Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 146 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 146 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in BELGIO il 15/02/1967
avverso l’ordinanza del 27/06/2024 della Corte d’appello di Torino Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la decisione in epigrafe, la Corte d’appello di Torino ha rigettato la richiesta di rescissione del giudicato proposta ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., avanzata avverso la sentenza del Tribunale di Torino del 1 giugno 2023, che condannava NOME COGNOME in ordine in ordine al delitto di diffamazione.
La Corte di Appello ha ritenuto che COGNOME avesse avuto piena contezza del procedimento in quanto ne aveva avuto notizia, in data 11 ottobre 2020, allorché elesse domicilio presso la RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO in Torino.
Successivamente, appena il 28 ottobre 2020, quindi 15 giorni dopo l’elezione di domicilio, l’imputato non veniva reperito per la notifica dell’informazione di garanzia e la notifica dell’atto di citazione a giudizio fu tentata invano presso lo stesso domicilio eletto, ove risultava sconosciuto ai condomini dello stabile.
Solo l’ordine di esecuzione è stato notificato a mani del condannato.
Da ciò la Corte territoriale ha tratto la prova della volontaria sottrazione dell’imputato alle notifiche, anche perché l’attività fu trasferita senza che alcun cartello avvisasse la clientela, oltre che per l’immediato trasferimento dopo l’elezione di domicilio. In sostanza, secondo la Corte torinese, la mancata conoscenza del processo fu determinata da colpa inescusabile del condannato, resosi irreperibile, cosicché corrette furono le notifiche avvenute ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. ai difensori di ufficio, il primo cancellato dall’albo e l’altro poi nominato.
Avverso la decisione della Corte di appello propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite il proprio difensore munito di procura speciale, lamentando vizio di motivazione e violazione di legge processuale con riferimento agli artt. 629-bis e 420-bis cod. proc. pen.
Il ricorso censura l’ordinanza della Corte torinese, evidenziando come COGNOME, a seguito della nomina di un difensore di ufficio, non era posto nella condizione di essere avvisato della pendenza del processo e, pertanto, l’ordinanza impugnata inverte, ribaltandolo, il concetto di incolpevole mancata conoscenza.
Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, ravvisando nella elezione di domicilio inidonea la prova della volontà di sottrarsi alla notifica degli atti del processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Va premesso che ben tre interventi nomofilattici delle Sezioni Unite di questa Corte hanno delineato i confini del processo in absentia legittimo.
Si è affermato che ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione antecedente alla modifica operata con legge n. 67 del 28 aprile 2014, l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium”, sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell’accusa contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini
preliminari, fermo restando che l’imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza (Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275716 – 01).
Quanto alla dichiarazione di assenza, è stato affermato il principio per cui non si può considerare presupposto idoneo alla stessa la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiv instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 17/08/2020, NOME COGNOME Rv. 279420 – 01, principio affermato in relazione a fattispecie precedente all’introduzione dell’art. 162, comma 4-bis, cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103).
Infine, si è legittimato il rimedio attivato in questo procedimento, affermandosi il principio per cui le nullità assolute ed insanabili derivanti, in giudizio celebrato in assenza, dall’omessa citazione dell’imputato e/o del suo difensore, non sono deducibili mediante incidente di esecuzione, ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., in ragione dell’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza, salva restando la possibilità di far valere, attraverso la richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che si assuma derivata dalle nullità stesse (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 23/04/2021, COGNOME, Rv. 280931 – 01).
Tutte le autorevoli pronunce citate – anche quella che afferma il principio per cui occorre che l’imputato abbia contezza dell’inizio del processo a mezzo di notifica dell’atto di citazione in giudizio, direttamente o indirettamente attraverso la notifica al difensore al quale sia legato da rapporto professionale – richiedono comunque che la mancata conoscenza del processo debba essere incolpevole, per potersi verificare la nullità.
Tanto premesso, deve rilevare questa Corte come la notifica effettuata ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen. risultava diretta al difensore di ufficio, non avente relazione professionale con l’imputato, e non al difensore di fiducia, che avrebbe potuto informare l’interessato.
E bene, rileva questa Corte inoltre che, come osservato da Sez. 5, n. 19949 del 06/04/2021, COGNOME, Rv. 281256 – 01, il domicilio eletto inidoneo alla notifica non è in sé sintomo di volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti.
Infatti, come evidenziato dai principi richiamati, partendo dal dato normativo dell’art. 420-bis cod. proc. pen., l’unica ipotesi in cui il legislatore ha previsto ch possa procedersi alla celebrazione del processo, pur se la parte ignori la vocatio in ius, è la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento, precisando che di un tale comportamento vi deve essere traccia “positiva”, all’esito di un necessario accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta, poiché la disposizione normativa non “tipizza” e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare, predeterminata, che possa ritenersi tale.
Pertanto, secondo le Sezioni Unite NOME, non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali l’irreperibilità o il domicilio eletto, sebbene la “manifesta mancanza di diligenza informativa” ovvero la “indicazione di un domicilio falso”, pur se apparentemente valido, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non potranno costituire dati di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della “volontaria sottrazione”.
Ciò perchè “se si esaspera il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita” (così le Sezioni Unite)”
Nel caso in esame ciò che difetta è proprio l’esistenza di elementi positivi adeguati che comprovino che COGNOME abbia eletto domicilio il 16 settembre 2020 con la volontà di sottrarsi alla conoscenza del processo. In tal senso, non risulta adeguata ad attestare la volontaria sottrazione la sola prossimità cronologica del trasferimento ad altra sede dell’impresa: l’imputato aveva eletto domicilio in un luogo ove risultava il radicamento per la stessa ipotesi di accusa, che ne presupponeva la stabile presenza come sede di lavoro.
Infatti, la contestazione elevata riguardava un caso di diffamazione fra «vicini di casa» con condotte contestate dal 5 luglio 2019 al 12 marzo 2020.
Alla luce di ciò dovrà verificarsi, con un più approfondito esame di fatto, l’esistenza di una colpevole volontà di sottrarsi alla conoscenza, dovendo valutarsi il radicamento dell’imputato nel luogo in cui aveva eletto domicilio, tanto più che lo stesso, in sede di esecuzione della condanna, è stato raggiunto presso la nuova sede dell’impresa da parte della polizia giudiziaria, a riprova della sua reperibilità in concreto.
Pertanto, in questi termini va disposto l’annullamento con rinvio alla Corte di appello che dovrà fare applicazione di tali principi, dovendo effettuare una rinnovata valutazione della situazione di fatto.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Torino.
Così deciso il 26/11/2024