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Mandato ad impugnare: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante l’obbligo del mandato ad impugnare per un imputato assente. La Corte ha stabilito che la validità di un appello deve essere valutata secondo la legge in vigore al momento della sua presentazione, non in base a una normativa successiva più favorevole, applicando il principio “tempus regit actum”.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato ad Impugnare: la Legge Applicabile è quella Vigente al Deposito dell’Atto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8596 del 2025, affronta una questione cruciale in materia di procedura penale: la disciplina applicabile alle impugnazioni a seguito di una modifica normativa. Il caso verteva sulla necessità del mandato ad impugnare specifico per l’imputato giudicato in assenza e chiarisce un principio fondamentale: la validità di un atto processuale si giudica in base alla legge in vigore al momento del suo compimento, non in base a norme successive, seppur più favorevoli.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da una pronuncia di primo grado emessa nei confronti di un imputato giudicato in assenza. Il suo difensore di fiducia presentava appello, ma la Corte d’Appello di Bologna lo dichiarava inammissibile. La ragione? La mancanza dello specifico mandato ad impugnare previsto dall’articolo 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale, all’epoca obbligatorio per tutti i difensori (sia di fiducia che d’ufficio) in caso di imputato assente.

Il Ricorso in Cassazione e la Questione del ‘Mandato ad Impugnare’

Il difensore dell’imputato ricorreva per cassazione, sostenendo un’erronea applicazione della legge. L’avvocato evidenziava che, dopo la presentazione dell’appello ma prima della decisione della Corte territoriale, era entrata in vigore una nuova legge (la n. 114 del 2024) che aveva modificato l’articolo 581. La riforma aveva limitato l’obbligo di depositare il mandato ad impugnare specifico al solo difensore d’ufficio, escludendo quindi il difensore di fiducia. Secondo la tesi difensiva, la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare questa nuova e più favorevole disciplina, rendendo ammissibile l’impugnazione.

La Decisione della Corte: l’Applicazione del ‘Tempus Regit Actum’

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno riaffermato con forza il principio generale tempus regit actum (“il tempo regola l’atto”). Questo principio stabilisce che gli atti processuali sono regolati dalla legge in vigore nel momento in cui vengono posti in essere.

L’appello in questione era stato depositato il 13 luglio 2024. A quella data, la normativa vigente imponeva, a pena di inammissibilità, il deposito del mandato specifico. La nuova legge, entrata in vigore solo il 25 agosto 2024, non conteneva alcuna norma transitoria che ne estendesse l’applicazione retroattiva agli atti già compiuti. Di conseguenza, l’atto di appello, al momento della sua presentazione, era privo di un requisito essenziale e, pertanto, irrimediabilmente inammissibile.

La Corte ha inoltre richiamato una recente pronuncia delle Sezioni Unite che, pronunciandosi su un quesito analogo, aveva confermato questa interpretazione, stabilendo che la vecchia disciplina continua ad applicarsi a tutte le impugnazioni proposte fino al 24 agosto 2024.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sulla certezza del diritto e sulla natura delle norme processuali. Le regole che disciplinano la forma e i termini degli atti giudiziari devono essere chiare e stabili al momento in cui l’atto viene compiuto. Consentire a una legge successiva di “sanare” un atto originariamente invalido creerebbe incertezza e violerebbe il principio secondo cui gli effetti di un atto giuridico si cristallizzano al momento del suo perfezionamento. La Corte ha precisato che il suo ruolo è quello di verificare la correttezza della decisione impugnata, che a sua volta doveva basarsi sui presupposti di ammissibilità esistenti al momento del deposito dell’appello. La Corte d’Appello, quindi, aveva correttamente applicato la legge vigente all’epoca dei fatti, rilevando la mancanza di un requisito allora indispensabile.

Conclusioni

Questa sentenza offre un’importante lezione pratica: l’assoluta necessità di rispettare scrupolosamente i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge processuale al momento del deposito di un atto. Gli avvocati non possono fare affidamento su future e ipotetiche modifiche legislative per rimediare a vizi che rendono un’impugnazione inammissibile. La decisione ribadisce la centralità del principio tempus regit actum nel diritto processuale penale, garantendo stabilità e prevedibilità nell’applicazione delle norme. Per il ricorrente, la conseguenza è la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Una nuova legge più favorevole può rendere valido un appello che era inammissibile al momento della sua presentazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, si applica il principio tempus regit actum, secondo cui la validità di un atto processuale, come un appello, si valuta in base alla legge in vigore nel momento in cui l’atto è stato compiuto, non in base a una legge successiva.

Quando era necessario il mandato ad impugnare specifico per l’imputato giudicato in assenza, secondo la norma applicata nel caso di specie?
Sulla base della legge applicabile al caso (in vigore prima del 25 agosto 2024), il mandato ad impugnare era sempre necessario per qualsiasi difensore se l’imputato era stato giudicato in assenza. La sentenza chiarisce che la successiva modifica normativa, che limita l’obbligo al solo difensore d’ufficio, non si applica agli appelli presentati prima della sua entrata in vigore.

Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile per un vizio formale?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la decisione impugnata (in questo caso, l’ordinanza della Corte d’Appello che dichiarava inammissibile l’appello) diventa definitiva. Inoltre, come stabilito in questa sentenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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