Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30560 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30560 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Genova il 14/06/2005
avverso la sentenza del 09/07/2025 della Corte di appello di Genova visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Genova rifiutava la consegna alle autorità giudiziarie del Belgio di NOME Andrea COGNOME richiesta sulla base di mandato di arresto europeo al fine dell’esecuzione di una pena di anni tre di reclusione per rapina e associazione per delinquere, e disponeva la esecuzione della suddetta pena nello Stato.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lettere b) e c), cod. proc. pen.
La Corte di appello, nel riconoscere la sentenza straniera, ha operato un’automatica trasposizione di tale condanna nell”ordinamento italiano, attribuendo rilievo alle fattispecie di cui agli artt. 416 e 628 cod. pen., senza tuttavia specificare a quale comma dell’art. 628 cod. pen. ricondurre il fatto e senza motivare sul punto.
Questa omissione determina gravi conseguenze pregiudizievoli per il ricorrente: si dà solo atto nella sentenza belga che è stato utilizzato uno spray al peperoncino senza alcuna prova che questo fosse nella disponibilità del ricorrente e che fosse stato effettivamente da lui utilizzato; la bomboletta non è stata mai rinvenuta; la sentenza belga non opera alcuna distinzione o ricostruzione individualizzante dell’uso di strumenti atti ad offendere.
La sentenza impugnata ha del tutto omesso di pronunciarsi sull’ipotesi aggravata del terzo comma dell’art. 628 cod. pen., ovvero su un profilo essenziale della fattispecie oggetto di riconoscimento.
La fattispecie, pertanto, allo stato dovrebbe essere ricondotta alla rapina non aggravata, con l’effetto di non rientrare tra i reati ostativi e ottenere un pi favorevole trattamento esecutivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza va annullata per motivi diversi da quelli indicati dal ricorrente.
Nelle more della procedura è intervenuta la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia del 4 settembre 2025, C-305/22, C.J., che ha affermato importanti principi per l’interpretazione dell’ipotesi di rifiuto facoltativo de consegna prevista dall’art. 4, punto 6), della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo (“L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo: 6) se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno”).
2.1. Va rammentato che la decisione quadro 2002/584/GAI non contiene .——-Th indicazioni in ordine alla procedura da seguire in tale contesto per farsi luog
all’esecuzione della pena o della misura di sicurezza. La decisione quadro 2008/909/GAI, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, ha successivamente precisato (art. 25) che tale ultima decisione quadro si applica, mutatis mutandis, nella misura in cui le sue disposizioni sono compatibili con quelle della decisione quadro 2002/584, all’esecuzione delle pene nel caso in cui uno Stato membro si impegni ad eseguire la pena nei casi rientranti nell’articolo 4, punto 6), della stessa decisione quadro.
Ciò nonostante, risultava poco chiaro come le due decisioni quadro venissero a coordinarsi tra loro ed in particolare in quale misura la procedura prevista dalla decisione quadro 2008/909/GAI (che si fonda essenzialmente sulla scelta dello Stato di condanna di far eseguire all’estero una propria sentenza di condanna) fosse compatibile con il sistema del mandato di arresto europeo, ovvero con il motivo di rifiuto ex art. 4, punto 6), della decisione quadro 2002/584/GAI e soprattutto con i tempi molto contenuti del procedimento di consegna.
La Corte di giustizia aveva in passato fornito uno stringente criterio interpretativo dell’art. 25 della decisione quadro 2008/909/GAI, precisando che nessuna disposizione di quest’ultima potesse “pregiudicare la portata o le modalità di applicazione” del motivo di non esecuzione facoltativa di cui all’art. 4, punto 6), della decisione quadro 2002/584/GAI (sentenza del 13/12/2017, C-514/17, NOME COGNOME, par. 48) e valorizzando la finalità di detto motivo di “accordare una speciale importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata” (sentenza del 21/10/2010, C-306/09. I.B., par. 52).
La Corte di giustizia aveva inoltre precisato che il rifiuto di eseguire il mandato d’arresto europeo di cui all’art. 4, punto 6), cit. presuppone un “vero e proprio impegno” da parte dello Stato membro di esecuzione ad eseguire la pena privativa della libertà irrogata nei confronti della persona ricercata, con la conseguenza che qualunque rifiuto di dar seguito ad un mandato di arresto europeo deve essere preceduto dalla verifica, da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, della possibilità di “eseguire realmente” tale pena privativa della libertà conformemente al suo diritto interno (sentenza del 13/12/2017, C-514/17, COGNOME–COGNOME, par. 35).
Queste indicazioni esegetiche avevano portato le autorità giudiziarie italiane a ritenere che la verifica sulla “effettiva” eseguibilità della pena nello Stato italian non richiedesse l’acquisizione del consenso dello Stato di emissione o del certificato previsti dalla decisione quadro 2008/909/GAI.
L’originario testo della legge n. 69 del 2005, in particolare, all’art. 6, comma 3, stabiliva quale presupposto necessario per l’esecuzione in Italia della consegna di tipo esecutivo la allegazione al m.a.e. di una “copia della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta stessa”. Questa condizione – per quanto estranea alle disposizioni della decisione quadro 2002/584 e pertanto di recente abrogata d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 – aveva consentito alle autorità giudiziarie italiane, nel rispetto dei tempi imposti dalla procedura di consegna, di procedere autonomamente al riconoscimento della sentenza di condanna e all’esecuzione della pena.
2.2. Con la sentenza in premessa indicata, la Grande Sezione della Corte di giustizia, con riferimento ad un mandato di arresto europeo rivolto all’Italia, ha fornito una diversa interpretazione dell’art. 25 dalla decisione quadro 2008/909/GAI e dei rapporti tra le due decisioni quadro, conferendo più ampia rilevanza all’impianto della decisione quadro 2008/909 (e quindi alle condizioni ivi previste per farsi luogo alla cooperazione per l’esecuzione di pene detentive) rispetto al fondamento del motivo di rifiuto di cui all’art. 4, punto 6), cit. reinserimento sociale della persona ricercata) e al meccanismo stesso del mandato di arresto europeo, ancorato ad una serrata sequenza procedurale scandita da tempi certi e contenuti ben determinati.
Secondo la Corte, infatti, in presenza di un m.a.e. esecutivo e della condizione di consegnando di cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, “la presa in carico” da parte di quest’ultimo “dell’esecuzione della pena irrogata con la sentenza di condanna pronunciata nello Stato di emissione e che ha giustificato l’emissione del mandato d’arresto europeo è subordinata al consenso di tale Stato di emissione, conformemente alle norme previste dalla decisione quadro 2008/909” (par. 67).
Consenso che può essere espresso dallo Stato di condanna all’esito delle consultazioni tra gli Stati interessati previste dall’art. 4 della decisione quadr 2008/909/GAI e che “si concretizza nella trasmissione della sentenza di condanna e del certificato il cui modello figura all’allegato I della decisione quadro 2008/909, posto che tali documenti, in particolare il certificato, contengono indicazioni essenziali per consentire l’esecuzione effettiva della pena irrogata” (par. 83).
La Corte ha altresì precisato che spetta allo Stato di condanna assicurare che “la prerogativa conferitagli dalla decisione quadro 2008/909 di non trasmettere allo Stato di esecuzione la sentenza di condanna pronunciata da uno dei suoi organi giurisdizionali nonché il certificato sia esercitata in modo da consentire una cooperazione efficace tra le autorità competenti degli Stati membri in materia penale e da garantire che il funzionamento del mandato d’arresto europeo e il reciproco riconoscimento delle sentenze in materia penale ai fini della lor
esecuzione in un altro Stato membro non siano paralizzati” (par. 71); e che “l’autorità competente dello Stato di emissione può rifiutare una siffatta trasmissione se ritiene, sulla base di circostanze oggettive, che la pena non sarà effettivamente eseguita nello Stato di esecuzione o che un’esecuzione di tale pena in tale Stato non contribuirà all’obiettivo di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena privativa della libertà personale alla quale quest’ultima è stata condannata” o “sulla base di considerazioni relative alla politica penale propria dello Stato di emissione” (par. 72) e “ciò anche quando considerazioni relative al reinserimento sociale della persona ricercata potrebbero deporre a favore di un’esecuzione di tale pena nel territorio di un altro Stato membro” (par. 63).
A tal fine ha osservato che, pur perseguendo l’ipotesi di rifiuto di cui all’art. 4, punto 6), della decisione quadro 2002/584 l’obiettivo di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena a cui essa è stata condannata, tale esigenza non ha carattere assoluto, dovendo tale obiettivo essere conciliato, in particolare, con la regola fondamentale enunciata all’art. 1, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI, secondo la quale, in linea di principio, gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo (par. 62). Consentire l’esecuzione unilaterale della sentenza, senza il consenso dello Stato di condanna, secondo la Corte, “potrebbe creare un rischio elevato di impunità di persone che tentano di sfuggire alla giustizia dopo essere state condannate in uno Stato membro e metterebbe, in definitiva, a repentaglio il funzionamento efficace del sistema semplificato di consegna tra gli Stati membri istituito dalla decisione quadro 2002/584” (par. 82).
A fronte del rifiuto dello Stato di condanna di trasmettere i suddetti atti, “al fine di evitare l’impunità della persona ricercata, un mandato d’arresto europeo deve essere eseguito” (par. 70).
La Corte di giustizia ha quindi inteso affermare, privilegiando l’impianto della decisione quadro 2008/909/GAI (che ricalca il meccanismo di cooperazione giudiziaria della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1983 sul trasferimento delle persone condannate, fondato sull’accordo” tra gli Stati interessati), che rientra nella potestà dello Stato che ha emesso la condanna stabilire se la stessa possa essere eseguita in altro Stato, pur dovendo la relativa decisione essere assunta nel rispetto della funzionalità del meccanismo del mandato di arresto europeo (quindi in tempi evidentemente contenuti e nell’ambito di un proficuo dialogo tra le autorità interessate) e delle finalità di favorire il reinserimento social della persona condannata; e che non è consentito allo Stato di esecuzione di “unilateralmente derogare al principio dell’esecuzione del mandato d’arrest
europeo, a titolo dell’attuazione di tale motivo di non esecuzione facoltativa, senza che siano soddisfatte le condizioni per il riconoscimento e l’esecuzione di una sentenza di condanna previste dalla decisione quadro 2008/909” (par. 66).
Il sistema disegnato dalla Corte di giustizia si incentra, in definitiva, sulla . decisione che deve essere assunta nello Stato di emissione in ordine all’esecuzione della pena. Decisione che, tuttavia, non trova nella decisione quadro 2008/909/GAI una puntuale regolamentazione in ordine all’an e al quando.
L’art. 4, punto 5), della citata decisione quadro prevede soltanto che lo Stato di esecuzione possa, di propria iniziativa, chiedere allo Stato di emissione di trasmettere la sentenza corredata del certificato, ma che tale richiesta non è vincolante per detto Stato.
Lo Stato di emissione rimane dunque l’unico attore che, disponendo della competenza sovrana sulla potestà punitiva, conserva il margine discrezionale per valutare le richieste presentate dallo Stato di esecuzione (o dalla persona condannata).
Il pieno potere decisionale dello Stato di emissione sarebbe testimoniato anche dall’art. 13 della decisione quadro 2008/909/GAI, secondo cui, fintanto che l’esecuzione della pena nello Stato di esecuzione non sia iniziata, lo Stato di emissione può ritirare il certificato da detto Stato indicandone i motivi.
E’ appena di caso di osservare che, per equilibrare l’esercizio di tale discrezionalità nei rapporti tra Stati con la tutela dei diritti fondamentali del persona, ad essa dovrebbe fare da contraltare la presenza nello Stato di condanna di rimedi giurisdizionali volti ad assicurare alle persone condannate che la decisione di dissenso sia debitamente motivata utilizzando i parametri selettivi indicati dalla Corte di giustizia.
La Corte di giustizia ha anche aggiunto che, laddove lo Stato di condanna non dia il consenso all’esecuzione e, ciò nonostante, lo Stato di esecuzione ritenga di poter riconoscere la sentenza di condanna e porla in esecuzione (come nel caso esaminato dalla Corte di giustizia in cui le Autorità giudiziarie italiane avevano ottenuto copia della sentenza di condanna, conformemente alla procedura dell’epoca prevista dalla legge n. 69 del 2005), rifiutando la consegna, si è in presenza di una decisione di rifiuto “non conforme al diritto dell’Unione,” che non può ostare, in quanto tale, a che l’autorità giudiziaria emittente mantenga in essere tale mandato d’arresto (par. 77). Con la conseguenza che resta nelle prerogative dello Stato di emissione dar seguito all’esecuzione, purché sia tenuto in conto l’intero periodo di tempo in cui tale persona è rimasta in custodia presso lo Stato di esecuzione, cosicché detta persona non debba scontare, in definitiva, una custodia la cui durata complessiva – tanto nello Stato membro di esecuzione
quanto nello Stato membro di emissione – superi la durata della pena privativa della libertà a cui è stata condannata nello Stato membro di emissione (cfr. par. 86).
Alla luce delle predette coordinate esegetiche va esaminata la sentenza impugnata.
E’ appena il caso di rammentare che la Corte di giustizia dell’Unione europea è competente all’interpretazione in via pregiudiziale degli atti normativi emanati dagli organismi dell’Unione e le relative sentenze interpretative hanno efficacia “erga omnes”, mirando ad assicurare l’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione europea. Esse, in quanto meramente “dichiarative”, operano di principio ex tunc, nella misura in cui chiariscono e precisano, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore: con la conseguenza che la norma così interpretata può, e deve, essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa” (CGUE, 27/03/1980, Denkavit italiana, 61/79, par. 16; da ultimo, tra tante, 20/04/2023, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, C-348/22, par. 73; 22/02/2022, RS, C-430/21, par. 77; solo in via eccezionale, l’art. 264, par. 2, TFUE consente alla stessa Corte di limitare l’efficacia retroattiva delle proprie sentenze).
5.1. Nel caso in esame, va osservato che la Corte di appello ha proceduto al rifiuto della consegna ai sensi dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 (norma con la quale l’ordinamento nazionale ha dato attuazione all’art. 4, punto 6), della decisione quadro 2002/584/GAI), disponendo il riconoscimento della sentenza di condanna ai fini della esecuzione in Italia della relativa pena detentiva.
La procedura. seguita dalla Corte di appello, in conformità all’orientamento costantemente accolto dalla giurisprudenza italiana nella interpretazione della normativa eurounitaria, non ha previsto l’interlocuzione con lo Stato di emissione del nn.a.e. al fine di ottenere il suo consenso alla esecuzione in Italia della pena, avendo soltanto rivolto a quest’ultimo la richiesta di informazioni integrative ed in particolare la trasmissione della sentenza di condanna.
Come si è osservato in precedenza, secondo la Corte di giustizia la mera trasmissione della sentenza di condanna senza il certificato non costituisce un implicito consenso dello Stato di emissione all’esecuzione della pena.
E’ infatti principio accolto dalla normativa pattizia ed europea in tema di cooperazione giudiziaria in materia penale che la richiesta rivolta ad uno Stato al fine di ottenere la trasmissione di una sentenza di condanna emessa dalle autorità giudiziarie di detto Stato sia accompagnata dalla indicazione delle finalità di de a
acquisizione (così, l’art. 4 del Protocollo addizionale del 1978 alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 1959; cfr., in tal senso, art. 730 cod. proc. pen.) e che la disponibilità (anche in via ufficiale) di una sentenza di condanna non consente la unilaterale messa in esecuzione della stessa (cfr. l’art. 3, par. 3, decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio dell’U.E. del 24 luglio 2008 relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale).
5.2. Pertanto, alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia, l sentenza impugnata deve essere annullata.
Si è in presenza, infatti, di un vizio rilevabile di ufficio.
Come già affermato da questa Corte in tema di riconoscimento per l’esecuzione in Italia della sentenza di condanna emessa in altro Stato membro dell’Unione Europea, è rilevabile d’ufficio la violazione del principio secondo cui lo Stato di esecuzione non può dare alla sentenza straniera un’esecuzione parziale o diversa da quella concordata in via generale, trattandosi di una regola inderogabile, posta a tutela del principio di sovranità dello Stato di condanna, che impone l’attivazione del meccanismo di consultazione tra lo Stato di emissione e quello di esecuzione, al fine di pervenire ad un accordo sull’esecuzione della pena (Sez. 6, n. 47445 del 19/11/2019, COGNOME, Rv. 277565 – 02).
A fortiori, tale principio va applicato là dove difetti a monte il consenso dello Stato di condanna all’esecuzione della pena nello Stato di esecuzione del m.a.e., trattandosi di decisione di rifiuto della consegna non conforme al diritto dell’Unione.
5.3. In sede di rinvio, la Corte di appello dovrà attenersi alle regole procedurali indicate dalla Corte di giustizia ed in particolare:
richiedere allo Stato di emissione il consenso all’esecuzione della pena, ovvero la trasmissione del certificato, rappresentando che ricorrono i presupposti per farsi luogo all’applicazione del rifiuto facoltativo di cui all’art. 4, punto 6), de decisione quadro 2002/584;
prospettare allo Stato di emissione già in questa sede (onde evitare una successiva consultazione che finirebbe per allungare i tempi della procedura) la pena da eseguire in Italia, se diversa da quella inflitta dalla sentenza di condanna (alla luce del potere di adattamento e della possibilità di esecuzione parziale previsti dalla decisione quadro 2008/909);
nel caso in cui lo Stato di emissione non dia il consenso all’esecuzione in Italia della pena ovvero non trasmetta il certificato, disporre la consegna.
E’ appena il caso di aggiungere che la completezza della prospettazione allo Stato di emissione delle ragioni che giustificano l’esecuzione in Italia della pena darà modo alle competenti autorità dello Stato emittente di poter valutar
l’opportunità di aderire alla richiesta di consenso, specie per quel che attiene al profilo della intensità di tutela del diritto fondamentale ad una esecuzione della pena governata dalla finalità del reinserimento sociale della persona condannata presso le strutture penitenziarie dello Stato membro che meglio possa garantirne . il soddisfacimento.
Restano infine da chiarire, per inciso, alcuni aspetti che riguardano gli effetti derivanti dalla applicazione della sentenza della Corte di giustizia.
6.1. La messa in atto della procedura di interlocuzione con lo Stato di emissione viene a costituire una procedura incidentale che si innesta nel procedimento di consegna che non trova, come si è già detto, una sua regolamentazione dal punto di vista temporale nelle decisioni quadro 2002/584/GAI e 2008/909/GAI.
La richiesta del consenso allo Stato di emissione non può essere infatti assimilata ad una mera richiesta di “informazioni complementari” ex art. 15 della decisione quadro 2002/584/GAI (dando luogo piuttosto ad un procedimento più complesso nello Stato di emissione) e la procedura, disegnata dalla decisione quadro 2008/909/GAI, regolamenta soltanto la decisione che deve assumere lo Stato di esecuzione.
La Corte di giustizia, a fronte di tale vuoto normativo, ha solo potuto invocare l’applicazione dell’obbligo di leale cooperazione tra gli Stati membri, sancito all’articolo 4, par. 3, TUE al fine di garantire che il funzionamento del mandato d’arresto europeo non sia paralizzato (par. 68).
Ne consegue che la necessità di acquisire il consenso dello Stato di emissione comporta l’impossibilità o, quanto meno, una particolare difficoltà di rispettare il termine complessivo indicato dalla decisione quadro 2002/584/GAI per la decisione sulla consegna.
In tale prospettiva non può venire in applicazione la normativa dettata dall’art. 17, commi 2 e 2-bis, della legge n. 69 del 2005 (in particolare per il termine della proroga), che non è coordinata con la disciplina della decisione quadro 2008/909/GAI.
Onde evitare lo stallo della procedura, andrà comunque stabilito dalla corte di appello un congruo termine per la ricezione di quanto richiesto allo Stato di emissione.
Il ricorso a questa modalità consentirà di dar seguito al meccanismo informativo previsto dall’art. 17, par. 7, decisione quadro 2002/584/GAI, che trova attuazione nel comma 2 dell’art. 22-bis legge n. 69 del 2005.
Inoltre, laddove sia disposta una misura cautelare coercitiva, la necessità ancorare la privazione della libertà personale a precisi limiti temporali r
doverosa l’applicazione da parte del giudice nazionale del regime di controllo sulla durata della custodia cautelare, dettato dai commi 3 e 4 dell’art. 22-bis legge cit.
Va infine osservato che è auspicabile che l’Unione europea disciplini questo segmento della procedura di consegna o, quantomeno, si diffonda tra gli Stati la prassi di esprimere sin dal momento della emissione del mandato di arresto europeo il consenso alla esecuzione nello Stato chiamato a pronunciarsi sulla consegna esecutiva.
6.2. Va altresì chiarita quale sia la sorte delle procedure in cui le autorità giudiziarie italiane, nel dar seguito alla diversa interpretazione delle norme eurounitarie, hanno in passato rifiutato la consegna e disposto il riconoscimento della sentenza di condanna ai fini della esecuzione in Italia della relativa pena detentiva, senza il consenso dello Stato di emissione.
La soluzione indicata dalla Corte di giustizia, volta a tutelare le prerogative dello Stato di emissione, mantenendo in essere la potestà punitiva per la pena residua rispetto a quella già eseguita nello Stato di esecuzione, deve ritenersi riferita alla ipotesi esaminata in quella sede, in cui lo Stato di emissione si era opposto formalmente all’esecuzione della pena prima della decisione di rifiuto e di riconoscimento della sentenza di condanna.
Diverso appare invece il caso in cui non sia stato chiesto allo Stato di emissione di dar seguito alla procedura prevista dalla decisione quadro 909/2008/GAI (accordando il consenso all’esecuzione e trasmettendo il certificato). Nell’ipotesi in cui detto Stato, dopo essere stato informato dalle autorità dello Stato di esecuzione della decisione di rifiuto della consegna e di riconoscimento della sentenza di condanna ai fini della esecuzione della relativa pena detentiva (art. 22 della decisione quadro 2002/584), non si sia opposto alla disposta esecuzione della pena e la stessa esecuzione abbia avuto inizio, deve ritenersi preclusa la possibilità di far valere nei confronti dell’Italia – attraverso mantenimento dell’originario m.a.e. – la richiesta di consegna in vista della eventuale esecuzione della pena residua.
Costituisce invero regola pacificamente riconosciuta dalla comunità internazionale (art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati) che le norme pattizie vadano interpretate in buona fede, tenendo conto di qualsiasi prassi successivamente seguita nell’applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti sull’interpretazione del medesimo.
Come ha chiarito inoltre la Corte di giustizia, con la richiamata sentenza del 4 settembre 2025, gli Stati membri, nel dar seguito agli strumenti di cooperazione giudiziaria, sono tenuti a rispettare l’obbligo di leale cooperazione sopra citato. Il che implica che essi dialoghino tra di loro, assistendosi reciprocamente
nell’adempimento degli strumenti normativi di riferimento e creando così un clima di reciproca fiducia e collaborazione.
Ne consegue che le prassi e i comportamenti tenuti dallo Stato di emissione, che hanno giustificato in passato la interpretazione seguita dalle autorità italiane, rendono operante tra le parti il principio dettato dall’art. 22 della decisione quadro 2008/909/GAI, secondo cui “lo Stato di emissione non procede all’esecuzione della pena una volta che l’esecuzione della medesima sia iniziata nello Stato di esecuzione”, fatto salvo il caso di evasione.
L’inizio della esecuzione della pena costituisce, invero, il momento in cui lo Stato di emissione non ha più facoltà di opporsi al trasferimento della esecuzione.
6.3. Nell’affrontare i profili procedurali del motivo di rifiuto previsto dall’a 4, punto 6), della decisione quadro 2002/584/GAI, la Corte di giustizia ha anche esaminato la parallela ipotesi prevista per il m.a.e. processuale dall’art. 5, punto 3), della stessa decisione quadro (“Se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale è cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna può essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente”).
A tal riguardo ha affermato che:
l’art. 25 della decisione quadro 2008/909/GAI si applica anche all’ipotesi di rifiuto di cui all’art. 5, punto 3), cit. (par. 49);
in tale ultima ipotesi l’esecuzione della pena è disciplinata dalla decisione quadro 2008/909/GAI e quindi lo Stato di esecuzione, per eseguire la pena o la misura di sicurezza privative della libertà pronunciate nello Stato membro di emissione nei confronti della persona interessata, deve rispettare le norme pertinenti della predetta decisione quadro (par. 50).
La Corte di giustizia non ha tuttavia specificato come in concreto venga a realizzarsi il coordinamento tra le due procedure.
Se la condizione del reinvio di cui all’art. 5, punto 3) cit., viene apposta, come sovente accade, unilateralmente dalle autorità giudiziarie italiane con la decisione di consegna, il consenso all’esecuzione della pena da parte dello Stato di emissione – che secondo la Corte di giustizia resta nelle prerogative dello Stato di condanna – può essere espresso, così inverando quella condizione, al momento in cui venga emessa a carico della persona consegnata la sentenza di condanna, con l’innesto quindi solo da tale momento della procedura disegnata dalla decisione quadro 2008/909/GAI, anche per la successiva valutazione (a quel punto definitiva, in presenza della sentenza di condanna) da parte dello Stato di esecuzione delle condizioni per farsi luogo al trasferimento della persona condannata.
1
Non è da escludersi – e tal fine saranno rilevanti le prassi che si instaureranno con i singoli Stati onde evitare una inutile diluizione dei tempi della procedura di
consegna – che lo Stato di emissione fornisca il consenso all’esecuzione in via preventiva, con l’accettazione della condizione apposta alla consegna.
7. Venendo ai motivi di ricorso, va osservato va osservato che, per quanto le questioni poste dal ricorrente siano assorbite dal disposto annullamento, esse sono
in ogni caso prive di fondamento.
La sentenza impugnata si è limitata a qualificare i fatti per i quali il ricorrente
è stato condannato ai sensi degli artt. 628 e 416 cod. pen., senza alcun espresso riferimento, neppure in motivazione, ad ipotesi di reato ostative di cui all’art. 4-
bis ord. pen.
Va a tal riguardo rammentato il principio in tema di concessione di misure alternative alla detenzione, secondo cui dal dispositivo della decisione di
riconoscimento di sentenza straniera non si traggano tutte le necessarie specificazioni circa l’esistenza di circostanze aggravanti ostative alla misura, il
giudice è legittimato a fare riferimento alla motivazione di detto provvedimento e, ove questa faccia integrale rinvio alla sentenza straniera, al testo di quest’ultima (Sez. 1, n. 49208 del 28/09/2016, COGNOME, Rv. 268660 – 01).
Pertanto, il timore del ricorrente di un’interpretazione “creativa” in malam partem in sede esecutiva non trova alcun fondamento.
Piuttosto, il ricorrente mira a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti definitivamente accertati in Belgio, che non è consentita dalla legge n. 69 del 2005.
La sentenza impugnata, dunque, deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova per un nuovo giudizio che dovrà tener conto dei principi sopra enunciati.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.
Così deciso il 0: *9/ 125.