Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23909 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23909 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata il DATA_NASCITA in Romania, avverso l’ordinanza della Corte di appello di Bologna in data 27/09/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostitut Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Bologna in data 14 marzo 2023, NOME COGNOME fu condannata alla pena di 3.055,00 euro di multa applicata in sede di conversione ex art. 53, d.lgs. n. 689 del 1981 in quanto riconosciuta colpevole del delitto previsto dagli artt. 56 e 624 cod. pen.
Con sentenza in data 27 settembre 2023, la Corte di appello di Bologna, dopo avere rilevato che il Giudice di primo grado aveva proceduto in assenza di NOME COGNOME e che, con l’atto di appello, non era stato depositato uno specifico mandato a impugnare, rilasciato al difensore dopo la pronuncia della sentenza gravata, contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputata, ha
dichiarato inammissibile l’impugnazione ai sensi dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 161, 162 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 581, commi 1-ter e 1-quater, 591, comma 1, lett c) e 592 cod. proc. pen. in relazione all’art. 6 CEDU e agli artt. 1, 24, 27, 111, 112, 117 Cost. Dalla sentenza di primo grado, dall’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e dal relativo decreto di ammissione risulterebbe che l’imputata aveva dichiarato ed eletto il domicilio ai fini dell notificazioni ex artt. 349 e 161 cod. proc. pen. sin dal verbale dì identificazione in data 3 ottobre 2020, sicché non potrebbe considerarsi omessa o insufficiente la sua volontà di ottenere le comunicazioni all’indirizzo specificato.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso prospetta questione di illegittimità costituzionale degli artt. 581, commi 1-ter e 1-quater, 591, commi 1, lett. c) e 592 cod. proc. pen. per contrasto con i principi contenuti negli artt. 6 CEDU e 1, 24, 27, 111, 112, 117 Cost., essendo le norme introdotte dalla novella irragionevoli e sproporzionate nella previsione di inammissibilità dell’appello, tenuto conto del diritto all’impugnazione quale componente essenziale del diritto di difesa, della presunzione di non colpevolezza e dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari, che presuppone la possibilità di verificarne la legittimità. Inoltre, la previsione di una specifica disposizione relativa alla «forma dell’impugnazione» concernente il solo imputato assente determinerebbe la negazione di una effettiva parità fra le parti in materia di impugnazione mediante lo svuotamento della difesa tecnica, con violazione dei principi del giusto processo rispetto al pubblico ministero e alla stessa parte civile, nonostante l’esplicit riconoscimento costituzionale e convenzionale della posizione di «maggior tutela» che deve essere garantita all’imputato, ad esempio attraverso una formale comunicazione dell’esito del giudizio di primo grado, in linea con la disciplina del cd. estratto contumaciale. Né potrebbe invocarsi il principio della ragionevole durata del processo, avendo la Corte costituzionale ribadito, nella sentenza n. 111 del 2022, la preminenza del diritto di difesa nell’ambito di un «giusto» processo.
Irragionevolmente, infine, l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. si applicherebbe all’imputato assente e non a quello presente, per il quale il difensore mantiene intatta la facoltà di autonoma impugnazione a prescindere dal «deposito del mancato», posto che proprio l’imputato assente dovrebbe essere garantito dal
potere di impugnazione del suo difensore, anche tenuto conto della risoluzione del RAGIONE_SOCIALE del 21 maggio 1975, n. 11, con la quale sono state individuate le garanzie per l’imputato assente.
Ad analoghe censure, sul piano costituzionale, si esporrebbe la disposizione che prescrive, a pena di inammissibilità, che l’impugnazione si accompagni al deposito della «dichiarazione» o della «elezione di domicilio dell’imputato», benché l’imputato «appellante» abbia già avuto modo di dichiarare o di eleggere domicilio per l’intero procedimento a suo carico, essendo irragionevole prevedere una sanzione di inammissibilità in luogo di una semplice domiciliazione ex lege dell’imputato presso il suo difensore. E irragionevole sarebbe, infine, la norma di diritto intertemporale riguardate il mandato a impugnare del difensore dell’imputato assente, che estende l’inammissibilità agli imputati dichiarati «assenti» sula base della pregressa disciplina.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Muovendo dall’analisi del primo motivo, giova evidenziare che l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. stabilisce che «nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio». Nel caso di specie, la Corte di appello di Bologna ha accertato che, con l’atto di appello, non era stato depositato lo specifico mandato a impugnare, rilasciato al difensore dopo la pronuncia della sentenza gravata, contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputata. E’, pertanto, del tutto irrilevante quanto dedotto dalla difesa con il primo motivo, ovvero che dalla sentenza di primo grado, dall’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e dal relativo decreto di ammissione risulti che l’imputata avesse dichiarato ed eletto il domicilio, ai fini delle notificazioni ex artt. 349 e 161 cod. proc. pen., sin dal ve±ale di identificazione in data 3 ottobre 2020.
Venendo, indi, al secondo motivo, la giurisprudenza di legittimità, pronunciandosi in relazione ad analoghe deduzioni, ha recentemente affermato che «è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotti dagli artt. 33, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e dell’art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs., per contrasto con gli arIt. 3, 24, 27, 111 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui richiedono, a
pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, unitamente all’atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell’atto citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi in limine impugnationis ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine» (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324 – 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
4.1. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 22 febbraio 2024
Ti Consigliere estensore
Il