Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33388 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33388 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 07/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Urosevac il 24/09/1965
avverso la sentenza del 04/09/2025 della Corte di appello di L’Aquila
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 settembre 2025 la Corte di appello di L’Aquila ha dichiarato sussistenti le condizioni per accordare la consegna di NOME COGNOME all’autorità giudiziaria tedesca, che l’aveva richiesta in forza di mandato di
arresto europeo emesso per l’esecuzione della pena inflittagli dalla sentenza di condanna, pronunciata il 10 gennaio 2023 per il reato di truffa.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, attraverso il suo difensore, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 18-bis della Legge n. 69/2005, anche in relazione all’art. 27 Cost., e all’art. 8 Cedu e vizi della motivazione, per non avere la Corte territoriale valutato il radicamento sociale del ricorrente e per essersi posta in contrasto con il dictum della sentenza n. 178/2023 della Corte costituzionale, che ha imposto ai giudici della consegna di superare automatismi, basati sulla cittadinanza o sulla durata della residenza, per dare preminenza a una valutazione sostanziale dell’integrazione, in ossequio ai principi costituzionali e convenzionali. Secondo il ricorrente, quindi, si potrebbe prescindersi dalla permanenza in Italia per cinque anni, al fine di rifiutare la consegna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Con il decreto – legge 13 giugno 2023 n. 69, convertito con modificazioni nella legge 10 agosto 2023 n. 103, in vigore dall’Il agosto 2023, il legislatore, in primo luogo, ha disposto la modifica del comma 2 dell’art. 18-bis L. n. 69/2005, che oggi contempla la possibilità per la Corte di appello di rifiutare la consegna del cittadino italiano o di persona (senza attributo alcuno di cittadinanza) che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che la Corte stessa disponga l’esecuzione in Italia della pena o della misura di sicurezza per cui la consegna viene richiesta conformemente al diritto interno. In secondo luogo, è stato aggiunto il comma 2-bis, il quale stabilisce che “ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la Corte di appello accerta se l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora, del tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso e l’inizio del periodo di residenza o di dimora, della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo, del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o
altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano e di ogni altro elemento rilevante. La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione”.
Sono stati, dunque, normativamente fissati i c.d. indici rivelatori che la giurisprudenza di legittimità aveva già in parte individuato al fine di delimitare il perimetro dell’accertamento spettante alla Corte di merito.
La novella legislativa, quindi, indica gli elementi di valutazione per la Corte del merito, ferma restando, però, la previsione del comma 2, ossia la necessaria sussistenza della residenza o dimora in Italia per almeno cinque anni da parte della persona richiesta in consegna.
Va aggiunto che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, il requisito della permanenza in Italia per almeno cinque anni non è stato superato neanche dalla Corte costituzionale.
Sulla base della sentenza della Corte di giustizia del 6 giugno 2023 (che ha stabilito l’incompatibilità con il principio di uguaglianza davanti alla legge, sancito dall’art. 20 della Carta europea dei diritti fondamentali, di una normativa che discrimini il cittadino extracomunitario dal cittadino di un paese dell’Unione, escludendo in modo assoluto e automatico che possa essere rifiutata l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo), la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 178/2023, ha dichiarato illegittimo l’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, che disciplina nell’ordinamento italiano il mandato d’arresto europeo, “nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano”, alle condizioni precisate dalla Corte di giustizia, affinché possa scontare la propria pena in Italia, per favorirne il reinserimento sociale. Con riferimento alla nuova normativa in vigore dal 2021, la Corte costituzionale ha limitato questa possibilità ai cittadini extracomunitari che risiedano da almeno cinque anni nel territorio italiano, dal momento che questa stessa condizione è oggi legittimamente prevista dal legislatore italiano per i cittadini di altro Stato dell’Unione.
Alla luce delle argomentazioni che precedono va rilevato che la censura formulata nel ricorso è manifestamente infondata, avendo la Corte di appello correttamente ritenuto ostativo al rifiuto di consegna il difetto della residenza del ricorrente in Italia da almeno cinque anni.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
La Cancelleria effettuerà gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, L. n. 69/2005.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, Legge n. 69/2005
Così deciso il 7 ottobre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente