Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45778 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45778 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME FrancescoCOGNOME nato a Lucera (FG) il 13/10/1957
avverso la sentenza del 08/10/2024 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udit i difensori del ricorrente, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di appello di Torino in epigrafe indicata, che ha ritenuto sussistenti l condizioni per la sua consegna alla Repubblica francese, in esecuzione di mandato d’arresto europeo emesso il 25 settembre 2024 dall’autorità giudiziaria di quello Stato, dinanzi alla quale egli è sottoposto a procedimento penale per i reath di associazione per delinquere, truffa, contraffazione di marchi, autoriciclaggio, che
secondo quanto esposto nello stesso mandato – sarebbero stati da lui commessi, in concorso con altre persone, in Francia, Svizzera ed Italia.
Al ricorrente, in particolare, si muove l’accusa di avere, nella sua qualità di titolare di una tipografia di Leini, in provincia di Torino, stampato delle etichet contraffatte apposte su false bottiglie di vino pregiato.
Con il proprio ricorso egli lamenta la violazione dell’art. 18-bis, comma 1, in relazione ad entrambe le ipotesi di rifiuto facoltativo della consegna ivi disciplinate, rispettivamente, alle lett. a) e b).
2.1. Quanto alla prima, rammentato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di mandato d’arresto c.d. “processuale”, è sufficiente a giustificare il rifiuto la commissione in Italia anche soltanto di un frammento della condotta delittuosa, e che, invece, quella a lui addebitata si sarebbe addirittura dispiegata per l’intero nel nostro territorio, il ricorrente censura l’affermazione della Cor d’appello per cui il rifiuto presupporrebbe un effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale sul medesimo reato oggetto del mandato.
Egli sostiene che tale lettura normativa sia errata, perché confonderebbe quelle distinte ipotesi di rifiuto, finendo per postulare, in relazione a quella di alla lettera a), il presupposto – la pendenza in Italia, cioè, di un procedimento penale per lo stesso fatto – richiesto per quella di cui alla successiva lettera b). Rileva, a tal fine, come i precedenti di legittimità citati a proprio sostegno dal sentenza impugnata non siano conferenti, confortando, semmai, la propria tesi.
2.2. Riguardo, poi, alla disposizione di cui alla citata lett. b) dell’art. 18-bis, il ricorso contesta l’affermazione della Corte d’appello, fondata su una nota depositatale in udienza dal Procuratore generale, secondo cui la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino non avrebbe avviato alcuna indagine per gli stessi fatti nei confronti del consegnando.
Si deduce, in proposito, che, lo stesso giorno in cui è stato eseguito il mandato, al ricorrente è stato notificato un decreto di perquisizione e sequestro, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino nel procedimento ivi iscritto al n. 11244/24 r.g.n.r., relativo ai reati di cui agli artt. e 474, cod. pen., ed aperto a carico di «indagati nel procedimento penale pendente presso il Tribunale di Dijon e già oggetto di parallela richiesta di perquisizione e sequestro tramite oie 133/23». Parrebbe, dunque, indiscutibile – secondo la difesa – che, dinanzi all’autorità giudiziaria italiana, penda un procedimento nei confronti degli stessi soggetti indagati da quella francese, per gli stessi reati oggetto del m.a.e., ipoteticamente commessi nella medesima cornice spazio-temporale e per i quali è stato disposto, in entrambi i procedimenti, il sequestro dei medesimi oggetti.
Non sarebbe possibile sostenere, dunque, quanto meno senza l’acquisizione di informazioni supplementari, come invece ha fatto la Corte d’appello, che l’autorità giudiziaria italiana non abbia manifestato l’intenzione di procedere per gli stessi fatti di reato oggetto del mandato d’arresto.
Il difensore ricorrente ha depositato in cancelleria motivi nuovi, sostanzialmente ribadendo quanto dedotto in ricorso, nonché una successiva nota a sostegno della rappresentata violazione del citato art. 18-bis, lett. b), con allegato un provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino che autorizza la difesa alla nomina di un consulente tecnico di parte nel citato procedimento n. 11244/24 r.g.n.r., pendente presso quell’ufficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le doglianze rassegnate dal ricorrente non trovano fondamento e l’impugnazione dev’essere, perciò, respinta.
Correttamente la sentenza impugnata ricorda come, già nella vigenza del testo originario della legge n. 69 del 2005, che – all’art. 18, lett. p) prevedeva la parziale esecuzione del reato nel territorio italiano quale causa di rifiut obbligatorio della consegna, questa Corte avesse fissato il principio per cui detto rifiuto potesse essere opposto unicamente nel caso in cui fosse individuabile una situazione oggettiva, desumibile da indagini sul fatto che costituisce oggetto del mandato di arresto, che palesasse un’effettiva volontà dello Stato di affermare la propria giurisdizione, non potendo altrettanto disporsi in presenza solamente di un potenziale interesse in tal senso (tra le altre: Sez. 6, n. 27992 del 13/06/2018, H., Rv. 273544; Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, COGNOME, Rv. 272912; Sez. 6, n. 21066 del 9/07/2020, COGNOME).
Tale principio è stato poi ribadito, a maggior ragione, allorché la situazione qui dedotta – con la legge n. 117 del 2019, che ha inserito nella legge n. 69 del 2005 l’art. 18-bis – è stata prevista come motivo di rifiuto semplicemente facoltativo: disposizione, questa, confermata anche dal d.lgs n. 10 del 2021 nel testo attualmente vigente, che si è limitato a spostarla dalla lettera b) alla a) del comrna 1 (di qui il diverso riferimento testuale contenuto in alcuni più risalenti precedent citati dalla sentenza impugnata, erroneamente censurato in ricorso). Questa Corte, infatti, rimanendo ferma nelle sue posizioni, ha confermato che detto motivo di rifiuto sussiste solo se, al momento della ricezione della richiesta di consegna, risulti l’effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale sul
medesimo reato oggetto del mandato (Sez. 6, n. 20539 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283600; Sez. 6, n. 2959 del 22/01/2020, M., Rv. 278197).
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, e come già da tempo chiarito da questa Corte (in particolare, Sez. 6, n. 15866/2018, Spasiano, cit.; Sez. 6, n. 5548 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 272198, non mass. sul punto), una tale lettura normativa non determina alcuna duplicazione del disposto dell’allora lett. o) dell’art. 18, legge n. 69 del 2005, ora trasfuso – per quanto qui d’interesse – nella lettera b) dell’art. 18-bis, comma 1.
Questa disposizione, infatti, non solo si riferisce all’ipotesi di un procedimento interno per reato del tutto sovrapponibile a quello oggetto del mandato di arresto europeo (v., sul punto, Sez. 6, n. 40831 del 18/09/2018, R, Rv. 274121, che ha escluso il motivo di rifiuto nel caso della semplice pendenza dinanzi all’autorità giudiziaria italiana di un procedimento penale per fatti di reato solo potenzialmente rilevanti sul piano del collegamento investigativo con le indagini in corso nello Stato di emissione); ma, soprattutto, il riferimento testuale da essa effettuato ad un procedimento «in corso» postula che, dall’autorità giudiziaria italiana, sia stata esercitata l’azione penale o, quanto meno, sia stata emessa un’ordinanza applicativa di misura cautelare.
Peraltro, tale esegesi normativa si pone in asse con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che, relativamente alle ipotesi di rifiuto della consegna previste dalla decisione quadro 2002/584 GAI, ha chiarito che, laddove il rifiuto sia previsto in funzione della priorità data alla giustizia nazionale, lo S di esecuzione del mandato non può negare la consegna solo sulla base dell’astratta possibilità di esercitare la suddetta opzione, senza, cioè, aver prima proceduto alla verifica in concreto della “presa in carico” dell’azione, poiché, diversamente, si verrebbe a creare un rischio di impunità del ricercato, che non può essere considerato conforme alla citata decisione quadro (CGUE, sent. 29 giugno 2017, in C-579/15).
Da quanto appena esposto, allora, è possibile cogliere l’inesistenza, nel caso in disamina, della lamentata violazione non solamente dell’art. 18-bis, comma 1, lett. a), legge n. 69 del 2005, ma anche della successiva lettera b).
Anche, infatti, a voler ammettere spazi di sindacato da parte di questa Corte sull’attestazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, circa l’inesistenza d’indagini in corso a carico dell’COGNOME per gli stessi fatti oggetto del mandato d’arresto, e sulla valutazione che ne ha compiuto la Corte d’appello, rimane indiscusso che, per tali ipotesi di reato, l’autorità giudiziaria italiana n abbia esercitato l’azione penale né abbia emesso alcun provvedimento cautel9re A
personale nei confronti del consegnando, non potendo trovare applicazione, pertanto, il citato art. 18-bis, comma 1, lett. b).
Al rigetto del ricorso segue obbligatoriamente per legge la condanna del proponente al pagamento dele spese di causa (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69/2005.
Così deciso in Roma, 1’11 dicembre 2024.