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Mandato ad impugnare: appello nullo senza procura

La Cassazione dichiara inammissibile l’appello per un imputato assente, a causa della mancanza di uno specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la sentenza. La Corte applica il principio *tempus regit actum*, confermando che le norme più severe in vigore al momento della proposizione dell’appello prevalgono sulle modifiche legislative successive.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato ad Impugnare: la Cassazione fa chiarezza sull’appello dell’imputato assente

Il mandato ad impugnare rappresenta un pilastro fondamentale nel processo penale, specialmente quando si tratta di garantire il diritto di difesa di un imputato giudicato in sua assenza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2992/2025, ribadisce con forza la necessità di questo specifico atto formale, applicando il principio tempus regit actum in un contesto di riforme legislative. La decisione offre spunti cruciali sulla validità degli atti di appello e sulla successione delle leggi processuali nel tempo.

I Fatti del Caso: Un Appello Dichiarato Inammissibile

Il caso ha origine dalla condanna di un imputato in primo grado da parte del GUP del Tribunale di Bologna. Durante il processo, l’imputato, sebbene detenuto, aveva espressamente rinunciato a comparire alle udienze, venendo quindi giudicato in assenza. A seguito della condanna, il suo difensore di fiducia proponeva appello.

La Corte d’Appello di Bologna, tuttavia, dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione risiedeva nella mancata presentazione, da parte del difensore, di uno specifico mandato ad impugnare rilasciato dal suo assistito dopo l’emissione della sentenza di primo grado. Secondo la Corte territoriale, tale adempimento era richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale, nella versione allora in vigore.

La Questione Giuridica: il ruolo del Mandato ad Impugnare e la successione di leggi

Il ricorso per Cassazione si è concentrato su due punti principali: la corretta qualificazione della posizione dell’imputato (presente o assente) e l’applicazione delle norme procedurali alla luce delle modifiche legislative intervenute.

La difesa sosteneva che l’imputato, essendo detenuto, non potesse essere considerato pienamente ‘assente’. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che la rinuncia espressa a comparire equivale alla decisione dell’imputato libero di non presentarsi, rendendolo a tutti gli effetti ‘assente’ ai fini processuali. Di conseguenza, si applicavano le tutele rafforzate previste per questa figura.

Il nodo centrale, però, era la successione di leggi. L’appello era stato proposto nel maggio 2023, quando la ‘Riforma Cartabia’ (D.Lgs. 150/2022) imponeva, per l’imputato assente, il deposito di un mandato specifico per impugnare. Successivamente, la ‘Legge Nordio’ (L. 114/2024), entrata in vigore il 25 agosto 2024, ha attenuato tale requisito. Il ricorso sollevava quindi la questione di quale norma applicare.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il ragionamento dei giudici si fonda sul principio tempus regit actum, un cardine del diritto processuale. Secondo tale principio, gli atti del processo sono regolati dalla legge in vigore nel momento in cui vengono compiuti.

La Corte ha stabilito che, poiché l’atto di appello era stato depositato nel maggio 2023, doveva rispettare le formalità previste dalla legge allora vigente, ovvero la Riforma Cartabia. Quest’ultima richiedeva, a pena di inammissibilità, che il difensore dell’imputato assente depositasse un mandato ad impugnare rilasciato dopo la sentenza, per assicurarsi che la volontà di impugnare provenisse effettivamente dall’imputato stesso.

I giudici hanno specificato che la successiva entrata in vigore della Legge Nordio, pur modificando la norma, non poteva avere effetti retroattivi su un atto già compiuto e soggetto a una precisa sanzione processuale. La mancanza di una norma transitoria specifica nella nuova legge ha ulteriormente rafforzato questa interpretazione. Citando un orientamento delle Sezioni Unite, la Corte ha concluso che la disciplina più rigorosa continuava ad applicarsi a tutte le impugnazioni proposte fino al giorno prima dell’entrata in vigore della nuova legge.

Conclusioni

La sentenza in esame è di notevole importanza pratica. Essa chiarisce che la volontà di impugnare una sentenza da parte di un imputato giudicato assente deve essere certa e inequivocabile, manifestata attraverso un atto formale e specifico come il mandato ad impugnare post-sentenza. Inoltre, consolida l’applicazione del principio tempus regit actum in materia di successione di leggi processuali penali: la validità di un atto deve essere valutata sulla base delle norme in vigore al momento del suo compimento, a prescindere da successive modifiche più favorevoli. Per i difensori, ciò si traduce nella necessità di una scrupolosa attenzione agli adempimenti formali richiesti dalla legge al momento del deposito dell’impugnazione, per non incorrere in declaratorie di inammissibilità che precludono l’esame nel merito del gravame.

Un imputato detenuto che rinuncia a comparire è considerato ‘presente’ o ‘assente’?
Secondo la sentenza, un imputato detenuto che manifesta per iscritto la volontà di non essere tradotto al processo, rinunciando a comparire, è legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato dal difensore. La sua posizione è equiparata a quella dell’imputato libero che decide di non presentarsi.

Per un appello presentato prima del 25 agosto 2024 in favore di un imputato assente, era necessario un mandato ad impugnare specifico?
Sì. La sentenza chiarisce che per le impugnazioni proposte sotto la vigenza della ‘Riforma Cartabia’ e prima dell’entrata in vigore della ‘Legge Nordio’ (25 agosto 2024), era necessario, a pena di inammissibilità, depositare uno specifico mandato ad impugnare rilasciato dall’imputato assente dopo la pronuncia della sentenza.

Come si applica il principio tempus regit actum alle norme procedurali sull’impugnazione?
Il principio tempus regit actum (la legge del tempo regola l’atto) comporta che la validità e l’ammissibilità di un atto di impugnazione debbano essere valutate in base alle norme processuali in vigore al momento della sua presentazione. Le modifiche legislative successive, anche se più favorevoli, non hanno effetto retroattivo su atti già compiuti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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