Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12299 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12299 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 24/07/1955
avverso l’ordinanza del 15/11/2024 della Corte d’Appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
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RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., in quanto il difensore dell’imputato, assente nel giudizio di primo grado, non aveva depositato né il mandato ad impugnare né la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato.
Avverso tale provvedimento il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con il proprio difensore avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico articolato motivo, violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 161 dello stesso codice, prospettando il contrasto delle previsioni espresse dagli artt. 581, commi 1-ter e 1-quater, dello stesso codice di rito con gli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.
Sotto un primo aspetto, assume che le suddette previsioni violerebbero gli artt. 24, 27 e 111 Cost., nella misura in cui, senza un’apprezzabile ragione, limitano il diritto ad impugnare, che rappresenta, secondo costante giurisprudenza costituzionale, espressione del diritto di difesa. Evidenzia, inoltre, la contraddittorietà determinata dalle limitazioni introdotte dall’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen., in tema di forma dell’impugnazione, rispetto alla centralità sistematica della norma generale di cui all’art. 571 del medesimo codice, che attribuisce al difensore dell’imputato la legittimazione ad impugnare (ferma la possibilità per l’imputato medesimo di togliere effetto all’impugnazione proposta dal difensore, nei modi previsti per la rinuncia).
Per altro verso, denuncia il contrasto delle disposizioni enunciate dall’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., con riferimento, in distonia con la preminenza del diritto di difesa dell’imputato che si estrinseca anche attraverso la proposizione dell’impugnazione, con il fondamentale principio della parità delle armi tra le parti, e ciò tanto in relazione alla posizione del Pubblico Ministero che a quella della parte civile. Con riferimento a quest’ultima, sottolinea, in particolare, che essa vede ancora riconosciuto il proprio diritto ad impugnare in forza di una procura rilasciata anche prima dell’emanazione della sentenza.
Il ricorrente evidenzia che l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., si porrebbe altresì in conflitto con il principio di ragionevolezza, ritraibile dall’art. Cost., nella misura in cui la sua applicazione è limitata all’impugnazione proposta dall’imputato assente che, tuttavia, a differenza di quello presente, è più difficilmente contattabile di norma anche dal proprio difensore, con il conseguente rischio che debba subire una condanna ingiusta.
L’imputato denuncia, poi, sempre con riferimento al parametro di cui all’art. 3 Cost., l’irragionevolezza della disciplina introdotta in tema di deposito a pena di inammissibilità dell’elezione di domicilio, pur riconoscendo come dall’Informazione provvisoria del 24 ottobre 2024 della decisione resa sulla questione dalle Sezioni Unite, risulta che tale previsione, espressa dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., debba essere intesa nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico a una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, idonea a consentire l’immediata ed inequivoca individuazione del luogo in cui effettuare la notifica. E soggiunge, che, a fronte dell’enunciazione di detto principio, alle stesse conclusioni si deve pervenire in via interpretativa rispetto all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., nell’ambito di un’esegesi costituzionalmente orientata della norma.
Il COGNOME lamenta, infine, l’irragionevolezza della norma di diritto intertemporale, in forza della quale le previsioni censurate trovano applicazione con riferimento alle sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore delle stesse, anche nei confronti di imputati dichiarati assenti in virtù della precedente disciplina, senza che tale compromissione del fondamentale diritto ad impugnare possa dirsi “compensata” dalla più ampia possibilità di ricorrere a un rimedio post iudicatum, che non è possibile proporre prima della definitività della pronuncia dopo la quale la decisione di colpevolezza già incide sulla libertà personale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile poiché esso si fonda su una serie doglianze, che si palesano manifestamente infondate, nella misura in cui esse si appuntano su un preteso contrasto degli artt. 581, commi 1-ter e quater, cod. proc. pen., con plurimi parametri costituzionali.
Sotto un primo aspetto, come è stato già più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, con l’enunciazione di un principio che il collegio condivide, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24, 27 e 111 Cost., in quanto tali disposizioni, laddove richiedono che unitamente all’atto di impugnazione siano depositati, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio e, quando si sia proceduto in assenza dell’imputato, lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, non comportano alcuna limitazione all’esercizio del potere di impugnazione spettante personalmente all’imputato, ma regolano solo le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore,
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sicché essi non si pongono in contrasto né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né con la presunzione di non colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge (tra le altre, Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285900; Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Ben Khalifa, Rv. 285324).
Con riguardo alla dedotta violazione del principio della parità delle armi tra le parti, occorre osservare quanto segue.
3.1. Rispetto alla posizione del Pubblico Ministero, essa è con evidenza manifestamente infondata, considerata la diversità tra le due situazioni, atteso che solo l’imputato è una parte che sta in giudizio a mezzo del proprio difensore.
3.2. Quanto alla questione posta con riguardo alla posizione della parte civile, in effetti è stato chiarito che la disciplina espressa dall’art. 581, comma 1 -ter, cod. proc. pen., non trova applicazione nei confronti della parte civile (nonché del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria), e ciò poiché tale adempimento risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, in ragione dello statuto processuale di tali parti, rinvenibile negli artt. 100, commi 1 e 5, e 154, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 6993 del 13/11/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 285975 – 01).
Né può dubitarsi, in linea con quanto assume l’imputato, che la parte civile non sia anche tenuta, a differenza dell’imputato, a rinnovare il mandato difensivo al proprio avvocato dopo ogni grado di giudizio in forza dell’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen.: e sotto questo aspetto si determina, secondo il ricorrente, il vulnus denunciato.
Sennonché la questione è manifestamente infondata poiché, per un verso, la parte civile ha uno statuto particolare rispetto a quello dell’imputato, dovuto alla circostanza che essa introduce una peculiare azione di carattere civile nell’ambito del processo penale (azione che, dunque, sotto plurimi aspetti segue regole mutuate dal giudizio civile, comprese quelle afferenti il possibile conferimento di una procura che valga per ogni stato e grado del giudizio) e, per un altro, essa, almeno per come prospettata, sembrerebbe voler estendere, inammissibilmente, mediante una pronuncia additiva, la disposizione prescritta nei confronti dell’imputato alla parte civile.
E’ manifestamente infondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1 -quater, cod. proc. pen., con riferimento all’art. 3 Cost. rispetto all’irragionevole differenziazione della posizione dell’imputato assente e di quello presente, atteso che, in realtà, questa
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differenziazione risiede proprio nella legittima finalità della norma di consentire un esercizio consapevole del fondamentale diritto di impugnare da parte di chi non abbia partecipato al precedente grado di giudizio (tra le altre, Sez. 2, n. 47927 del 20/10/2023, Giuliano, Rv. 285525).
Manifestamente infondata è, poi, la pretesa di applicare analogicamente il principio espresso dalle Sezioni Unite con riguardo alla previsione espressa dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (per come risultante dall’Informazione provvisoria) – secondo cui tale disposizione deve essere intesa nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, idonea a consentire l’immediata ed inequivoca individuazione del luogo in cui effettuare la notifica – anche all’art. 581, comma 1-quater del medesimo codice, atteso che le due norme perseguono finalità differenti.
Vi è infatti che la prima, oggetto dell’intervento delle Sezioni Unite, è finalizzata a poter effettuare agevolmente le comunicazioni e notificazioni all’imputato che sia rimasto assente nel precedente grado di giudizio (o, rectius, alla vocatio in iudicium: Sez. 6, n. 22287 del 10/04/2024, Fall Name, Rv. 286625), mentre, come già rilevato, l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., ha l’intento di rendere consapevole l’esercizio del diritto di impugnazione da parte dell’imputato assente (ex ceteris, Sez. 2, n. 47927 del 20/10/2023, Giuliano, Rv. 285525).
E’ manifestamente infondata anche l’ultima questione con la quale il COGNOME contesta, per il tramite della disciplina transitoria (in sé, del resto, non irragionevole, poiché porre quale riferimento il momento della pronuncia della sentenza per la proposizione dell’impugnazione è coerente con i principi espressi da Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537 – 01), il complessivo assetto dei rimedi posti a disposizione dell’imputato assente prima e dopo il giudicato. Invero, l’equilibrio complessivo di tale assetto si fonda su ponderazioni implicanti valutazioni discrezionali di sistema che non possono essere demandate alla Corte Costituzionale, esondando dall’ambito di intervento della stessa e rimesse al legislatore, perché implicanti scelte di fondo tra diverse opzioni tutte rientranti nella discrezionalità dello stesso (tra le molte, Corte Cost. sent. n. 182 del 2024; n. 190 del 2023).
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, atteso che
l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.