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Mandato ad impugnare: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal difensore d’ufficio di un imputato condannato in assenza per permanenza illegale nel territorio italiano. La decisione si fonda sulla mancanza dello specifico mandato ad impugnare, un requisito introdotto dalla recente riforma processuale per garantire la consapevolezza dell’imputato riguardo all’impugnazione. La Corte ha ritenuto la norma non incostituzionale, ma una ragionevole modalità di esercizio del diritto di difesa.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato ad Impugnare: la Cassazione conferma la stretta sull’appello del difensore d’ufficio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la necessità del mandato ad impugnare per il difensore d’ufficio che intenda presentare ricorso per un imputato giudicato in assenza. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti sull’applicazione di una delle novità più discusse della riforma del processo penale, confermando che l’appello, senza questo specifico atto, è destinato all’inammissibilità. Analizziamo insieme i dettagli del caso e le ragioni della Suprema Corte.

I fatti del caso

Un cittadino straniero veniva condannato dal Giudice di Pace al pagamento di una multa di 10.000 euro per non aver ottemperato a un ordine di allontanamento emesso dal Questore. L’uomo, destinatario del provvedimento e notificatogli, aveva continuato a permanere illegalmente sul territorio italiano. La sua posizione era emersa durante un controllo scattato a seguito di una denuncia per furto.

Il processo si svolgeva in assenza dell’imputato, il quale, sebbene avesse ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio, non si era presentato. A seguito della condanna, il suo difensore d’ufficio presentava ricorso per cassazione, pur ammettendo di non essere riuscito a contattare il proprio assistito e, di conseguenza, di essere sprovvisto dello specifico mandato ad impugnare.

Le ragioni del ricorso e la questione di legittimità costituzionale

Nel suo ricorso, il difensore sollevava una questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla c.d. Riforma Cartabia, impone al difensore d’ufficio di un imputato assente di depositare, a pena di inammissibilità, uno specifico mandato rilasciato dopo la sentenza.

Secondo il legale, tale obbligo creerebbe una disparità di trattamento ingiustificata e violerebbe il diritto di difesa, rendendo di fatto impossibile per un imputato irreperibile far valere le proprie ragioni in appello. Sosteneva inoltre che la condanna fosse viziata da un’illogicità manifesta, in quanto basata sulla sola testimonianza di un agente che aveva verificato l’esistenza dell’ordine di allontanamento tramite terminale, senza che il provvedimento stesso fosse mai stato acquisito agli atti del processo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sul mandato ad impugnare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo le censure di incostituzionalità. I giudici hanno chiarito che la ratio della norma è quella di garantire che l’imputato giudicato in assenza abbia un’effettiva e certa conoscenza della sentenza e della volontà di procedere con l’impugnazione. L’obiettivo del legislatore è prevenire la celebrazione di processi d’appello “inutili”, avviati all’insaputa dell’interessato, che potrebbero poi essere annullati tramite rimedi straordinari come la rescissione del giudicato.

La Corte ha sottolineato che questa non è una limitazione del diritto di difesa, ma una sua regolamentazione. L’onere di rilasciare il mandato ad impugnare si salda con la necessità di assicurare un coinvolgimento diretto e consapevole dell’imputato. Il sistema, peraltro, offre dei contrappesi, come l’allungamento dei termini per impugnare per il difensore dell’imputato assente.

I giudici hanno anche affrontato la presunta disparità di trattamento tra difensore d’ufficio e difensore di fiducia. La differenza di disciplina è giustificata dal diverso rapporto che lega il legale al suo assistito: nel caso del difensore di fiducia, si presume un contatto costante e un’effettiva condivisione delle strategie difensive, presunzione che non sussiste automaticamente per il difensore d’ufficio, specialmente con un assistito irreperibile.

Poiché il ricorso è stato dichiarato inammissibile per una ragione puramente procedurale (la mancanza del mandato), la Corte non ha potuto esaminare nel merito la seconda doglianza, relativa alla mancata acquisizione dell’ordine di allontanamento.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento rigoroso sull’applicazione dell’art. 581, comma 1-quater c.p.p. Viene ribadito che il diritto all’impugnazione, nel caso di imputato assente assistito da un difensore d’ufficio, non può essere un automatismo difensivo, ma deve scaturire da una scelta consapevole dell’imputato stesso, manifestata attraverso il rilascio di uno specifico mandato ad impugnare post-sentenza. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche, poiché impone ai difensori d’ufficio l’onere di stabilire un contatto effettivo con i propri assistiti dopo la condanna, pena l’impossibilità di proseguire il giudizio nei gradi successivi.

Un difensore d’ufficio può impugnare una sentenza per un imputato giudicato in assenza senza un’apposita procura?
No, la legge richiede, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, il deposito di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dall’imputato dopo la pronuncia della sentenza.

Perché la legge richiede un mandato ad impugnare specifico in questi casi?
La norma mira a garantire che l’imputato assente abbia effettiva conoscenza della condanna e manifesti una volontà concreta e attuale di impugnarla, evitando così la celebrazione di processi di appello che potrebbero svolgersi a sua insaputa.

La norma che richiede il mandato ad impugnare è stata considerata incostituzionale?
No, la Corte di Cassazione ha ritenuto la questione manifestamente infondata. Ha stabilito che non si tratta di una violazione del diritto di difesa, ma di una ragionevole regolamentazione del suo esercizio, finalizzata a tutelare la consapevolezza dell’imputato e l’efficienza del sistema giudiziario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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