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Mandato ad impugnare: la Cassazione e il tempus regit actum

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18984/2025, ha rigettato il ricorso di un imputato il cui appello era stato dichiarato inammissibile per mancanza di uno specifico mandato ad impugnare. La Corte ha chiarito che, in base al principio tempus regit actum, le modifiche normative più favorevoli, intervenute dopo la presentazione dell’appello, non hanno efficacia retroattiva. La richiesta del mandato è stata inoltre ritenuta costituzionalmente legittima.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Appello dell’Imputato Assente: Il Ruolo Cruciale del Mandato ad Impugnare

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 18984 del 2025, è tornata a pronunciarsi su un tema di fondamentale importanza nella procedura penale: la necessità di uno specifico mandato ad impugnare per il difensore dell’imputato giudicato in assenza. La decisione offre un’importante lezione sull’applicazione del principio tempus regit actum in caso di successione di leggi processuali nel tempo, confermando che i requisiti di ammissibilità di un atto si valutano in base alla norma vigente al momento del suo compimento.

Il Caso: Un Appello Dichiarato Inammissibile

La vicenda processuale trae origine dalla condanna di un imputato per i reati di cui agli artt. 368 e 476 del codice penale. Il suo difensore proponeva appello, ma la Corte d’appello competente lo dichiarava inammissibile. La ragione? La mancata allegazione, all’atto di appello, di uno specifico mandato ad impugnare conferito dall’imputato al difensore, come richiesto dall’articolo 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale, nella sua formulazione all’epoca vigente.

I Motivi del Ricorso: La Difesa Sfiducia la Norma

L’imputato, tramite il suo legale, proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che tale mandato non fosse necessario. A suo avviso, la piena conoscenza del processo d’appello da parte sua era dimostrata da diversi elementi: l’elezione di domicilio presso il difensore, la notifica del decreto di citazione a giudizio e le ripetute richieste di rinvio per legittimo impedimento. Inoltre, la difesa sollevava dubbi sulla legittimità costituzionale della norma, ritenendola lesiva del diritto di difesa e irragionevolmente discriminatoria rispetto alla posizione dell’imputato presente e della parte civile.

La Successione di Leggi e il Mandato ad Impugnare

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’analisi della successione di leggi processuali. Successivamente alla presentazione dell’appello, una nuova legge (la n. 114 del 2024) aveva modificato la norma in questione, limitando l’obbligo del mandato specifico al solo caso del difensore d’ufficio. Tuttavia, la Corte ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento.

Il Principio “Tempus Regit Actum”

Gli Ermellini hanno affermato che la decisione della Corte territoriale era corretta, in quanto basata sulla legge in vigore al momento della presentazione dell’appello. In materia processuale, salvo diversa disposizione, vige il principio tempus regit actum (il tempo regola l’atto). Ciò significa che la validità e l’ammissibilità di un atto giuridico devono essere valutate secondo la legge vigente quando l’atto è stato compiuto. La modifica legislativa successiva, non avendo efficacia retroattiva, non poteva sanare un vizio di inammissibilità originario.

La Questione di Legittimità Costituzionale

La Corte ha inoltre dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale. La norma, nella sua formulazione originaria, non limitava il diritto di difesa dell’imputato, ma si limitava a disciplinare le modalità di esercizio del potere di impugnazione da parte del difensore. L’obiettivo del legislatore era quello di garantire che l’impugnazione fosse frutto di una scelta “consapevole e volontaria” dell’imputato assente, evitando iniziative meramente difensive non condivise dall’interessato. Una scelta legislativa, dunque, non manifestamente irragionevole.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso basandosi su un’interpretazione rigorosa dei principi che regolano la successione delle leggi processuali. La decisione della Corte d’Appello di dichiarare l’inammissibilità è stata ritenuta incensurabile, poiché coerente con la normativa vigente al momento della presentazione dell’impugnazione. La Cassazione ha richiamato precedenti pronunce, anche delle Sezioni Unite, che consolidano il principio tempus regit actum come criterio per individuare il regime applicabile in materia di impugnazioni. Di conseguenza, le modifiche normative introdotte dalla legge n. 114 del 2024 non potevano essere applicate retroattivamente a un appello proposto prima della loro entrata in vigore.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per tutti gli operatori del diritto: la massima attenzione ai requisiti formali degli atti processuali è essenziale. La successione di leggi nel tempo può creare complessità, ma il principio tempus regit actum offre un criterio chiaro, anche se a volte severo. La decisione sottolinea come la volontà dell’imputato assente di procedere con l’impugnazione debba essere accertata in modo inequivocabile, e il mandato ad impugnare rappresenta lo strumento designato dal legislatore per garantire tale certezza, giustificando la sanzione dell’inammissibilità in sua assenza.

Perché l’appello dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
L’appello è stato dichiarato inammissibile perché il difensore dell’imputato, giudicato in assenza nel primo grado, non aveva depositato unitamente all’atto di impugnazione uno specifico mandato a impugnare, come richiesto dalla versione dell’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. vigente al momento dei fatti.

Una nuova legge più favorevole può essere applicata a un appello presentato prima della sua entrata in vigore?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in materia processuale, vige il principio tempus regit actum. Ciò significa che un atto è regolato dalla legge in vigore al momento del suo compimento. Pertanto, una legge successiva più favorevole, se non espressamente retroattiva, non può sanare un vizio di inammissibilità di un atto compiuto in precedenza.

La richiesta di un mandato specifico per l’impugnazione dell’imputato assente è stata considerata incostituzionale?
No, la Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata. La norma non limita il diritto di difesa, ma disciplina le modalità con cui il difensore può esercitarlo, con lo scopo di assicurare che l’impugnazione sia una scelta consapevole e personale dell’imputato e non una mera iniziativa del legale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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