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Mandato ad appellare: regole e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso perché il difensore non era munito di uno specifico mandato ad appellare rilasciato dopo la sentenza di primo grado, come richiesto dalla legge in vigore al momento del deposito dell’atto. La Corte ha stabilito che le modifiche legislative procedurali più favorevoli, intervenute successivamente, non si applicano retroattivamente, ribadendo il principio “tempus regit actum” per gli atti processuali.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato ad Appellare: La Cassazione Conferma la Regola del “Tempus Regit Actum”

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: la validità degli atti processuali si giudica in base alla legge in vigore al momento del loro compimento. Il caso in esame riguarda l’inammissibilità di un appello a causa della mancanza di un mandato ad appellare specifico, evidenziando come le successive modifiche normative non possano sanare un vizio originario. Analizziamo la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Un Appello Senza Mandato Specifico

La vicenda trae origine da un ricorso presentato contro un’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna. Quest’ultima aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto da un imputato contro una sentenza di primo grado. Il motivo dell’inammissibilità risiedeva nel fatto che, al momento della presentazione dell’appello (28 giugno 2024), il difensore non era in possesso di un ulteriore e specifico mandato, rilasciato dal suo assistito dopo la pronuncia della sentenza, come allora richiesto dall’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale.

Il ricorrente, nel rivolgersi alla Cassazione, sosteneva che si dovesse applicare una modifica legislativa successiva (Legge n. 114 del 9 agosto 2024), che aveva modificato proprio tale requisito, ritenendola più favorevole.

La Decisione della Corte sul Mandato ad Appellare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo a sua volta inammissibile. I giudici hanno chiarito che la norma da applicare per valutare la validità di un atto processuale è quella in vigore al momento in cui l’atto stesso è stato compiuto. Questo principio, noto con la locuzione latina tempus regit actum (il tempo regola l’atto), è un cardine del diritto processuale.

Di conseguenza, poiché al 28 giugno 2024 la legge imponeva un mandato specifico e successivo alla sentenza di primo grado, la sua assenza rendeva l’appello irrimediabilmente inammissibile. La legge successiva, sebbene più favorevole, non poteva avere effetto retroattivo su un atto già perfezionato e, in questo caso, viziato.

Le Motivazioni della Corte: Principio del “Tempus Regit Actum”

La Corte ha fondato la sua decisione sulla netta distinzione tra diritto penale sostanziale e diritto processuale. Il ricorrente invocava l’applicazione del principio del favor rei (applicazione della legge più favorevole al reo), codificato all’art. 2 del codice penale. Tuttavia, i giudici supremi hanno precisato che tale principio opera esclusivamente per la legge penale sostanziale, ovvero quella che definisce i reati e le pene.

Le norme processuali, che invece disciplinano lo svolgimento del processo e i requisiti formali degli atti, seguono la regola del tempus regit actum. L’applicazione retroattiva di una nuova norma processuale, come quella invocata, finirebbe per creare incertezza giuridica e minare la stabilità degli atti già compiuti. L’appello, essendo stato depositato sotto la vigenza della vecchia normativa, doveva rispettarne i requisiti, e la sua mancanza ha determinato una sanzione processuale di inammissibilità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa

Questa ordinanza serve da monito per i difensori sull’importanza di verificare scrupolosamente i requisiti di ammissibilità degli atti di impugnazione in base alla normativa vigente al momento del loro deposito. La decisione sottolinea che le aspettative di future modifiche legislative non possono giustificare il mancato rispetto delle regole procedurali attuali. La conseguenza di un errore di questo tipo è grave: la perdita del diritto di impugnare una sentenza, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Quale legge si applica per determinare la validità di un atto di appello?
Si applica la legge processuale in vigore nel momento esatto in cui l’atto di appello viene presentato, in base al principio giuridico del “tempus regit actum”.

Una modifica legislativa più favorevole in materia processuale può essere applicata retroattivamente a un appello già depositato?
No, secondo la Corte di Cassazione, le modifiche alle norme processuali non hanno effetto retroattivo. Il principio di retroattività della legge più favorevole riguarda esclusivamente la legge penale sostanziale (quella che definisce reati e pene).

Cosa succede se un appello viene presentato senza il mandato specifico richiesto dalla legge in vigore in quel momento?
L’appello viene dichiarato inammissibile. Questo comporta che il giudice non esaminerà il merito dell’impugnazione e l’appellante verrà condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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