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Mandato d’arresto europeo: quando si può rifiutare?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4922/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino italiano contro la consegna all’autorità tedesca in esecuzione di un mandato d’arresto europeo per furto aggravato. La Corte ha chiarito che, per opporre un motivo di rifiuto basato su un procedimento pendente in Italia per gli stessi fatti, è necessario fornire una prova documentale di un effettivo esercizio della giurisdizione nazionale, non essendo sufficiente una generica indagine preliminare, soprattutto se il reato è stato interamente commesso all’estero.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato d’arresto europeo: quando l’Italia può rifiutare la consegna?

Il mandato d’arresto europeo (spesso abbreviato in M.A.E.) è uno strumento fondamentale di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea, basato sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e la legge prevede specifici motivi di rifiuto. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4922 del 2024, offre chiarimenti cruciali su uno di questi motivi: la pendenza di un procedimento penale in Italia per gli stessi fatti.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino italiano destinatario di un mandato d’arresto europeo emesso da un’autorità giudiziaria tedesca per il reato di furto aggravato in concorso. Secondo l’accusa, l’uomo, insieme ad alcuni complici, avrebbe sottratto dei veicoli in una città tedesca con la collaborazione di un dipendente di una società di noleggio.

La Corte di appello italiana aveva autorizzato la consegna del cittadino alla Germania. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che in Italia fosse già in corso un procedimento per i medesimi fatti, circostanza che, secondo l’art. 18-bis della legge 69/2005, costituisce un motivo facoltativo di rifiuto della consegna.

L’analisi della Corte sul mandato d’arresto europeo

La difesa del ricorrente ha basato il proprio appello su diversi motivi, incentrati principalmente sulla violazione della normativa che disciplina il mandato d’arresto europeo. I punti principali erano:

1. Esistenza di un procedimento penale in Italia: Si sosteneva che la Corte di appello avesse errato nel non riconoscere la pendenza di un procedimento in Italia come condizione ostativa alla consegna.
2. Mancata acquisizione di atti: La difesa lamentava che la Corte territoriale non avesse acquisito d’ufficio gli atti del presunto procedimento italiano, nonostante la richiesta.
3. Carenze informative del M.A.E.: Infine, si contestava la completezza del mandato d’arresto, ritenuto carente di informazioni essenziali.

La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto tutte le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile.

La distinzione tra ‘indagine’ e ‘procedimento penale’

Il punto centrale della decisione della Suprema Corte è la distinzione tra un ‘procedimento di indagine’ e un ‘procedimento penale’ formalmente avviato. La Cassazione ha stabilito che, per poter invocare il motivo di rifiuto, non è sufficiente l’esistenza di una generica attività investigativa. Al momento della richiesta di consegna, deve risultare ‘l’effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale’.

Nel caso di specie, esisteva solo una comunicazione della Polizia Stradale italiana che parlava di un ‘procedimento di indagine’, senza nemmeno specificare i reati per cui si procedeva. Questo, secondo i giudici, non integra la nozione di procedimento penale pendente richiesta dalla legge.

Territorialità del reato e onere della prova

Un altro aspetto decisivo è stato il luogo di commissione del reato. Dalle prove raccolte, in particolare dalle videoriprese, emergeva in modo ‘incontestabile’ che l’intera azione criminosa si era svolta in territorio tedesco. Non vi era alcuna prova che anche solo una frazione della condotta fosse stata posta in essere in Italia.

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’onere di provare la sussistenza della condizione ostativa grava sul ricorrente. La difesa non solo aveva indicato genericamente l’esistenza di un’indagine, ma non aveva fornito alcuna documentazione a supporto, limitandosi a chiederne l’acquisizione alla Corte. Tale richiesta è stata ritenuta insufficiente a fronte della chiarezza degli elementi che radicavano la giurisdizione in Germania.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità sulla base della manifesta infondatezza dei motivi di ricorso. I giudici hanno sottolineato che il ricorso contro i provvedimenti in materia di M.A.E. è consentito solo per violazione di legge e non per riesaminare il merito delle valutazioni fatte dalla Corte di appello, a meno che la motivazione non sia totalmente assente o meramente apparente, cosa non avvenuta in questo caso.

La Corte di appello aveva correttamente ritenuto che la pendenza di un procedimento in Italia non fosse stata ‘documentalmente provata’ e che il reato fosse stato commesso interamente in Germania. La Cassazione ha confermato questa linea, evidenziando che l’azione furtiva era stata realizzata complessivamente in territorio tedesco. Mancando la prova di un effettivo esercizio della giurisdizione italiana prima della richiesta di consegna, la condizione ostativa non poteva operare. Infine, le altre censure relative a presunte carenze informative del mandato sono state giudicate generiche e non idonee a scalfire la logicità della sentenza impugnata.

Le Conclusioni

La sentenza n. 4922/2024 rafforza l’efficacia dello strumento del mandato d’arresto europeo, stabilendo dei paletti chiari per l’applicazione dei motivi di rifiuto facoltativi. La decisione insegna due principi pratici di grande rilevanza:

1. Per bloccare una consegna sulla base di un procedimento pendente in Italia, non basta una semplice affermazione: è necessario fornire prova documentale di un procedimento penale formalmente instaurato e non di una mera fase investigativa preliminare.
2. La territorialità del reato è un fattore decisivo. Se l’intera condotta illecita si è consumata all’estero, la possibilità di invocare la giurisdizione italiana si affievolisce notevolmente, e con essa la possibilità di rifiutare la consegna.

Questa pronuncia conferma l’orientamento a favore di una leale cooperazione tra Stati membri, limitando le eccezioni alla consegna a casi rigorosamente provati e normativamente previsti.

Una semplice indagine in corso in Italia è sufficiente per rifiutare la consegna richiesta con un mandato d’arresto europeo?
No. La sentenza chiarisce che per integrare il motivo di rifiuto previsto dalla legge è necessario dimostrare l’esistenza di un ‘procedimento penale’ pendente, che rappresenta un ‘effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale’, non essendo sufficiente una generica e preliminare ‘procedimento di indagine’.

Chi ha l’onere di provare l’esistenza di un procedimento penale in Italia per lo stesso fatto?
L’onere della prova grava sulla persona di cui è richiesta la consegna. Il ricorrente deve adempiere a un onere probatorio, indicando alla Corte non solo la circostanza della pendenza del procedimento, ma fornendo anche elementi documentali a supporto, non potendosi limitare a chiederne l’acquisizione da parte del giudice.

Quando si considera che un reato sia stato commesso interamente in territorio estero ai fini del mandato d’arresto europeo?
Secondo la Corte, il reato si considera commesso interamente all’estero quando l’intera azione criminosa si è realizzata in quel territorio. Nel caso di specie, le videoriprese mostravano che l’azione furtiva e le attività successive (come il rifornimento dei veicoli rubati) erano avvenute in Germania, senza che risultasse nemmeno in termini generici una porzione della condotta posta in essere in Italia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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