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Mandato ad impugnare: inammissibile ricorso senza

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso a causa della mancanza dello specifico mandato ad impugnare richiesto dalla Riforma Cartabia (art. 581, co. 1-quater c.p.p.). L’imputato, giudicato in assenza, non aveva rilasciato al difensore il necessario mandato dopo la pronuncia della sentenza d’appello. La Corte ribadisce che questa norma, volta a garantire la partecipazione consapevole dell’imputato, si applica pienamente anche al giudizio di legittimità.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato ad Impugnare: la Cassazione conferma la linea dura della Riforma Cartabia

Con l’ordinanza n. 4555/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale introdotto dalla Riforma Cartabia: senza uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dall’imputato assente dopo la sentenza, il ricorso presentato dal difensore è inammissibile. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale volto a garantire una partecipazione più consapevole dell’imputato al processo, anche nelle fasi di impugnazione.

Il caso in esame

Il difensore di un imputato, condannato dalla Corte d’Appello di Napoli in sede di rinvio per reati fiscali, presentava ricorso per Cassazione lamentando la prescrizione dei reati. L’imputato era stato processato in assenza e il ricorso veniva depositato dopo il 31 dicembre 2022, data di entrata in vigore di alcune delle più importanti novità della Riforma Cartabia. Il problema cruciale, tuttavia, non riguardava il merito della prescrizione, ma un vizio formale preliminare: la mancanza di un atto specifico richiesto dalla nuova normativa.

La necessità del mandato ad impugnare specifico

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, nel caso di imputato giudicato in assenza, l’atto di impugnazione del difensore deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, da uno specifico mandato ad impugnare. Tale mandato deve avere due caratteristiche essenziali:
1. Essere rilasciato dopo la pronuncia della sentenza da impugnare.
2. Contenere la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato.

La Corte Suprema chiarisce che questa regola non è un mero formalismo, ma risponde a un’esigenza precisa: assicurarsi che l’impugnazione sia espressione della volontà personale e consapevole dell’imputato, e non una scelta quasi automatica del difensore. L’obiettivo è trasformare l’impugnazione da un atto quasi scontato a una decisione ponderata del diretto interessato.

L’estensione della norma al Giudizio di Cassazione

Uno dei punti più significativi dell’ordinanza è l’affermazione che tale onere si applica senza dubbio anche al ricorso per Cassazione. Nonostante la norma menzioni la ‘citazione a giudizio’, un atto tipico dei processi di merito, la Corte ne sposa un’interpretazione teleologica e sistematica. La regola è inserita nel libro IX del codice, dedicato alle impugnazioni in generale, e la sua ratio – garantire la consapevolezza dell’imputato – è pienamente valida anche per il giudizio di legittimità. La Corte sottolinea come questa disciplina sia compatibile con i principi del giusto processo, poiché l’imputato che dimostri di non aver avuto conoscenza del procedimento può sempre ricorrere a rimedi restitutori per essere reintegrato nei suoi diritti.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione di inammissibilità sulla base di un orientamento ormai consolidato. I giudici hanno evidenziato che l’intero sistema processuale delineato dalla Riforma Cartabia è permeato dall’esigenza di assicurare una partecipazione consapevole e volontaria dell’imputato al processo. Di conseguenza, anche l’atto di impugnazione deve riflettere un interesse personale e attuale dell’imputato a proseguire la contesa giudiziaria. L’assenza dello specifico mandato, rilasciato dopo la sentenza della Corte d’Appello, ha quindi reso il ricorso privo di un requisito essenziale di ammissibilità, impedendo ai giudici di esaminare la questione della prescrizione sollevata dal difensore. La Corte ha concluso che tale onere non lede i diritti della difesa, ma serve a razionalizzare e selezionare le impugnazioni, garantendo al contempo la corretta amministrazione della giustizia.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante conferma della portata innovativa della Riforma Cartabia in materia di impugnazioni. Per i professionisti del diritto, emerge la necessità inderogabile di acquisire un nuovo mandato specifico dall’assistito assente dopo ogni pronuncia sfavorevole, prima di procedere con l’impugnazione. Per l’imputato, questa regola sancisce il principio che la sua volontà è centrale in ogni fase del processo, compresa quella finale davanti alla Suprema Corte. La sanzione dell’inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende, costituisce un monito severo sull’importanza di adempiere a questo nuovo onere procedurale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il difensore dell’imputato, giudicato in assenza, non ha depositato lo specifico mandato ad impugnare rilasciato dal suo assistito dopo la pronuncia della sentenza, come richiesto dall’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale introdotto dalla Riforma Cartabia.

La regola del mandato ad impugnare specifico si applica anche ai ricorsi in Cassazione?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la necessità di depositare un mandato specifico rilasciato dopo la sentenza si applica anche al ricorso per Cassazione, non solo agli appelli, per garantire la partecipazione consapevole dell’imputato assente.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in questo caso determinata in tremila euro, alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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