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Mandato ad impugnare: nullo se anteriore alla sentenza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per guida in stato di ebbrezza. Il motivo risiede nel fatto che il mandato ad impugnare, conferito al difensore per l’appello, era stato rilasciato quasi due anni prima dell’emissione della sentenza di primo grado. Tale circostanza viola le nuove disposizioni della Riforma Cartabia, che per l’imputato assente esigono un mandato successivo alla sentenza, al fine di garantire una volontà di impugnazione consapevole e attuale.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato ad Impugnare: la Cassazione Sancisce la Nullità se Anteriore alla Sentenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia processuale penale, reso ancora più stringente dalla Riforma Cartabia: la validità del mandato ad impugnare è strettamente legata alla sua temporalità rispetto alla sentenza che si intende contestare. In particolare, quando l’imputato è assente, il mandato deve essere necessariamente successivo al provvedimento, pena l’inammissibilità del gravame. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna in primo grado per il reato previsto dall’art. 186 del Codice della Strada (guida in stato di ebbrezza). Il difensore dell’imputato proponeva appello, ma la Corte d’Appello di Bologna dichiarava l’impugnazione inammissibile.

Contro questa decisione, la difesa ricorreva in Cassazione, contestando le ragioni dell’inammissibilità indicate dai giudici di secondo grado, tra cui la presunta tardività e la mancanza di una specifica procura. Tuttavia, l’esame della Suprema Corte si è concentrato su un vizio ancora più radicale e assorbente.

L’Impugnazione e il Mandato ad Impugnare Antecedente

Il fulcro della questione risiede in un dettaglio temporale decisivo. La Corte di Cassazione ha rilevato che il mandato ad impugnare l’appello era stato rilasciato dall’imputato (dichiarato assente nel processo) in data 18 febbraio 2021. La sentenza di primo grado che si intendeva appellare, invece, era stata emessa molto tempo dopo, il 13 febbraio 2023.

Questo scostamento temporale di quasi due anni tra il conferimento della procura e la pubblicazione della sentenza è stato ritenuto fatale per la validità dell’appello. La Corte ha ritenuto che un mandato così risalente nel tempo non potesse soddisfare i requisiti richiesti dalla normativa vigente.

Le Motivazioni della Cassazione: L’Impatto della Riforma Cartabia

La decisione della Suprema Corte si fonda sull’interpretazione dell’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale, come introdotto dalla c.d. Riforma Cartabia. Questa norma stabilisce che, nel caso di un imputato giudicato in assenza, l’atto di impugnazione del difensore deve essere accompagnato da uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza.

Il legislatore ha introdotto questo requisito per assicurare che la volontà di impugnare sia espressione di una scelta “necessaria e consapevole” dell’imputato. Un mandato conferito prima ancora che la sentenza esista non può, per logica, manifestare una volontà ponderata e attuale di contestare proprio quel provvedimento, con quelle specifiche motivazioni e quel dispositivo.

La Corte ha quindi applicato l’orientamento giurisprudenziale formatosi a seguito della riforma, secondo cui il mandato e la dichiarazione o elezione di domicilio devono essere successivi alla sentenza e contestuali all’impugnazione. L’anteriorità del mandato lo rende inefficace, portando inevitabilmente all’inammissibilità dell’appello.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche per la Difesa

La pronuncia in esame consolida un principio fondamentale per la difesa tecnica: la massima attenzione agli adempimenti formali post-riforma è essenziale. Per l’imputato assente, non è più sufficiente un mandato generico o preventivo. È necessario acquisire un nuovo e specifico mandato ad impugnare solo dopo aver preso visione della sentenza da contestare.

In caso contrario, il rischio concreto è quello di vedersi preclusa la possibilità di un secondo grado di giudizio, con la conseguente definitività della condanna. La sentenza si chiude infatti con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a riprova della gravità del vizio procedurale riscontrato.

Perché un mandato ad impugnare rilasciato prima della sentenza è stato considerato invalido?
Perché, secondo la Riforma Cartabia (art. 581, co. 1-quater c.p.p.), per un imputato assente il mandato deve essere successivo alla sentenza per dimostrare la sua volontà consapevole e attuale di impugnare quel preciso provvedimento.

Cosa succede se l’appello viene dichiarato inammissibile per questo motivo?
La sentenza di primo grado diventa definitiva. L’imputato viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.

Qual è l’obiettivo della norma introdotta dalla Riforma Cartabia su questo punto?
L’obiettivo è garantire che l’impugnazione sia espressione di una scelta effettiva, consapevole e attuale dell’imputato assente, evitando appelli presentati in base a una volontà espressa in un momento molto precedente e non collegata alla specifica sentenza da impugnare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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