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Mandato ad impugnare: la Cassazione conferma la norma

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato, confermando l’inammissibilità del suo appello. L’imputato, giudicato in assenza, non aveva fornito al suo difensore d’ufficio uno specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, come richiesto dalla Riforma Cartabia (art. 581 c.p.p.). La Corte ha stabilito che tale requisito non viola né la Costituzione né le norme europee, rappresentando una scelta legislativa ragionevole volta a garantire che l’impugnazione sia una decisione personale e ponderata dell’imputato.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato ad Impugnare: la Cassazione consolida le nuove regole per l’imputato assente

Con la sentenza n. 34720 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione cruciale introdotta dalla Riforma Cartabia: la necessità di uno specifico mandato ad impugnare per il difensore dell’imputato giudicato in assenza. Questa pronuncia ribadisce la legittimità delle nuove disposizioni, delineando chiaramente gli obblighi procedurali e le finalità della norma.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza della Corte di Appello di Roma, che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dal difensore d’ufficio di un imputato. L’imputato era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Latina e il processo si era svolto in sua assenza. La sentenza era stata pronunciata dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 (la cosiddetta Riforma Cartabia), che ha introdotto nuove e più stringenti condizioni per l’impugnazione in questi casi.

L’appello era stato dichiarato inammissibile proprio perché l’atto non era stato depositato unitamente a uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dall’imputato dopo la sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio. Il difensore ha quindi proposto ricorso per cassazione, sollevando dubbi sulla legittimità costituzionale e sulla compatibilità della norma con il diritto europeo.

La questione del mandato ad impugnare specifico

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 581, commi 1-ter e 1-quater, del codice di procedura penale. Queste norme stabiliscono che, in caso di imputato giudicato in assenza, l’appello del difensore è inammissibile se non è accompagnato da un mandato speciale rilasciato dopo la pronuncia della sentenza.

Secondo il ricorrente, tale requisito rappresenterebbe una limitazione eccessiva del diritto di difesa e contrasterebbe con i principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Si sosteneva, in sostanza, che subordinare il diritto a impugnare a condizioni così gravose fosse irragionevole.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Gli Ermellini hanno confermato la piena legittimità dell’operato della Corte di Appello, ribadendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La decisione si fonda sulla constatazione che le nuove disposizioni normative non sono né irragionevoli né in contrasto con i principi superiori, ma rappresentano una scelta ponderata del legislatore.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la norma che richiede un mandato ad impugnare specifico non lede il diritto di difesa. Piuttosto, essa regola le modalità di esercizio di una facoltà, quella di impugnare tramite difensore, che si affianca al diritto dell’imputato di presentare personalmente l’impugnazione.

Secondo la Cassazione, la finalità della legge è chiara: limitare le impugnazioni che non derivano da una “opzione ponderata e personale della parte”. Si vuole, cioè, assicurare che la decisione di contestare una sentenza di condanna provenga effettivamente dall’imputato, che deve manifestare la sua volontà in modo esplicito dopo essere venuto a conoscenza della decisione.

Citando precedenti pronunce (Sez. 4, n. 43718/2023 e Sez. 6, n. 3365/2023), la Corte ha affermato che questa scelta legislativa non è manifestamente irragionevole. Le norme non impediscono l’esercizio del potere di impugnazione, ma ne disciplinano le modalità, senza violare né il principio di presunzione di non colpevolezza né il diritto a un equo processo. Pertanto, la questione di legittimità costituzionale e la presunta violazione del diritto unionale sono state ritenute manifestamente infondate.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un principio fondamentale introdotto dalla Riforma Cartabia: la volontà di impugnare deve essere attuale e personale, soprattutto per chi ha scelto di non partecipare al processo. Per i difensori, ciò si traduce in un obbligo stringente: per evitare una declaratoria di inammissibilità, è indispensabile ottenere dal proprio assistito, giudicato in assenza, un mandato specifico e successivo alla sentenza. La pronuncia chiarisce che la tutela del diritto di difesa non può prescindere da una manifestazione di volontà consapevole da parte del diretto interessato, rafforzando così la responsabilità e la centralità dell’imputato nel processo decisionale relativo all’impugnazione.

È necessario un mandato ad impugnare specifico per l’appello di un imputato giudicato in assenza?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che, in base alle norme introdotte dalla Riforma Cartabia (art. 581, commi 1-ter e 1-quater c.p.p.), l’appello presentato dal difensore per un imputato giudicato in assenza deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, da uno specifico mandato rilasciato dopo la pronuncia della sentenza.

La richiesta di questo mandato specifico viola il diritto di difesa o le norme europee?
No. Secondo la sentenza, questo requisito non contrasta con i principi costituzionali (artt. 3, 24, 27, 111 Cost.) né con il diritto europeo (art. 6 CEDU). È considerata una scelta legislativa ragionevole che si limita a regolare le modalità di esercizio del diritto di impugnazione, senza sopprimerlo.

Qual è lo scopo della norma che richiede il mandato ad impugnare post-sentenza?
La finalità è quella di assicurare che l’impugnazione derivi da una scelta “ponderata e personale” dell’imputato. La norma mira a limitare le impugnazioni non volute direttamente dall’interessato, garantendo che la decisione di proseguire il giudizio sia una sua manifestazione di volontà consapevole e attuale, espressa dopo la condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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