Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23036 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23036 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a JESI il 07/05/1969
avverso la sentenza del 28/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della decisione di primo grado emessa con rito abbreviato, ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME in mesi tre e giorni 18 di reclusione ed 80 euro di multa, applicata la diminuente per la premialità, che non era stata considerata all’esito del giudizio di primo grado, in relazione alla condanna per il reato di furto aggravato dalla destrezza, commesso in concorso con NOME COGNOMEnei confronti del quale si è proceduto separatamente poiché non ha richiesto il rito abbreviato).
Ha proposto ricorso l’imputata tramite il difensore di fiducia deducendo nullità della sentenza impugnata per lesione del diritto di difesa e del doppio grado di merito, avuto riguardo agli artt. 604 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. nonché all’art 125, comma 3, cod. proc. pen.
La difesa ritiene l’illegittimità della decisione della Corte d’Appello, che ha colma la lacuna motivazionale della sentenza di primo grado – completamente omissiva nella ricostruzione del fatto e meramente assertiva riguardo alla responsabilità dell’imputata, pronunciata con una formula di stile “all’esito dell’istruttoria” – ritenendo erroneament di operare in conformità ai poteri conferiti al giudice di secondo grado dall’art. 604 cod proc. pen.
Secondo la difesa, tale omissione, dovuta alla mancanza degli atti del procedimento, costituente uno stralcio di quello principale a carico del coimputato, che non aveva scelto il rito abbreviato, non poteva invece essere colmata dalla Corte d’Appello, che ha consentito al Procuratore Generale di produrre per la prima volta gli atti del fascicolo nel corso dell’udienza di appello e, successivamente, piuttosto che decidere soltanto la nullità devoluta, ha motivato nel merito la sentenza di condanna sulla base di tali atti.
Il caso sarebbe diverso da quello al centro dei riferimenti giurisprudenziali cui si richiamata la sentenza impugnata, relativi alla possibilità di sanare il vizio di mancanza di motivazione di una sentenza di condanna in un processo in cui gli atti del fascicolo erano già presenti.
Per la ricorrente, la conoscenza degli atti è stata introdotta per la prima volta sol in appello, con pregiudizio della difesa, che non ha potuto conoscerli e ha potuto proporre soltanto un’impugnazione non di merito, quale è il ricorso alla Corte di cassazione, così “perdendo” un grado di giudizio.
A sostegno della tesi difensiva si citano diversi precedenti di questa Corte regolatrice, mentre si rileva come il consenso prestato all’acquisizione degli atti nel corso del giudizi d’appello non rende superabile la censura difensiva.
Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso con requisitoria scritta.
3.1. Ha proposto memoria difensiva la difesa della ricorrente, opponendosi alle ragioni depositate dal Procuratore Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La mancanza assoluta di motivazione della sentenza integra un’ipotesi di nullità ma non di inesistenza del provvedimento (cfr. Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118).
Tale vizio dell’atto sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’ar 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità de sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. 2, n. 43112 del 31/10/2024; Sez. 2, n. 58094 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271735-01; Sez. 6, n. 26075 del 08/06/2011, B., Rv. 250513-01; Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118-01).
Tanto ciò è vero che la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della corte d’Appello con cui, piuttosto che decidere nel merito, i giudici di secondo grado si erano limitati ad annullare con rinvio la sentenza resa dal Tribunale e viziata perché aveva applicato la procedura di correzione degli errori materiali ex art. 547 cod. proc. pen. per rimediare a deficit di omessa motivazione su alcuni capi di imputazione presenti nella stessa sentenza di primo grado (cfr. Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271735).
2.1. Si è anche chiarito, condivisibilmente e con un principio che deve essere ribadito, come la possibilità di rimediare alla mancanza assoluta di motivazione della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello, predisponendo anche integralmente la motivazione mancante, in forza dei suoi poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, non comporta la privazione per l’imputato di un grado del giudizio (Sez. 6, n. 1270 del 20/11/2024, dep. 2025, Diana, Rv. 287505).
Ed infatti, la mancanza di motivazione del provvedimento di primo grado non è equiparabile alla privazione di un grado del giudizio, posto che il processo, inteso come sequenza di atti che si chiude con la decisione del giudice all’esito di un’udienza, si celebrato ed è terminato con una statuizione.
Ciò che difetta è unicamente la motivazione, ma tale difetto, come si è già evidenziato, integra un vizio dell’atto e non un’ipotesi di inesistenza dello stesso (cf
Sez. U, n. 3287 del 2009, cit.), senza possibilità di equiparazione tra le due categorie logico-giuridiche.
Come ha precisato la citata sentenza n. 1270 del 2025, una volta chiarito che la sentenza priva di motivazione è pur sempre una statuizione idonea a definire un grado del processo e che l’omessa motivazione costituisce una mera ipotesi di nullità (che la pronuncia, peraltro, ritiene relativa) della sentenza impugnata, ne consegue l’insussistenza di qualsiasi lesione del diritto dell’imputato a due gradi del procedimento.
In proposito, peraltro, occorre evidenziare come il doppio grado di giudizio non sia un principio contenuto nell’art. 111 Cost. e non configura, quindi, uno dei volti del giust processo costituzionale.
Recentemente si è affermato tale principio anche con riguardo ad una diversa ipotesi e precisamente in relazione all’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda o a quella del lavoro di pubblica utilità e delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa, introdotta dal nuovo testo dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022, evidenziando la mancata copertura costituzionale del doppio grado di merito (cfr. Sez. 4, n. 24097 del 16/04/2024, COGNOME, Rv. 286471 01).
In precedenza, in diverse fattispecie di inappellabilità, cfr. Sez. 5, n. 4965 de 6/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236310 – 01; Sez. 5, n. 3235 del 22/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278150 – 01.
2.2. Nel caso di specie, a prescindere dalle ragioni per le quali il giudice di prim grado abbia motivato la sentenza emessa all’esito del rito abbreviato in maniera apparente, con un mero richiamo di stile, la Corte territoriale ha adempiuto al suo obbligo argomentativo ad integrazione, che deriva dagli ampi poteri di cognizione e valutazione del giudizio di appello, per come congegnato nel sistema processuale vigente.
Il ricorso è, dunque, manifestamente infondato oltre che generico per come formulato.
Ed infatti, è bene evidenziare che la difesa dell’imputata, all’udienza di celebrazione del giudizio di primo grado, al momento della formulazione delle conclusioni, non ha eccepito nulla in merito alla mancanza degli atti al fascicolo, mostrando così implicitamente di avere contezza degli atti del processo, che, del resto, erano del tutto noti alle parti, in quanto, come ammette lo stesso ricorso, sembra essersi verificato un mero disguido nell’allegazione della documentazione al fascicolo, una volta stralciato il procedimento a carico della ricorrente da quello principale, in seguito alla richiesta ed all’ammissione al rito abbreviato.
È ancora la difesa dell’imputata che ha acconsentito, nel giudizio di appello, a recuperare la completezza del fascicolo, dando il proprio consenso all’acquisizione delle copie degli atti erroneamente non allegate al momento dello stralcio.
Sulla base di quegli stessi atti, ben noti dunque, è stato, verosimilmente, richiesto i giudizio abbreviato, la cui ammissione determina che il richiedente accetti di difendersi
sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, di cui in buo sostanza ammette di essere a conoscenza, rinunciando addirittura, in tal modo, al diritto
di ottenere l’audizione dei testimoni. Tanto che la Corte EDU, nella nota sentenza
Di
COGNOME c. Italia, del 25 marzo 2021, ha escluso che vi sia violazione dell’art.
6 CEDU per il caso di mancata rinnovazione della prova dichiarativa in appello, in presenza di una pronuncia di
overturning di condanna dell’assoluzione emessa in primo
grado.
Nessuna lesione in concreto del diritto di difesa, peraltro, è stata dedotta dalla ricorrente, se non sotto il profilo della asserita perdita di un grado di giudizio, che, inve
per quanto spiegato, non si è realizzata.
3. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod proc. pen., la condanna della ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese
processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cf sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 marzo 2025.