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Mandato d’arresto europeo: i limiti al rifiuto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una cittadina rumena contro la sua consegna alla Romania, richiesta tramite mandato d’arresto europeo per traffico di droga. La Corte ha chiarito due punti fondamentali: primo, l’Italia può rifiutare la consegna per un reato commesso in parte sul suo territorio solo se ha già avviato un procedimento penale per gli stessi fatti, manifestando una volontà concreta di esercitare la propria giurisdizione. Secondo, le garanzie fornite dalla Romania sulle condizioni carcerarie, che assicuravano uno spazio personale sufficiente, sono state ritenute idonee a escludere il rischio di trattamenti inumani o degradanti, rendendo legittima la consegna.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato d’arresto europeo: quando l’Italia non può rifiutare la consegna

Il mandato d’arresto europeo (MAE) è uno strumento cruciale per la cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea, basato sul principio del mutuo riconoscimento. Tuttavia, la sua esecuzione non è sempre automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito i confini di due importanti motivi di potenziale rifiuto: la commissione parziale del reato in Italia e il rischio di trattamenti inumani nello Stato richiedente. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una cittadina rumena, residente in Italia, destinataria di un mandato d’arresto europeo emesso dalla Romania. L’accusa era di partecipazione a un’organizzazione criminale finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Secondo l’imputazione provvisoria, la donna avrebbe commercializzato in Romania droga proveniente dall’Italia.

La Corte di Appello di Brescia aveva concesso la consegna, ma la difesa ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su due argomentazioni principali:

1. Violazione di legge per parziale commissione del reato in Italia: La difesa sosteneva che, essendo il reato stato commesso in parte sul territorio italiano, lo Stato italiano avrebbe dovuto esercitare la propria giurisdizione e rifiutare la consegna.
2. Violazione di legge per le condizioni carcerarie in Romania: La ricorrente lamentava l’indeterminatezza delle informazioni fornite dalle autorità rumene sulle future condizioni di detenzione, sostenendo che non fossero sufficienti a escludere il rischio di trattamenti inumani e degradanti, in particolare riguardo allo spazio minimo individuale garantito in cella.

Le questioni legali e il mandato d’arresto europeo

La Corte di Cassazione si è trovata a dover bilanciare due esigenze contrapposte: da un lato, l’efficacia della cooperazione giudiziaria europea incarnata dal MAE; dall’altro, la tutela dei diritti fondamentali della persona richiesta e l’interesse dello Stato italiano a perseguire reati commessi sul proprio territorio.

La giurisdizione italiana sui reati transnazionali

Il primo motivo di ricorso sollevava la questione del cosiddetto ‘rifiuto facoltativo’. La legge italiana (L. 69/2005) prevede che l’autorità giudiziaria possa rifiutare la consegna se il mandato d’arresto europeo riguarda un reato commesso in tutto o in parte in Italia. La difesa interpretava questa norma come un obbligo di accertamento da parte della Corte di Appello. Tuttavia, la giurisprudenza consolidata interpreta questa facoltà in modo restrittivo.

La tutela contro i trattamenti inumani e degradanti

Il secondo motivo toccava un nervo scoperto della cooperazione giudiziaria: la disparità delle condizioni detentive tra gli Stati membri. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (caso Aranyosi e Căldăraru) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha stabilito un test a due fasi per valutare questo rischio. Prima si verifica l’esistenza di un rischio generale e sistemico nello Stato richiedente; poi, si richiedono informazioni specifiche e individualizzate sulle condizioni in cui verrà detenuta la persona da consegnare.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte di Appello.

Sul primo punto, i giudici hanno ribadito che il rifiuto di consegna per un reato commesso in parte in Italia non è automatico. È necessario che esista una ‘situazione oggettiva’ che dimostri la ‘effettiva volontà’ dello Stato italiano di esercitare la propria giurisdizione. Tale volontà si manifesta concretamente con la pendenza di indagini o di un procedimento penale in Italia per gli stessi fatti. Poiché nel caso di specie non risultava alcuna indagine a carico della donna in Italia, l’interesse dello Stato italiano ad affermare la propria giurisdizione è stato ritenuto insussistente.

Sul secondo punto, relativo alle condizioni carcerarie, la Corte ha ritenuto che la Corte di Appello avesse correttamente applicato i principi europei. Le autorità rumene avevano fornito informazioni specifiche: la donna sarebbe stata detenuta in una cella di 10,75 mq con un altro detenuto, escludendo l’area dei servizi igienici. Questo garantiva uno spazio pro capite superiore allo standard minimo di 3 mq di superficie calpestabile, individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU come soglia al di sotto della quale scatta una forte presunzione di trattamento degradante. La Cassazione ha ritenuto tali informazioni sufficienti a escludere un rischio concreto e attuale di violazione dei diritti fondamentali, respingendo le obiezioni della difesa come generiche.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma due principi cardine nella gestione del mandato d’arresto europeo.

1. La giurisdizione italiana non è un ostacolo automatico: L’Italia rinuncia a perseguire un reato commesso in parte sul suo territorio se non ha già attivato la propria macchina giudiziaria. La semplice residenza in Italia dell’indagato o la provenienza della merce illecita dal territorio nazionale non bastano a fondare un rifiuto alla consegna, in assenza di un procedimento penale pendente.

2. Le garanzie sulle condizioni detentive devono essere specifiche, ma non illimitate: Lo Stato che esegue il mandato deve accertarsi che i diritti fondamentali del consegnando siano rispettati. Tuttavia, una volta ricevute rassicurazioni precise e individualizzate dallo Stato richiedente, che appaiono conformi agli standard europei (come lo spazio minimo in cella), il giudice deve procedere alla consegna, in ossequio al principio del mutuo riconoscimento. Non è possibile pretendere garanzie ulteriori o ipotetiche.

Quando può l’Italia rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo per un reato commesso in parte sul suo territorio?
L’Italia può rifiutare la consegna solo quando esiste una situazione oggettiva che dimostra la volontà effettiva dello Stato di affermare la propria giurisdizione, come la pendenza di un’indagine o di un procedimento penale per gli stessi fatti. Un mero interesse potenziale non è sufficiente.

Quale verifica deve compiere il giudice italiano sulle condizioni carcerarie dello Stato richiedente?
Il giudice deve prima verificare se esista un rischio generale e sistemico di trattamenti inumani o degradanti nelle carceri dello Stato richiedente, basandosi su fonti affidabili (es. sentenze della Corte EDU). Se tale rischio sussiste, deve richiedere informazioni specifiche e individualizzate sulle condizioni concrete in cui la persona sarà detenuta per escludere un pericolo reale e attuale.

Le informazioni fornite dallo Stato richiedente sulle dimensioni della cella sono sufficienti a escludere il rischio di trattamenti inumani?
Sì, se le informazioni sono precise e dimostrano il rispetto degli standard minimi individuati dalla giurisprudenza europea. Nel caso specifico, la garanzia di una cella di 10,75 mq per due persone, assicurando quindi uno spazio pro capite superiore alla soglia critica dei 3 mq, è stata ritenuta sufficiente per escludere tale rischio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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