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Mandato arresto europeo: rifiuto per reato in Italia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5935/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro l’esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall’Austria per il reato di truffa. La ricorrente sosteneva che, essendo parte del reato avvenuta in Italia, si dovesse applicare il rifiuto facoltativo alla consegna. La Corte ha chiarito che tale rifiuto è possibile solo in presenza di un’effettiva volontà dello Stato italiano di esercitare la propria giurisdizione, dimostrata da indagini in corso, e non per un mero interesse potenziale. Ha inoltre ribadito che, dopo le riforme del 2021, il mandato di arresto europeo è un atto autosufficiente e non necessita dell’allegazione del titolo cautelare. Infine, la tutela della vita familiare è stata bilanciata con la condizione che la persona, in caso di condanna, sconti la pena in Italia.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato di Arresto Europeo: Rifiuto per Reato in Italia

Il mandato di arresto europeo (MAE) rappresenta uno degli strumenti più efficaci di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea, basato sul principio della reciproca fiducia tra gli Stati membri. Tuttavia, la sua esecuzione può sollevare complesse questioni giuridiche, specialmente quando il reato contestato ha legami con il territorio italiano. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5935 del 2024, è tornata a pronunciarsi sui limiti e le condizioni per rifiutare la consegna di una persona richiesta da un altro Stato.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una cittadina di origine rumena, da anni residente e integrata in Italia, con una famiglia e due figli. L’autorità giudiziaria austriaca emetteva nei suoi confronti un mandato di arresto europeo per un presunto reato di truffa, commesso in un arco temporale di circa un anno.

La Corte di Appello di Bologna autorizzava la consegna della donna all’Austria. Contro questa decisione, la difesa presentava ricorso in Cassazione, basando le proprie argomentazioni su quattro motivi principali volti a impedire il trasferimento.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa della ricorrente ha articolato il ricorso su quattro punti fondamentali:

1. Giurisdizione Italiana: Si sosteneva che parte della condotta illecita, in particolare la ricezione dei pagamenti tramite bonifici, fosse avvenuta in Italia. Di conseguenza, la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare la possibilità di opporre il rifiuto facoltativo alla consegna previsto dall’art. 18-bis della legge n. 69/2005.
2. Mancata Acquisizione del Titolo Cautelare: Il ricorso lamentava la violazione di norme fondamentali (Carta UE e CEDU) per non aver acquisito l’ordinanza cautelare alla base del MAE. Secondo la difesa, tale documento avrebbe permesso di verificare con esattezza il luogo di commissione del reato e la competenza dell’autorità austriaca.
3. Informazioni Incomplete sulla Pena: Il mandato di arresto europeo indicava solo la pena massima prevista per il reato (cinque anni), ma non quella minima, violando, secondo la ricorrente, l’art. 6 della legge n. 69/2005.
4. Tutela della Vita Familiare: Infine, si evidenziava il pregiudizio che la consegna avrebbe causato alla vita familiare della donna, sposata, residente stabilmente in Italia e madre di due figli minori.

L’Analisi della Corte sul mandato di arresto europeo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi sollevati con argomentazioni precise che chiariscono l’attuale orientamento giurisprudenziale in materia.

Il Rifiuto Facoltativo per Reati Commessi in Italia

Riguardo al primo motivo, la Corte ha sottolineato un principio consolidato: per attivare il motivo di rifiuto facoltativo previsto dall’art. 18-bis, non è sufficiente che il reato sia stato parzialmente commesso in Italia. È necessaria la prova di una “effettiva volontà dello Stato di affermare la propria giurisdizione”. Tale volontà deve manifestarsi attraverso atti concreti, come l’esistenza di indagini preliminari in corso in Italia per gli stessi fatti. Un semplice e potenziale interesse dell’ordinamento italiano non basta a paralizzare il meccanismo di cooperazione europea.

L’Autosufficienza del Mandato di Arresto Europeo

Sul secondo punto, i giudici hanno chiarito che, a seguito delle modifiche legislative introdotte dal D.Lgs. n. 10 del 2021, la norma che imponeva di allegare il titolo cautelare al MAE è stata abrogata. Oggi, il mandato di arresto europeo è un atto autosufficiente. La Corte italiana non ha più il compito di verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in ossequio al principio di reciproca fiducia che governa i rapporti tra le autorità giudiziarie dell’Unione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto manifestamente infondati anche gli altri due motivi. Per quanto riguarda l’indicazione della pena, la legge italiana e la Decisione Quadro europea richiedono solo la specificazione della pena massima, che nel caso di specie (cinque anni) era ampiamente superiore al limite minimo previsto per la consegna. Non vi è alcun obbligo di indicare anche la pena minima.

Infine, sul fronte della tutela della vita familiare, la Cassazione ha osservato che la Corte di Appello aveva correttamente bilanciato gli interessi in gioco. Pur autorizzando la consegna, aveva posto una condizione essenziale ai sensi dell’art. 19 della legge n. 69/2005: che la ricorrente, in caso di condanna, fosse rinviata in Italia per scontare la pena. Questa condizione è stata ritenuta sufficiente a tutelare i suoi legami familiari e il suo radicamento sociale nel territorio italiano.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce la solidità del sistema del mandato di arresto europeo e la centralità del principio di reciproca fiducia. Le possibilità di rifiutare la consegna sono circoscritte a ipotesi ben definite e devono essere supportate da elementi concreti. La mera affermazione che un reato sia stato parzialmente commesso in Italia non è sufficiente se non è seguita da un’azione concreta dell’autorità giudiziaria italiana. Allo stesso tempo, la decisione conferma che i diritti fondamentali della persona, come quello alla vita familiare, vengono presi in considerazione e bilanciati attraverso strumenti specifici, come la possibilità di scontare la pena nel proprio Paese di residenza.

È possibile rifiutare un mandato di arresto europeo se parte del reato è stata commessa in Italia?
Sì, è una facoltà prevista dalla legge (art. 18-bis, l. 69/2005), ma la Corte di Cassazione chiarisce che non è sufficiente la mera circostanza che il fatto sia avvenuto in parte in Italia. È necessario che vi sia una situazione oggettiva, come la pendenza di un procedimento penale per gli stessi fatti, che dimostri la volontà effettiva dello Stato italiano di esercitare la propria giurisdizione.

È necessario allegare l’ordinanza di custodia cautelare al mandato di arresto europeo?
No. A seguito delle modifiche normative del 2021 (d.lgs. n. 10/2021), il mandato di arresto europeo è considerato un provvedimento autosufficiente. L’autorità giudiziaria italiana non deve più verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o la documentazione cautelare sottostante, basandosi sul principio di reciproca fiducia tra Stati membri.

La tutela della vita familiare può impedire l’esecuzione di un mandato di arresto europeo?
La tutela della vita familiare è un diritto fondamentale che deve essere considerato, ma non impedisce automaticamente la consegna. La legge prevede un bilanciamento: la Corte può disporre la consegna a condizione che la persona, dopo il processo, venga rinviata in Italia per scontare l’eventuale pena. Questa soluzione, adottata nel caso di specie, è ritenuta idonea a salvaguardare i legami familiari e sociali della persona nel suo Stato di residenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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