati membri nel loro insieme a proposito della portata da attribuire, secondo il diritto dell’Unione, ai diri processuali di cui godono le persone condannate in absentia». In quel caso una soluzione opposta avrebbe inciso direttamente sulla portata della Decisione
quadro 26 febbraio 2009, n. 2009/299/GAI (Decisione quadro del Consiglio che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo), e avrebbe perciò comportato la rottura dell’unità del diritto dell’Unione in una materia basata sulla reciproca fiducia in un assetto normativo uniforme (v. ordinanza Corte cost. n. 24/2017).
La CGUE ha, altresì, precisato che proprio al fine di garantire un più elevato livello di tutela all’assente e per rimediare alle difficoltà del riconoscimento reciproco delle decisioni pronunciate in assenza, derivanti dall’esistenza di differenti tutele nelle legislazioni degli Stati membri, la Decisione quadro 2009/299 ha introdotto modifiche dirette a garantire il diritto dell’imputato a comparire personalmente al suo processo e a tutelare il diritto di difesa e il diritto di avvalersi di un difensore, prevedendo il diritto della persona condannata in contumacia ad un nuovo processo o a un ricorso in appello al quale ha diritto di partecipare e di far riesaminare il merito della causa.
Diritti, questi ultimi, corrispondenti al contenuto degli artt. 8 e 9 dell direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo.
Infatti, ai sensi dell’art. 8 gli Stati membri garantiscono che gli indagati e imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo» (art. 8, paragrafo 1). Possono prevedere che un processo che può concludersi con una decisione di colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato possa svolgersi in assenza di quest’ultimo, a condizione che: a) l’indagato o imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione; oppure b) l’indagato o imputato, informato del processo, sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dall’indagato o imputato oppure dallo Stato» (art. 8, paragrafo 2). Inoltre, qualora gli Stati membri prevedano la possibilità di svolgimento di processi in assenza dell’indagato o imputato, ma non sia possibile soddisfare le condizioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo perché l’indagato o imputato non può essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi, gli Stati membri possono consentire comunque l’adozione di una decisione e l’esecuzione della stessa, e in tal caso, gli Stati membri garantiscono che gli indagati o imputati, una volta informati della decisione, in particolare quando siano arrestati, siano informati anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, in conformità dell’articolo 9» (art. 8, paragrafo 4).
Secondo l’art. 9 gli Stati membri assicurano che, laddove gli indagati o imputati non siano stati presenti al processo e non siano state soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, questi abbiano il diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l’esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria», e in tale contesto, gli Stati membri assicurano che tali indagati o imputati abbiano il diritto di presenziare, di partecipare in modo efficace, in conformità delle procedure previste dal diritto nazionale e di esercitare i diritti della difesa.
Risulta, quindi, sempre raccordato il diritto a presenziare al processo al diritto ad un nuovo processo con il chiaro obiettivo di assicurare all’imputato tutti i diritti e le facoltà partecipative e in tale linea l’art. 4-bis della Deci quadro 2002/584 prevede l’esecuzione del mandato per condanna in absentia ove l’imputato sia informato del «diritto a un nuovo processo», che consenta di «riesaminare il merito della causa» e possa «condurre alla riforma della decisione originaria» (art. 4-bis, paragrafo 1, lettera d, punto i). Pertanto, l’art. 4-bis cit. non lede né il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e ad un processo equo né i diritti della difesa, garantiti rispettivamente dagli articoli 47 e 48, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali.
5. La Corte di giustizia ha, inoltre, ribadito, in conformità a quanto già affermato in precedenti sentenze, che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può subordinare la consegna della persona destinataria di un mandato di arresto all’autorità giudiziaria dello Stato emittente solo al rispetto dei requisit fondamentali definiti dal diritto dell’Unione e non al rispetto di quelli previsti da suo diritto nazionale.
Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, infatti, in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, che è una caratteristica essenziale dell’ordinamento giuridico dell’Unione (v. pareri 1/91, del 14 dicembre 1991, Racc. pag. 1-6079, punto 21, e 1/09, dell’8 marzo 2011, Racc. pag. 1-1137, punto 65), il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può sminuire l’efficacia del diritto dell’Unione nel territorio di tale Stato (v. in tal senso, in particolare, sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft, 11/70, Racc. pag. 1125, punto 3, e dell’8 settembre 2010, Winner Wetten, C-409/06, Racc. pag. 1-8015, punto 61).
Va inoltre, considerato che, come già detto, la decisione quadro 2009/299 ha modificato la decisione quadro 2002/584 per rimediare alle difficoltà del riconoscimento reciproco delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al suo processo, derivanti dall’esistenza, negli Stati membri, di differenze nella
tutela dei diritti fondamentali, e che a tal fine ha proceduto ad armonizzare le condizioni di esecuzione di un mandato d’arresto europeo in caso di condanna in absentia, con operazione che riflette il consenso raggiunto dagli Stati membri nel loro insieme a proposito della portata da attribuire, secondo il diritto dell’Unione, ai diritti processuali di cui godono le persone condannate in absentia, destinatarie di un mandato di arresto europeo.
Pertanto, consentire ad uno Stato membro di invocare la violazione della Carta per subordinare la consegna di una persona condannata in absentia ad una condizione, non prevista dalla decisione quadro 2009/299, al fine di evitare una lesione del diritto ad un processo equo e dei diritti della difesa garantiti dalla Costituzione dello Stato membro di esecuzione, comporterebbe, rimettendo in discussione l’uniformità dello standard di tutela dei diritti fondamentali definiti dal diritto dell’Unione, la lesione dei principi di fiducia e riconoscimento reciproci che la decisione quadro mira a rafforzare, finendo per comprometterne l’effettività (v. pag. 20 ordinanza CGUE in atti).
Non conduce a differenti conclusioni il tenore delle pronunce adottate dalla Corte costituzionale nel noto caso “Taricco”, richiamate dall’odierno ricorrente. In quelle pronunce la Consulta ha sì affermato il principio per cui il primato del diritto dell’Unione, quale dato acquisito nella giurisprudenza costituzionale ai sensi dell’art. 11 Cost., è condizionato all’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona; tutta tale indicazione, rispettosa della c.d. “teoria dei controlimiti”, riguardava una particolare vicenda – affatto diversa da quella oggi in esame – nella quale era stata stigmatizzata la possibilità di riconoscere al giudice penale nazionale il potere di disapplicare disposizioni interne del codice penale, in quanto considerate in contrasto con precetti contenuti nel diritto dell’Unione europea, laddove tale “meccanismo” di disapplicazione, seguendo un percorso non analiticamente regolato perché negativamente qualificato da un certo grado di indeterminatezza, finiva per comportare un “definitivo” sacrificio del principio di legalità dei reati e delle pene (in questo senso Corte cost., sent. n. 115 del 2018; Corte cost., ord. n. 24 del 2017).
5. Alla luce della ricostruzione che precede e della ritenuta compatibilità con le disposizioni del diritto dell’Unione della normativa nazionale risulta corretta la decisione di consegna della ricorrente all’autorità dello Stato emittente, essendole garantito il diritto ad un nuovo processo- nel quale potrà essere presente e avvalersi dell’assistenza di un difensore-, che può portare ad una revisione della originaria pronuncia sulla base dell’assunzione di nuovi mezzi di prova e di una nuova trattazione nel merito. Deve, quindi, ritenersi legittima la celebrazione del processo senza la comparizione personale dell’imputato o del
suo difensore secondo la normativa dello Stato richiedente, comune anche ad altri Stati europei, in quanto prevede una compensazione postuma dei diritti della persona consegnata, garantendole il diritto ad un nuovo processo o all’appello con pieno diritto al contraddittorio, all’esercizio del diritto di difes alla partecipazione dell’imputato, che, quindi, recupera, integralmente, le facoltà e i diritti di difesa non esercitati nel primo processo
Peraltro, già in precedenza questa Corte aveva più volte escluso che in presenza di un mandato di arresto europeo esecutivo, in forza degli artt. 6, comma 1-bis, lett. d), e 18-ter della legge 22 aprile 2005, n. 69, la natura contumaciale del giudizio svoltosi nello Stato emittente non costituisce causa di possibile rifiuto della consegna laddove l’ordinamento di tale Stato estero consenta alla persona condannata “in absentia” di chiedere, una volta venuta a conoscenza della relativa decisione, un nuovo processo che permetta di riesaminare il merito della causa e condurre, anche a mezzo dell’allegazione di nuove prove, alla riforma della condanna in sua presenza (Sez.6, n. 23253 del 13/06/2022, Ouled, Rv. 283320).
Per le stesse ragioni deve escludersi la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa della ricorrente, non essendo ravvisabile una irrimediabile lesione dei diritti di difesa della persona condannata in assenza e senza assistenza difensiva, in quanto destinati a riespandersi e ad essere effettivamente garantiti dal diritto ad un nuovo processo nello Stato emittente dopo la consegna.
D’altro canto, il nostro ordinamento processuale penale nazionale prevede situazioni peculiari nelle quali è consentita l’adozione nei confronti dell’indagato o dell’imputato di provvedimenti limitativi della libertà personale e persino l’emissione di una condanna “inaudita altera parte”, con la previsione di “meccanismi” che assicurino al destinatario di quei provvedimenti il diritto ad ottenere il riesame, nel contraddittorio delle parti e con l’assistenza tecnica di un difensore, della fondatezza delle scelte operate dall’autorità giudiziaria. Deve, perciò, considerarsi compatibile con i precetti della Carta fondamentale una disciplina – come quella in esame nel caso oggetto dell’odierno ricorso – che comporti, in via eccezionale, una temporanea limitazione del diritto costituzionale alla difesa, a condizione che siano previsti rimedi ‘restitutori’ che garantiscono il successivo pieno ripristino delle garanzie difensive e partecipative dell’imputato”.
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma5, I. n.
69/2005.
Così deciso, 19 novembre 2024
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