Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 24562 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 24562 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME nata in Romania il 10/08/1986
avverso la sentenza emessa il 09/06/2025 dalla Corte di Appello di Brescia udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME GLYPH che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della impugnata sentenza;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia ha disposto la consegna allo Stato di Romania di NOME destinataria di un mandato di arresto processuale perché indiziata d delitto di “organizzazione criminale finalizzata al traffico di droga”.
Ha proposto ricorso per cassazione l’indagata articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di plurime disposizioni di legge.
Il tema attiene al motivo di rifiuto facoltativo derivante dall’essere stato i commesso in parte sul territorio dello Stato e per non essere stato accertato alcun dalla Corte di appello.
Si sostiene che dalla stessa imputazione provvisoria emergerebbe come la ricorrent avrebbe, per conto del gruppo, commercializzato sostanza stupefacente proveniente dall’Italia.
La Corte di appello avrebbe rigettato il motivo sul presupposto, da una parte, non risulterebbe pendente in Italia un procedimento penale avente ad oggetto gli ste fatti e, dall’altra, perché non vi sarebbero elementi concreti per ritenere che i fat stati commessi, anche solo in parte, sul territorio italiano.
Secondo la ricorrente si tratterebbe di un assunto viziato non solo perché smenti testualmente dalla imputazione provvisoria, ma anche per essere la donna stabilmente residente e domiciliata in Italia.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge.
Il tema attiene alla indeterminatezza delle informazioni pervenute e relative a condizioni carcerarie in Romania.
Sarebbe stato affermato che l’indagata, dopo la consegna, sarà trattenuta nel cen di arresto preventivo presso l’Ispettorato di polizia della contea di Iasi fino alla della legalità e validità della misura e che, durante il periodo in custodia in centro, la donna sarà ospitata in una stanza di detenzione con una superficie di 1 m. dotata di due letti ed esclusa l’area del gruppo sanitario.
Sostiene invece la ricorrente che al detenuto deve essere assicurato uno spaz minimo di 3 mq. escludendo dalla superficie utile gli oggetti immobili tra cui il l sicchè le informazioni ricevute non sarebbero sufficienti ad escludere il risch trattamenti inumani e degradanti per la mancata specificazione che all’interno delle c possono essere ospitate al massimo due persone, che alla ricorrente sarà garantito colloquio con i familiari e che sono previste attività trattamentali idonei a compen la “detenzione in ambito, ipoteticamente, non idoneo” (così il ricorso).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione d principio di diritto sulla portata del motivo di rifiuto obbligatorio di cui all’ar comma 1, lett. a), legge rn. 69 del 2005, secondo cui quando la richiesta di conseg riguarda fatti commessi in parte nel territorio dello Stato, tale motivo è ravvisabil quando sussiste non un potenziale interesse dell’ordinamento interno ad affermare l giurisdizione, ma una situazione oggettiva, dimostrata dalla presenza di indagini fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatica dell’effettiva volontà della St affermare la propria giurisdizione (Sez. 6, n. 27992 del 13/06/2018, H., Rv. 273544)
Si tratta di un motivo di rifiuto facoltativo: dalla circostanza del collegament reato oggetto del mandato di arresto europeo con il territorio nazionale (che potre essere giustificato anche dal verificarsi in Italia di un solo “frammento” della cond non deriva un automatico rifiuto della consegna, posto che va verificato concretament caso per caso l’interesse dello Stato italiano ad affermare la propria giurisdizione.
Interesse che, nella specie, è stato ritenuto dalla Corte di appello non sussist stante la mancanza in Italia di indagini sul medesimo fatto.
Non diversamente è infondato, il secondo motivo di rifiuto.
La Gran Camera della Corte di Giustizia nella sentenza 5 aprile 2016 (C404/15, COGNOME, e C-659/15, COGNOME) ha affermato che l’esecuzione del mandato di arresto europeo non può mai condurre ad un trattamento inumano o degradante.
Il divieto di pene e trattamenti inumani o degradanti di cui all’art. 4 della Car diritti fondamentali dell’Unione Europea, a sua volta corrispondente all’art. 3 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, rappresenta, infatti, un valore fondamenta dell’Unione europea, avente carattere assoluto, in quanto strettamente connesso rispetto della dignità umana.
E’, pertanto, onere dell’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, che deci ordine alla consegna, in presenza di rischi concreti di violazione dell’art. 3 CEDU CDFUE), valutare se sussista un concreto pericolo che tali trattamenti si verifichi danno dei soggetti detenuti nello Stato membro emittente.
Tale valutazione deve essere condotta sulla base di «elementi oggettivi, attendibi precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Sta membro emittente e comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora ch colpiscono determinati centri di detenzione».
La Corte di Giustizia ha, inoltre, precisato che «tali elementi possono risultar particolare da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte EDU decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, relazioni e a documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema del Nazioni Unite».
La Corte di cassazione, in adesione alle indicazioni provenienti dalla Corte U.E., da tempo stabilito quale sia il controllo che la Corte di appello deve effet allorquando sia rappresentato dalla persona richiesta in consegna, sulla base di eleme oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, il serio pericolo di sottoposta ad un trattamento inumano e degradante nello Stato 3 di emissione (tra tante, Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, COGNOME, Rv. 267296; Sez. 2, n. 3679 d 24/01/2017, The, Rv. 269211).
Una volta accertata l’esistenza di un generale rischio attuale di trattamento inum da parte dello Stato membro, attraverso fonti affidabili, deve, infatti, essere veri se, in concreto, la persona oggetto del mandato di arresto europeo potrà ess sottoposta ad un trattamento inumano.
Deve essere svolta dunque un’indagine mirata ad accertare, attraverso informazioni “individualizzate” che devono essere richieste allo Stato di emissione, quale sar trattamento carcerario cui concretamente il consegnando sarà sottoposto co riferimento a quegli aspetti ritenuti dalle fonti affidabili critici, in quanto co situazioni di rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti.
Ove il tenore di dette informazioni escluda siffatto rischio, la Corte di appello limitarsi, in conformità al principio del mutuo riconoscimento, a prendere atto de stesse e ‘procedere alla consegna, senza poter pretendere garanzie di sorta sul risp delle condizioni di detenzione (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, COGNOME, in motivazion Sez. 2, n. 3679 del 24/01/2017, The, Rv. 269211; Sez. 6, n. 52541 del 09/11/2018, Moisa, in motivazione).
Qualora, invece, tale rischio non sia escluso e la Corte di appello rifiuti la cons la sentenza che decide sulla consegna deve considerarsi emessa “allo stato degli att così da poter essere sottoposta a nuova valutazione, laddove l’ostacolo alla conse dovesse venir meno (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, COGNOME, in motivazione; Sez. 6 n. 35290, 19/07/2018, COGNOME, Rv. 273780).
Il tema attiene inoltre alle condizioni specifiche carcerarie e alla individua dello spazio minimo individuale, secondo i criteri individuati dalla giurisprudenza d Corte EDU e ripresi anche dalla giurisprudenza di legittimità.
La Corte di Strasburgo, nel tentativo di individuare uno standard minimo unitari applicabile in tema di spazio personale dei detenuti in una cella collettiva ha riferimento alla superficie calpestabile (floor space) di almeno tre metri quadrat detenuto, tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente fra gli arredi (C EDU, 6/11/2009, COGNOME c. Italia; Corte EDU, 10/01/2012, COGNOME e altri c. Russia; Corte EDU, Grande Camera, 20/10/2016, Muri e c. Croazia).
Si afferma, pertanto, che la presenza di una spazio inferiore a tale soglia minima c una forte presunzione, sia pure relativa e confutabile dallo Stato interessato, c condizioni di detenzione integrino un trattamento degradante.
Tale presunzione iuris tantum è, infatti, superabile allorché sia dimostrata l’esis di fattori che, cumulativamente, siano in grado di compensare la mancanza di spazi vitale, ovvero: a) la brevità, l’occasionalità e la modesta entità della riduzion spazio personale; b) la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di atti all’esterno della cella; c) l’adeguatezza della struttura, in assenza di altri as
aggravino le condizioni generali di detenzione del ricorrente (Corte EDU, Grande Camera, 20/10/2016, Muri c. Croazia).
I criteri affermati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo sono recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte che, da ultimo, pronunciandosi a Sezio Unite in tema di rimedi risarcitori nei confronti dei detenuti o internati, previsti d 35-ter ord. pen., ha affermato che nella valutazione dello spazio individuale minimo tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra n violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertan vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a
Il Supremo Consesso ha, inoltre, affermato che i fattori compensativi, costituiti d breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla suffic libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attiv se congiuntamente ricorrenti, possono permettere di superare la presunzione d violazione dell’art. 3 della CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva d spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati, mentre, nel caso di disponibi di uno spazio individuale compreso fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti compensativi concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo, alla valutazi unitaria delle condizioni complessive di detenzione (Sez. U, n. 6551 del 24/09/202 dep. 2021, Rv. 280433 – 02).
Coerentemente con i canoni di giudizio elaborati dalla Corte EDU, la giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, escluso il “serio pericolo” che la persona ricercata sottoposta a trattamenti inumani o degradanti qualora dallo Stato richiedente ven garantito al detenuto uno spazio non inferiore a tre metri quadrati in regime cd. “chiu ovvero uno spazio inferiore, ma in presenza di un regime cd. “semiaperto”, ossia presenza di circostanze che consentano di beneficiare di una maggiore libertà movimento durante il giorno, rendendo in tal modo possibile il libero accesso alla l naturale e all’aria, sì da compensare l’insufficiente assegnazione di spazio.
In tale evenienza, infatti, ove sia riservato uno spazio inferiore ai tre metri qu necessario, al fine di escludere o di contenere detto pericolo, che concorrano le segu circostanze: 1) breve durata della detenzione; 2) sufficiente libertà di movimento a fuori della cella con lo svolgimento di adeguate attività; 3) dignitose condi carcerarie (Sez. 2, n. 27661 del 5 I! Consi ‘ere estensore Il Pr NOME COGNOME Depositato in Cenceliedli oggi, – 5-20,5 nte rile 13/07/2021, Zlotea, Rv. 281554; S 6, n. 53031 del 09/11/2017, P., Rv. 271577). 6. La Corte di appello non ha fatto cor
6. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di principi indicati.
Si è fatto riferimento al contenuto delle informazioni acquisite dallo Stato di emissi e si è spiegato, in particolare, come la ricorrente, se consegnata, sarà trattenu
centro di detenzione e arresto preventivo presso l’Ispettorato di polizia della cont
Iasi fino alla verifica della legalità e validità della misura e che, durante il pe custodia in questo centro, la donna sarà ospitata in una stanza di detenzione con
superficie di 10,75 m. dotata di due letti ed esclusa l’area del gruppo sanitario.
Dunque, ha aggiunto la Corte, una cella di oltre 10 metri in cui, nel caso condivisione dello spazio, sarà comunque assicurata una superficie di 5,37 mq. all
ricorrente, esclusa l’area del gruppo sanitario.
Sulla base di tale presupposto, nulla di specifico è stato dedotto sul perché, nel di specie, vi sarebbe il rischio in concreto di un trattamento carcerario degradan
inumano.
7. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagament delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del
ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 6 del 2005.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2025.