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Mandato ad impugnare: Cassazione sulla Riforma Cartabia

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato in appello in sua assenza. L’appellante aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale riguardo le nuove norme sul mandato ad impugnare introdotte dalla Riforma Cartabia, che richiedono un mandato specifico e una dichiarazione di domicilio post-sentenza. La Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata, ribadendo che tale requisito è una scelta legislativa ragionevole, volta a garantire che l’impugnazione sia una decisione ponderata e personale dell’imputato, e non un atto automatico del difensore.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il Mandato ad Impugnare post-Riforma Cartabia: la Cassazione fa chiarezza

La recente Riforma Cartabia ha introdotto significative novità nella procedura penale, una delle quali riguarda il mandato ad impugnare per l’imputato giudicato in assenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12810/2024) ha confermato la piena legittimità di queste nuove disposizioni, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato che ne contestava la costituzionalità. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Un soggetto, a seguito di una condanna da parte della Corte d’Appello di Brescia, proponeva ricorso per cassazione. Il punto centrale del suo ricorso non riguardava il merito della condanna, ma una questione procedurale cruciale: la legittimità costituzionale delle nuove norme che disciplinano l’appello per l’imputato assente. In particolare, il ricorrente contestava l’obbligo, introdotto dalla Riforma Cartabia, di depositare un mandato specifico per impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, insieme a una dichiarazione o elezione di domicilio. A suo avviso, tali requisiti violavano diversi principi costituzionali e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Questione del Mandato ad Impugnare dopo la Riforma

La Riforma Cartabia, con il D.Lgs. n. 150/2022, ha modificato l’articolo 581 del codice di procedura penale, introducendo i commi 1-ter e 1-quater. Queste nuove disposizioni stabiliscono che, in caso di imputato assente, l’atto di impugnazione del difensore debba essere accompagnato, a pena di inammissibilità, da una dichiarazione o elezione di domicilio e da uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dall’imputato successivamente alla sentenza da impugnare. L’obiettivo del legislatore è chiaro: assicurarsi che l’imputato sia effettivamente a conoscenza della sentenza e che la decisione di impugnarla sia una sua scelta personale, consapevole e attuale, e non un’iniziativa automatica del legale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile e la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata. Le motivazioni si basano su un precedente e consolidato orientamento della stessa Corte (in particolare, la sentenza n. 43718 del 2023).

Secondo i giudici, i nuovi requisiti non rappresentano una violazione dei diritti di difesa, ma una scelta legislativa non irragionevole. La norma mira a limitare le impugnazioni che non derivano da una ‘opzione ponderata e personale della parte’. In altre parole, si vuole evitare che vengano presentati appelli ‘d’ufficio’ dal difensore, senza un reale e attuale coinvolgimento dell’interessato. La Corte sottolinea che il sistema prevede dei correttivi per bilanciare questo rigore, come l’ampliamento dei termini per impugnare e l’estensione dell’istituto della restituzione nel termine, a tutela dell’imputato che non abbia avuto effettiva conoscenza del provvedimento.

Le Conclusioni: Impatto pratico per l’imputato e il difensore

La decisione della Cassazione consolida un principio fondamentale introdotto dalla Riforma Cartabia: la partecipazione attiva e consapevole dell’imputato, anche se assente, è un requisito essenziale per l’esercizio del diritto di impugnazione. Per i difensori, ciò significa che non è più sufficiente il mandato ricevuto all’inizio del procedimento; è necessario acquisire un nuovo e specifico mandato dal proprio assistito dopo ogni sentenza di condanna che si intende appellare. Per gli imputati, la sentenza ribadisce l’importanza di mantenere un contatto attivo con il proprio legale, poiché la loro volontà espressa post-sentenza è ora una condizione indispensabile per poter contestare una decisione sfavorevole. In assenza di questi adempimenti, il diritto di impugnazione non potrà essere validamente esercitato e l’appello sarà dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È costituzionalmente legittima la norma della Riforma Cartabia che richiede un mandato ad impugnare specifico per l’imputato assente?
Sì, secondo la Corte di Cassazione la norma è legittima. Si tratta di una scelta legislativa non manifestamente irragionevole, finalizzata a garantire che l’impugnazione sia una decisione ponderata e personale dell’imputato. Di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta manifestamente infondata.

Perché la legge ora richiede questo mandato specifico dopo la sentenza?
La legge lo richiede per assicurarsi che l’imputato, soprattutto se assente durante il processo, sia a conoscenza della sentenza e che la decisione di impugnarla sia una sua scelta attuale e consapevole. L’obiettivo è limitare le impugnazioni che non derivano da una volontà diretta e personale della parte, ma da un’iniziativa del difensore.

Cosa succede se l’atto di appello non è accompagnato dal mandato ad impugnare specifico e dalla dichiarazione di domicilio dell’imputato assente?
L’appello viene dichiarato inammissibile. Questo significa che il giudice non esaminerà il merito dell’impugnazione. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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