Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15918 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15918 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME COGNOME nato in Romania il 08/02/1992
avverso la sentenza del 14/10/2024 della Corte di appello di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Corte d’appello di Messina ha dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto per il delitto di calunnia, rilevando che l’impugnazione era stata per lui proposta dal suo difensore in assenza di specifico mandato successivo alla sentenza impugnata e contenente la dichiarazione od elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, e quindi in violazione dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen..
Il ricorso poggia su due motivi.
2.1. Con il primo, si deduce l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni d legge, laddove applicabili all’imputato dichiarato irreperibile, com’è accaduto per Cimpoesu. Esse – si deduce – contrasterebbero con gli artt. 24, 27, secondo comma, e 111, Cost., giacché l’imputato irreperibile non può effettuare una consapevole e ponderata scelta d’impugnare, non avendo conoscenza della sentenza di condanna: pertanto, impedendo al difensore di farlo per lui, si finirebbe irragionevolmente per pregiudicarne il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza ed il diritto d’impugnare ogni sentenza, garantiti da quelle disposizioni costituzionali.
2.2. La seconda doglianza consiste nella violazione dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso l’applicazione della più favorevole disciplina normativa introdotta dalla legge n. 114 del 9 agosto 2024, che ha limitato l’applicazione del ridetto art. 581, comma 1-quater, all’impugnazione proposta dal difensore d’ufficio.
Deduce la difesa ricorrente che, pur trattandosi di norma processuale, l’applicazione della medesima avrebbe avuto effetti di tipo sostanziale sulla posizione dell’imputato, consentendogli di ottenere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e la conseguente eliminazione delle statuizioni risarcitorie a beneficio della parte civile.
Ha depositato la propria requisitoria il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte la difesa ricorrente, insistendo per l’annullamento della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata.
Sulla stessa, questa Corte si è già pronunciata ripetutamente, ritenendola tale, poiché – come la sentenza impugnata esplicitamente rammenta – le disposizioni dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581, cod. proc. pen., non comportano alcuna limitazione all’esercizio del potere di impugnazione spettante all’imputato, ma regolano solamente le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore: sicché esse non collidono né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né con la presunzione di no colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad
impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge (Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285900).
Si tratta di una scelta legislativa volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi “in limine impugnationis”, nonché bilanciata dai previsti correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine a tal fine (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, NOME COGNOME, Rv. 285324): un complesso di disposizioni, dunque, che rappresenta un ragionevole punto di equilibrio tra le garanzie di un’effettiva difesa del singolo imputato e l’efficacia del “servizio giustizia”, anche quest’ultima munita di copertura costituzionale per effetto del richiamo alla durata ragionevole dei processi contenuto al primo comma del citato art. 111.
Mettendo da parte l’erroneità della dichiarazione d’irreperibilità dell’imputato (potendo essa intervenire soltanto nel caso in cui ad essere infruttuosa sia la prima notificazione a lui effettuata e non, invece, qualora – come nel caso del Cimpoesu – si tratti delle successive, dovendo in questo caso trovare applicazione le regole di cui agli artt. 157-bis e 157-ter, cod. proc. pen.), va osservato che le considerazioni operate da questa Corte nei citati precedenti relativi all’imputato assente conservano validità anche – anzi, a maggior ragione – per l’irreperibile: anche per lui, infatti, rimane impregiudicata la possibilità di chiedere la restituzione nel termine per impugnare o la rescissione dell’eventuale giudicato, oltre ad essergli più agevole, almeno di fatto, la dimostrazione del presupposto per l’accesso a tali rimedi straordinari, vale a dire l’incolpevole difetto di conoscenza della sentenza pronunciata nei suoi confronti.
3. Il secondo motivo è infondato, anche se non manifestamente.
La questione dell’applicabilità della legge n. 114 del 2024, in vigore dal 25 agosto scorso, anche alle impugnazioni proposte prima di tale data è stata deferita al giudizio delle Sezioni unite di questa Corte, che, con sentenza emessa lo scorso 24 ottobre, hanno affermato il principio per cui la regola da essa introdotta ovvero che, in caso di processo in absentia, la necessità di uno specifico mandato ad impugnare è prevista soltanto per l’imputato assistito da un difensore d’ufficio – trova applicazione solo per le impugnazioni proposte dopo la sua entrata in vigore (la motivazione non risulta ancora pubblicata).
Né potrebbe opinarsi diversamente in ragione di addotti “effetti sostanziali” di tale disciplina, che sarebbero solamente eventuali e, comunque, indiretti, al pari di quelli che possono derivare dall’applicazione di qualsiasi norma processuale astrattamente suscettibile di ricadute sull’andamento del procedimento in senso favorevole all’imputato. Così ragionando, infatti, si finirebbe per operare una
generalizzata estensione alla materia processuale del principio della prevalenza della norma più favorevole, previsto dalla legge soltanto per le norme penali
incriminatrici o che comunque influiscono sul trattamento punitivo dell’imputato
(sull’applicazione alle leggi processuali del diverso principio
“tempus regit actum”,
Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, COGNOME, Rv. 260927; per l’inesistenza di principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere
pedissequamente trasferiti nell’ordinamento processuale, Sez. U, n. 27919 del
31/03/2011, NOME Rv. 250196, che richiama Corte cost., 14 gennaio 1982, n. 15).
Nel caso di specie, allora, essendo stato l’appello proposto nella vigenza dell’art.
581-quater, cit., nella sua formulazione originaria, il difensore si sarebbe
dovuto munire di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciatogli dall’imputato dopo la sentenza appellata e contenente la dichiarazione od elezione del domicilio
cui notificare il decreto di fissazione del processo: non essendo questo avvenuto, correttamente la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile il gravame, secondo
l’espressa previsione in tal senso contenuta in detta norma.
Il ricorso, dunque, dev’essere respinto, con conseguente condanna del proponente a sopportarne le spese (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025
Il Consigliere estensore
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