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Mandato d’arresto europeo: non basta la residenza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28291/2025, ha annullato una decisione della Corte di Appello che rifiutava la consegna di un cittadino straniero sulla base di un mandato d’arresto europeo. La Suprema Corte ha stabilito che la mera residenza formale in Italia è insufficiente. I giudici devono condurre una valutazione approfondita sul reale radicamento della persona nel territorio e sulle concrete possibilità di reinserimento sociale, secondo i nuovi e specifici criteri introdotti dalla legge.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato d’arresto europeo: la residenza non basta per il rifiuto

Il mandato d’arresto europeo (MAE) è uno strumento fondamentale di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea, ma il suo funzionamento solleva complesse questioni sul bilanciamento tra efficienza della giustizia e diritti individuali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 28291/2025) interviene su un punto cruciale: i criteri per rifiutare la consegna di una persona richiesta quando questa risiede in Italia. La Corte ha chiarito che la semplice residenza anagrafica non è più un elemento sufficiente, essendo necessaria una valutazione molto più approfondita del reale radicamento dell’individuo nel tessuto sociale italiano.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla decisione della Corte di Appello di Cagliari di rifiutare la consegna alle autorità rumene di un cittadino destinatario di un mandato d’arresto europeo. Il mandato era stato emesso per l’esecuzione di una condanna a un anno di reclusione per il reato di tentato incendio. La Corte territoriale aveva basato il suo diniego sul presupposto che il requisito formale della residenza in Italia fosse, di per sé, sufficiente a dimostrare un radicamento stabile sul territorio nazionale. Tale radicamento, secondo la Corte, giustificava l’esecuzione della pena in Italia per favorire il reinserimento sociale del condannato.

Contro questa decisione, il Procuratore Generale presso la stessa Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione. Il ricorrente ha sostenuto che la Corte si fosse erroneamente limitata al dato formale della residenza, omettendo di verificare se l’esecuzione della pena in Italia fosse concretamente idonea ad accrescere le opportunità di inserimento sociale del soggetto, come richiesto dalla legge.

La Decisione della Cassazione sul mandato d’arresto europeo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, annullando con rinvio la sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la decisione della Corte di Appello fosse viziata da una violazione di legge, in quanto fondata su una valutazione parziale e incompleta. La Suprema Corte ha sottolineato che, specialmente alla luce delle recenti modifiche normative, il giudice di merito non può fermarsi al mero dato anagrafico.

Le motivazioni

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 18-bis della legge n. 69/2005, come recentemente modificato dal D.L. n. 69/2023 (convertito in Legge n. 103/2023). Questa novella legislativa ha introdotto un comma 2-bis che fissa in modo esplicito e dettagliato i criteri che il giudice deve seguire per valutare la legittima ed effettiva residenza o dimora della persona richiesta.

La Corte d’Appello è ora obbligata a verificare se l’esecuzione della pena in Italia sia in concreto idonea ad accrescere le opportunità di reinserimento sociale. Per fare ciò, deve tenere conto di una pluralità di elementi:

* La durata, la natura e le modalità della residenza o della dimora.
* Il tempo trascorso tra la commissione del reato e l’inizio del periodo di residenza in Italia.
* L’eventuale commissione di altri reati.
* Il regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali.
* Il rispetto delle norme sull’ingresso e soggiorno degli stranieri.
* I legami familiari, linguistici, culturali, sociali ed economici con il territorio italiano.

La legge specifica, inoltre, che la sentenza è nulla se non contiene l’indicazione specifica di tali elementi e dei relativi criteri di valutazione. La Corte di Appello di Cagliari, limitandosi a valorizzare la residenza formale, non ha compiuto questa complessa e articolata analisi, incorrendo così in una violazione di legge.

Conclusioni

Questa sentenza segna un punto di svolta nell’applicazione del mandato d’arresto europeo in Italia. Si passa da una valutazione potenzialmente discrezionale e basata su un singolo dato formale a un processo valutativo rigoroso, strutturato e verificabile. Per i giudici, ciò significa l’obbligo di un’istruttoria approfondita sul vissuto della persona richiesta. Per gli individui, rappresenta una maggiore garanzia che la decisione sulla loro consegna sia basata su un accertamento effettivo del loro legame con l’Italia e non su una mera formalità. La decisione rafforza il principio secondo cui l’esecuzione della pena nello Stato di residenza deve perseguire un reale obiettivo di reinserimento sociale, un obiettivo che può essere verificato solo attraverso un’analisi concreta e multifattoriale.

È sufficiente la residenza anagrafica in Italia per rifiutare la consegna di una persona richiesta con un mandato d’arresto europeo?
No, la sola residenza formale non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che è necessaria una valutazione approfondita del reale e stabile radicamento della persona sul territorio, basata su criteri specifici previsti dalla legge.

Quali elementi deve valutare il giudice per decidere se eseguire la pena in Italia?
Il giudice deve valutare una serie di indici, tra cui la durata e la natura della residenza, i legami familiari e sociali, la situazione lavorativa, il rispetto degli obblighi fiscali e contributivi, il tempo trascorso dal reato e ogni altro elemento utile a verificare un effettivo radicamento e le concrete opportunità di reinserimento sociale.

Cosa succede se la Corte d’Appello non indica specificamente gli elementi su cui ha basato la sua decisione?
Secondo la nuova normativa richiamata dalla Cassazione, la sentenza è nulla. La mancata indicazione e valutazione degli elementi previsti dalla legge costituisce una violazione di legge che comporta l’annullamento della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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